Il 1600 si apre con l’arrivo della famiglia Secchi che sceglie la Santa per la sua “casa di villeggiatura” (oggi Villa Camperio). La “Possessione della Santa” dell’Ospedale San Gerardo e lo “Stato delle Anime” del 1674 ci descrivono la realtà del nostro borgo, che continua la sua crescita nonostante la “Peste manzoniana” del 1630.
Siamo così arrivati alle soglie del XVII secolo con il nostro borgo della Santa che va sempre più assumendo la configurazione di un’importante frazione monzese, già però con significativi spazi di autonomia e in un contesto di crescita demografica ed economica. Ad inizio del 1600 la Santa contava quasi 200 abitanti essenzialmente concentrati nel nucleo storico intorno alla chiesa, sulla Strada Maestra verso Lecco.
Il centro e la Villa Camperio
Gli insediamenti erano per lo più costituiti da corti cosiddette “pluriaziendali”, cioè con una separazione interna degli spazi tra i numerosi affittuari che lavoravano piccoli appezzamenti, ognuno con una sua abitazione, stalla e fienile. In comune vi erano di solito solo il pozzo e il forno. Originariamente questa separazione doveva essere più formale che sostanziale, essendo comunque i nuclei famigliari collegati da vincoli di parentela e sottoposti all’autorità del “regiù” (l’anziano capofamiglia). Diventerà invece caratteristica essenziale della realtà socio-economica della campagna brianzola, fatta di un forte frazionamento delle aziende agricole, spesso famigliari, e dalla quale alcuni studiosi hanno fatto discendere la diffusione del futuro spirito imprenditoriale. (1)
E’ del resto in questi anni a cavallo dei due secoli che il centro della Santa si arricchisce di una presenza importante, che ne segnerà di sicuro gli sviluppi futuri. Si tratta di quella che noi oggi conosciamo come la “Villa Camperio “ (2) ma che in effetti fu edificata dalla famiglia Secchi (Sechi, Secco, Seccho, Secci, Siccis, la troviamo sotto diverse dizioni), ricca casata milanese, forse collegata con i Secco-Borella feudatari di Vimercate. Ottaviano Secchi del resto risultava avere larghi possedimenti in quel della Santa, sia in terreni che case. Non sappiamo di preciso la data di erezione dell’edificio ma abbiamo informazioni datate al 1621 sulla allora recente costruzione di un oratorio privato all’interno della residenza del Signor Ottaviano, realizzato in ricco e sontuoso stile barocco e benedetto nell’anno 1620. Possiamo allora posizionare l’edificazione della villa in data di poco anteriore a quella dell’oratorio, posizionandosi ai primi anni del ‘600. Rappresenta dunque l’edificio civile più antico e più prestigioso nel patrimonio storico di Villasanta.
Si trattava di una di quelle “case di villeggiatura” o “di delizia”, segno di un raggiunto status sia culturale che economico, dove la nobiltà e l’alta borghesia milanese trascorrevano alcuni momenti di svago e ristoro spirituale dagli stress cittadini, godendo di un ambiente più salubre e tranquillo. Il contesto ambientale era del tutto agreste, con un susseguirsi di campi coltivati, vigne, fitta alberatura e qualche zona boschiva. Il paesaggio era caratterizzato dalla “piantata padana”, che prevedeva campi a cereali intervallati da lunghi filari di alberi (gelsi, pioppi o da frutta) sui quali si sviluppavano i “festoni” delle viti maritate. A qualche viaggiatore del tempo il tutto restituiva l’immagine di una “rigogliosa foresta”. L’dea quindi di poter villeggiare a Villasanta, per noi contemporanei di difficile concezione, allora era invece del tutto plausibile e garantita da un sano e piacevole ambiente naturale. Fino a tutto l’800 queste “case di villeggiatura” si moltiplicarono anche sul nostro territorio.
La scelta dei Secchi di collocare la loro “residenza di campagna” proprio alla Santa fu un segno delle opportunità che offriva il territorio e rappresentò un importante fattore di prestigio e ulteriore sviluppo per il borgo della Santa.
La “Possessione della Santa”
Cosa accadeva al di fuori del nucleo centrale della Santa? Come si andava assestando il perimetro della giurisdizione sia civile che ecclesiastica della nostra frazione?
In termini generali possiamo dire che dalla “Relazione del Ragionato Teodoro Robotto” sugli estimi del territorio di Monza del 1609 alla Santa viene assegnata una superfice complessiva di circa 515 pertiche ripartite quasi equamente tra “terre aratorie” e “avidate” (cioè con la presenza dei filari di viti). Non sappiamo con quali criteri il suddetto Ragionato definì il perimetro del territorio della Santa ma ci sembra comunque una stima un po’ riduttiva.
Per notizie più particolareggiate ci da invece una mano la ricca documentazione relativa ai beni (sia case che terreni) componenti la “Possessione della Santa” che rientrava nel patrimonio del “Luogo Pio dell’Ospedale di San Gerardo” (poi confluito nel 1769 in un unico Ente che andrà a raggruppare tutti i Luoghi Pii benefattori ed Ospedali di Monza). Abbiamo una lunga serie di “Investiture d’affitto semplice”, “Consegne e Riconsegne”, “Misurazioni” a partire dai primi del 1500 fino alla fine del 1700 che attestano che l’Ospedale fin da tempi remoti ha svolto nel nostro territorio un importante ruolo di “grande possessore”, di cui restano del resto tracce fino ad oggi. Fin dal 1400 è documentata la proprietà dell’Ospedale di un “mulino di Santa Anastasia” e di 180 pertiche circostanti. Nella cartina a seguire abbiamo riportato (tratto verde) il nome e la collocazione degli appezzamenti appartenuti al San Gerardo, divisi in due tipologie distinte da un tratto pieno e da uno intermittente. Il primo caso è quello che ci interessa, proprio perché contraddistingue quei terreni che vennero fin dal 1500, nella maggior parte dei documenti, collocati “alla Santa”, “vicino alla Santa”, “nel luogo della Santa”,“nel comune della Santa”, sempre nel territorio di Monza ma comunque con una chiara indicazione del toponimo della Santa.
