Quali sono stati i siti che la nostra comunità lungo i secoli ha utilizzato per il “culto dei morti” e quali le loro vicende e particolarità? Prima le chiese e poi i moderni cimiteri extraurbani hanno rappresentato la nostra “città dei morti” che via via è andata affiancando la nostra “città dei vivi”. Queste poche pagine “a imperitura memoria”.
IL MEDIOEVO E LA SEPOLTURA “AD SANTOS”
Per iniziare possiamo fare riferimento all’epoca medioevale. In questi secoli la sepoltura “ad santos”, cioè vicino ai santi per ottenerne protezione, divenne il motivo fondamentale della sepoltura dei morti nelle chiese o nello spazio consacrato attorno ad esse (cimiteri). Del resto nel Medioevo la parola chiesa designava non soltanto gli edifici ma tutto lo spazio che circondava la chiesa: quindi navata, campanile e cimitero. Si seppelliva in grandi fosse comuni o, per le spoglie dei defunti più ricchi, all’interno delle chiese più importanti, sotto le lastre del pavimento, e periodicamente si provvedeva poi a rimuovere le ossa per riporli in ossari. Non si aveva l’idea che il defunto dovesse essere custodito in una specie di casa tutta sua e identificato. Nel medioevo e fino al XVII sec. poco importava l’esatta localizzazione delle ossa, purché rimanessero presso i santi o in chiesa, vicino all’altare della Vergine o del Santissimo. Il corpo era affidato alla Chiesa. Non importava che cosa ne facesse la Chiesa, a patto che lo conservasse nel suo sacro recinto. Si vennero così a creare una “chiesa dei vivi”, sopra, e una “chiesa dei morti”, sotto.
Anche le nostre chiese (di certo quelle di Santa Anastasia e Sant’Alessandro) svolsero dunque la funzione di accogliere le spoglie dei nostri antichi concittadini.
Le prime notizie certe in questo senso le abbiamo dai verbali della visita pastorale di San Carlo Borromeo nel 1578, anche se, come detto, già da tempo doveva funzionare questa forma di sepolture. In particolare si confermò la presenza presso la Santa Anastasia sia di un cimitero esterno che di tombe al suo interno. A proposito di queste ultime, tra le prescrizioni imposte alla nuova parrocchia ci fu anche quella di allineare le coperture di questi sepolcri al livello del pavimento, previa la soppressione degli stessi riempiendoli di terra. Del cimitero esterno sappiamo che un muro, di altezze diverse, lo circondava per lo meno su tre lati, tranne quello che dava sulla pubblica via.
A questa data risale anche la segnalazione di un cimitero presso la chiesetta di Sant’Alessandro. Era collocato nello spazio esterno circostante la chiesa e risentiva dello stato d’abbandono in cui a questa data versava tutto il sacro edificio. Lo stesso Borromeo prescrisse l’eliminazione di tre piante di gelso che ne occupavano l’area, a testimonianza di come oramai tutto il piccolo complesso di Sant’Alessandro fosse destinato più a funzioni “agricole” che “sacre”. Non abbiamo notizie in merito alla presenza al suo interno di sepolcri né se ne trova traccia in documenti successivi. Dobbiamo pensare che in breve si perse completamente l’utilizzo di questo spazio sacro per l’inumazione delle salme.
Altrettanto dobbiamo dire della chiesa di San Fiorano per la quale non risulta alcuna segnalazione di un suo uso “cimiteriale”.
Tutte le sepolture nelle aree esterne alle chiese avvenivano soltanto quando veniva meno la possibilità di sepoltura all’interno dove si preferiva una sistemazione che fosse il più vicino possibile all’altare o alle reliquie dei santi. Spesso la scelta dei sacerdoti era inevitabilmente condizionata da questioni di denaro o lasciti testamentari. I più poveri o i più umili erano relegati nel cimitero, cioè il luogo più lontano dalla chiesa e dalle sue mura, in fondo al recinto, in mezzo al chiostro, in profonde fosse comuni.
Qualche notizia in più sulla Santa Anastasia ci arriva dal verbale della visita del cardinale Federico Borromeo del 1621. Sotto il pavimento della navata della nostra parrocchiale si trovavano ben 5 camere sepolcrali: 4 per la popolazione in genere e 1 per i parroci e sacerdoti (fatta costruire quest’ultima alla fine del 1500 dal primo parroco Don Tremonti). Qualche decennio successivo si dovette intervenire sulle coperture di questi sepolcri interni. Sotto le coperture di pietra si provvide a collocare delle altre coperture di legno, probabilmente più sigillanti, onde evitare le esalazioni (“ad tollendum fetorem”) che da quelle tombe si sprigionavano e che non dovevano certo rendere piacevole il soggiorno in chiesa dei fedeli del tempo. Il problema dei miasmi restò sempre aperto soprattutto per le chiese più piccole, sempre affollate e prive di ventilazione, soprattutto in occasione delle chiusure notturne e dei periodi più caldi.
Nelle nostre chiese non vennero mai realizzate delle sepolture o cappelle dedicate a singoli defunti o magari a quelli appartenenti a ricche e nobili famiglie. Questo uso era certo praticato ma solo dai più illustri personaggi del tempo, quali ad esempio i membri delle famiglie milanesi o monzesi proprietarie di tanti beni nel nostro territorio ma che chiaramente rivolgevano le loro intenzioni “tombali” alle importanti chiese milanesi o appunto monzesi. Il resto della nostra popolazione residente non poteva ambire ad un simile trattamento “funerario”.
Nel 1687 si conferma presso la Santa Anastasia la presenza sia dei sepolcri interni che del cimitero esterno. Quest’ultimo venne corredato di una grande croce di legno nella parte verso la pubblica via. Per le sepolture in questi cimiteri si utilizzavano fosse semplici, talora con bare lignee.
IL SECOLO DEI LUMI E LE RIFORME CIMITERIALI
Ulteriori dettagli sulla situazione “sepolcrale” nella nostra parrocchia ci arrivano dal ricco verbale redatto in occasione della visita pastorale del cardinale Pozzobonelli nel 1763. All’interno della chiesa si trovavano solo tre sepolcri a camera collettiva: uno dedicato ai sacerdoti, un altro per i defunti sotto i sette anni, e il terzo per i defunti, maschi e femmine, sopra i sette anni. Questa distinzione a quei tempi non era proprio casuale. Nasceva dalla controversa e discutibile concezione per cui si riteneva il fanciullo fino a sette anni una creatura che non avendo vissuto se non in modo ridotto doveva essere sepolto con un rito altrettanto sommario e rapido quanto la breve vita vissuta. Le esequie di questi giovani defunti venivano infatti celebrate in forma essenziale.
Tutti i sepolcri si stendevano lungo l’unica navata e non portavano alcun tipo di iscrizione, né tantomeno esistevano tombe “famigliari”. Si sottolinea come finalmente gli anelli per sollevare le coperture in pietra fossero inseriti in apposite conche, onde evitare intralci al passaggio dei fedeli.
Nelle carte pastorali inoltre si lamenta a questa data
l’assenza di un cimitero esterno (nel frattempo doveva esser stato presumibilmente dismesso). Tutti i defunti venivano quindi inumati nei sepolcri interni alla chiesa, che, quando oramai pieni, venivano svuotati e i poveri resti venivano sotterrati in una fossa comune fuori della chiesa stessa.
Queste sembrano essere le uniche notizie relative alla possibile presenza anche nella nostra chiesa di “ossari”, quei luoghi cioè, sempre dentro o subito fuori dei sacri edifici, dove venivano raccolti i resti (cioè le ossa) dei defunti quando appunto si svuotavano i sepolcri oramai ricolmi.
Nel frattempo in tutta Europa ci si stava avviando ad una radicale evoluzione delle modalità di sepoltura dei morti e delle relative legislazioni. Nella seconda metà del sec. XVIII, con l’affermarsi dell’Illuminismo e della preoccupazione per la salute pubblica, l’accumularsi delle salme nelle chiese o nei piccoli recinti delle chiese divenne ad un tratto intollerabile. La nascente moderna medicina cominciò a considerare assolutamente insalubre e fonte di malattie la stretta vicinanza dei morti con i vivi. Le esalazioni putride e mefitiche cominciarono ad essere imputate di contagi e infezioni. Da ciò la decisione di trasferire i cimiteri fuori dalle città, facendoli passare – per lo meno nelle legislazioni dei paesi ritenuti più avanzati – dalla giurisdizione esclusiva delle autorità ecclesiastiche a quella delle autorità civili.
Con il Romanticismo si sviluppò anche una diversa visione del culto dei morti. I vivi dovevano tributare ai morti la propria venerazione. Le tombe divenivano ora il segno del culto laico della permanenza di ogni singola personalità, anche dopo la morte. Ciò non presupponeva necessariamente l’immortalità concepita dalle religioni salvifiche, come il cristianesimo. Questo cambio di paradigma nella concezione del culto dei morti e delle loro sepolture si impose non senza forti resistenze. Gli ecclesiastici temevano la perdita dei diritti parrocchiali, delle elemosine e dei lasciti testamentari quale conseguenza del trasferimento dei defunti dalle chiese ai cimiteri. Il popolo invece, vedeva con orrore, come un atto di terribile crudeltà, la separazione dei resti
mortali dai luoghi religiosi: erano gli infedeli, i suicidi, gli uomini e le donne di malaffare ad essere sepolti in un campo.
In Italia rappresentò una svolta decisiva il famoso editto napoleonico di Saint-Claud del 1804. Si impose il divieto di sepoltura dentro e fuori delle chiese destinando alle inumazioni nuovi cimiteri posti fuori delle mura cittadine e dove ogni tomba doveva essere individuale.
Per quanto riguarda la nostra comunità, l’arrivo di questa nuova legislazione mortuaria coincise con un avvenimento di grande rilevanza: la costruzione della nuova parrocchiale e l’abbandono dell’antica chiesa di via Don Galli.
L’istituzione delle nuove norme in tema di cimiteri poneva infatti la necessità di individuare una nuova sede dove seppellire i morti. Sia la vecchia che la nuova chiesa non potevano più svolgere questo ruolo. Il parroco del tempo, Don Spinelli, si attivò allora presso i Comuni competenti per la costruzione del primo moderno cimitero del paese. Le Amministrazioni di VSF e di Monza per la Santa deliberarono così la spesa di Lire italiane 2200 per un Campo Santo in comproprietà tra i due comuni, dovendo appunto servire per le due comunità.
Il nuovo Cimitero sorse nell’area che attualmente è occupata dalla Piazza Oggioni, allora in fregio alle “Via alla Stazione” e alla “Strada Postale per Lecco”. Iniziò la sua attività ufficiale e continuativa nel 1808, anche se probabilmente ci fu una fase intermedia nella quale si continuò ad utilizzare la vecchia parrocchiale, sostituita dalla nuova dal 1796 ma del tutto demolita proprio nel 1808.
Non abbiamo molte notizie sulle caratteristiche di questo cimitero. Sappiamo che era cinto chiaramente da un muro alto e che il cancello d’entrata era sull’attuale via Farina. La Prefettura impose la necessità della presenza nella nuova struttura (come sarà per tutte le successive) di una “Camera mortuaria”, espressamente attrezzata per le anatomie e dissezioni delle salme.
Pur essendo come detto “consortile”, il cimitero sorgeva comunque in territorio della Santa e la sua gestione amministrativa restava in capo a Monza che poi veniva “rimborsata” da VSF in funzione di quote in proporzione alle due popolazioni. Fu anche ampliato nel 1832 stante il continuo incremento demografico delle due località
L’ETA’ MODERNA: DALLA SANTA E VILLA SAN FIORANO A VILLASANTA
Le due comunità continuavano dunque a crescere. Già nel 1874 Monza cominciò a lamentare l’insufficienza della struttura. Non c’erano solamente problemi di spazio interno ma soprattutto il cimitero si era oramai venuto a trovare a ridosso dei nuovi insediamenti residenziali.
Nel 1875 la Sottoprefettura di Monza diffidò i due comuni dal continuare ad utilizzare questa struttura cimiteriale e ne chiese lo smantellamento, proprio per la sua sopravvenuta vicinanza alle abitazioni.
Già nel 1877 si aprì allora la trafila amministrativa per arrivare alla costruzione di un nuovo cimitero. Come prima fase venne identificata l’area indicata come “località della Giardina”, sempre nel territorio della Santa. Si trattava di un terreno posto sullo “Stradale per Concorezzo” subito a ridosso della linea ferroviaria. Riportandola ai giorni d’oggi possiamo collocarlo nel rettangolo tra le vie Matteotti (alla destra del sottopasso), Edison, Monte Grappa e Vercesi, quindi sulla stessa linea del vecchio cimitero ma spostata più a Est. In effetti tra i due cimiteri sorgeva la Cascina Giardino, da cui il nome della località.
Inizialmente ci si mosse per costituire tra i due comuni un accordo amministrativo come il precedente, che prevedesse la comproprietà dell’immobile. Ma ben presto le cose si complicarono. Monza, forte del fatto che il cimitero avrebbe dovuto sorgere nel suo territorio, rifiutò l’ipotesi della comproprietà con VSF, garantendo a quest’ultima “solo” la promiscuità d’uso anche per i suoi cittadini, previo naturalmente il pagamento di un canone. Il forte contenzioso fu alla fine sciolto da una delibera prefettizia del 1879 che diede ragione a Monza, che del resto si era già attivata per realizzare l’opera che venne conclusa nel 1880.
Ma a questo punto VSF non volle darla vinta all’Amministrazione monzese e pur di non utilizzare un cimitero “d’altri” decise di realizzare un suo nuovo cimitero.
Va detto che a monte di questo aspro confronto “cimiteriale” tra i due comuni, si era già affacciata la ben più pesante contrapposizione che riguardava le diverse proposte di annessione di VSF da parte di Monza o viceversa della Santa da parte di VSF
Il nuovo Camposanto di VSF fu collocato nel fondo “alla destra non appena al di là del ponte che attraversa la roggia Ghiringhella, di proprietà del nobile Ludovico Melzi”, praticamente nel sito che occupa attualmente il nostro cimitero.
E così all’alba del 1880 ci ritrovammo con ben due cimiteri funzionanti, uno per VSF e uno per la Santa. Quest’ultimo fu “inaugurato” nel 1880 con le tristi inumazioni di due bimbi, uno di tre giorni e l’altro di un anno e nove mesi. I due comuni si accordarono per permettere in via eccezionale per l’anno 1880 l’uso del cimitero di Monza da parte di VSF, non essendo ancora pronto il suo.
Nel frattempo si cominciò a discutere su cosa fare del vecchio cimitero consortile di P.zza Oggioni, oramai in disuso ma comunque aperto per le visite alle tombe là esistenti. La spinta dell’espansione residenziale del paese non poteva permettersi la presenza del forte vincolo urbanistico rappresentato appunto dal cimitero. Nel 1919 fu conclusa la completa esumazione di tutte le salme e la struttura fu definitivamente chiusa. Alla fine, nel 1922 i due comuni trovarono un accordo per cui Monza acquistò la quota di proprietà di VSF e si impegnò a realizzare sull’area opere “consone ai sentimenti della popolazione”, in pratica si optò per un giardino pubblico, come prima fase, e in seguito per la costruzione di un edificio adibito a scuole elementari (che in effetti non fu mai realizzato).
Probabilmente nel cambio ci abbiamo perso.
Vale la pena ricordare come nel 1931 il parroco in carica Don Galli avesse rivendicato presso le autorità comunali la proprietà dell’area dell’ex-cimitero in capo alla stessa Parrocchia. Si sosteneva che quando nel 1865 si decise il passaggio di competenze sui cimiteri dalle parrocchie ai comuni, questo non comportò l’automatico passaggio anche della proprietà delle aree. Pur sostenuto da buone argomentazioni anche giuridiche, si presume che Don Galli decise di “lasciar perdere” di fronte alle piccate risposte sia del Podestà di Villasanta che dei locali rappresentanti del Partito fascista: “a Catasto l’area risulta di proprietà comunale e se il Parroco non è convinto della cosa, si rivolga in sede competente”.
Con la nascita del comune di Villasanta l’area venne ulteriormente riqualificata con la realizzazione nel 1933 del “Parco delle Rimembranze”, dedicato alla memoria dei morti nella Guerra del ’15-’18. Il Parco sopravvisse fino ai primi anni ’60 quando tutta l’area circostante fu fortemente urbanizzata ed esso trasformato in parcheggio (attuale P.zza Oggioni).
Una sorte simile, anche se più dignitosa, toccò anche al secondo cimitero della Santa, in via Matteotti. Sempre con la nascita del comune di Villasanta nel 1928 si pose subito la valutazione sulla presenza a quel punto ridondante di ben due cimiteri. Si scelse a ragion veduta di utilizzare il solo cimitero di San Fiorano, adeguatamente ampliato e quindi di abbandonare quello della Santa. Le stesse pressioni “urbanistiche” che si erano a suo tempo esercitate sul vecchio cimitero di P.zza Oggioni si replicarono anche per quest’ultimo. Nel 1952 si completò l’esumazione di tutte le tombe e l’area fu destinata alla realizzazione di quelle Case popolari tuttora presenti lungo le vie dei Tigli, Bonfanti e Vercesi.
Dal 1930 Villasanta concentrò dunque nel vecchio cimitero del comune di VSF, già attivo come visto dal 1881, tutte le inumazioni della nuova comunità. Da allora, questo che è il nostro attuale cimitero subì chiaramente continui ampliamenti e ristrutturazioni per tenere il passo al forte incremento demografico del paese, soprattutto dal secondo dopoguerra.