Avendo riportato in mappa anche l’attuale confine (tratteggio marrone), appare chiaro come i “monzesi” del tempo interpretavano i confini “santesi” in termini più ampi di come poi si definirono alla nascita di Villasanta. In particolare, oltre al più contenuto ambito lungo la via Lecco verso Est tra la Cantonata e la via F.Gioia, sotto la Santa risultava tutta l’ampia fascia verso Ovest compresa sempre tra la via Lecco e il corso del Lambro. Si trattava di quel pezzo di territorio che una volta rientrato a fine ‘700 nel perimetro del Parco non potrà più ritornare ad essere parte della Santa.
I tanti documenti relativi ai citati beni dell’Ospedale ci trasmettono anche una lunga rassegna dei nostri antichi concittadini che lungo tre secoli si succedettero nella “Casa di S.Gerardo” (in via Confalonieri di fronte al portone di Villa Camperio) e nella conduzione e nel lavori dei tanti campi a vigne e cereali di proprietà dell’Ospedale. I “massari” più importanti, che cioè lavoravano gli appezzamenti più grandi (ad es. “il Chioso di sotto”), avevano in affitto anche tutta o più spesso una porzione di quella casa colonica che a questo punto possiamo datare come coeva se non precedente alla stessa Villa Camperio.
Ritroviamo i nomi di famiglie già incontrate: Della Platea (Piazza), Galbiato, Viganoni, Galli, Castoldi, Giardini ( tutti sempre identificati come “della Santa” ) che pur rappresentando come massari i membri più abbienti del “ceto agricolo” non erano certo esenti da forti tribolazioni. Come prima cosa dovevano fare i conti con una forte precarietà del loro status di affittuari.
Lungo i due secoli XVII e XVIII, per i quali abbiamo più dettagliata documentazione, vediamo il continuo alternarsi di questi massari i cui contratti, per lo più novennali, spesso non venivano rinnovati e anzi si chiudevano con forti debiti verso i proprietari. Solo i Castoldi riuscirono attraverso tre generazioni a mantenersi l’affitto della casa e dei campi per quasi sessanta anni.
Un’identica se non peggiore situazione vivevano gli affittuari degli altri appezzamenti minori del San Gerardo, che rientravano nella categoria dei “pigionanti”. Anche qui l’avvicendamento fu decisamente ricorrente e non sempre i contadini riuscivano a coprire il fitto concordato, computato “in natura” come quantità predefinite per lo più di frumento e segale insieme alla metà delle uve e delle foglie di gelso prodotte.
L’Ospedale comunque non sembra essere stato un proprietario particolarmente esoso e alcuni documenti del suo Amministratore attestano la propensione a trovare con gli affittuari “morosi” accomodamenti e rateizzazioni del debito, se non, nei casi più disperati, la cancellazione dello stesso. In questo senso una “dichiarazione di povertà”, da parte del Parroco rappresentava una necessaria e sufficiente garanzia.
LA CASCINA BLANDORIA
A proposito di cascine sul territorio della Santa, vogliamo ricordare un altro sito di storica memoria: la Cascina Blandoria (o Brandoria), sita proprio a ridosso dell’attuale confine sud con Monza. Fin dai primi del 1500 abbiamo tracce della vigna “Brandoria” di proprietà del Capitolo di San Giovanni di Monza. Nella documentazione fino a tutto il 1600 questo pezzo di terra venne sempre attribuito al territorio di Monza (fuori di Porta de Gradi). Anche quando ai primi del 1700 comparve insieme alla vigna anche una casa colonica, questa non venne inizialmente attribuita alla Santa ma sempre a Monza (anche se sulla strada per la Santa). A questa data la cascina abitata dai massari Tremolada constava di due sole abitazioni entrambe con due stanze a piano terra e due al primo, più naturalmente le stalle e i fienili, tutte disposte in un unico corpo in linea. Dobbiamo aspettare il Catasto di metà ‘800 per trovare la Cascina Blandoria registrata sotto il territorio della Santa. Le sue dimensioni non si svilupperanno di molto dall’impianto originario che ritroviamo quasi immutato fino ad oggi. La cascina si è infatti preservata probabilmente grazie alla posizione nascosta tra l’area dell’ex Lombarda Petroli e il confine con Monza.
La peste “manzoniana” del 1630
Il trend di sviluppo del nostro borgo trovò un forte ostacolo nell’ennesima epidemia del 1630, la famosa “peste Manzoniana”, che tante vittime fece anche nei nostri territori. Basti a tal proposito registrare come nel 1621 tutta la parrocchia contava ben 691 anime che nel 1637 si ridussero a 460, dando quindi un chiaro segno del danno provocato dal contagio della peste. Non abbiamo documenti che ci descrivano i dettagli di questa tragedia alla Santa se non in forma indiretta. Ci riferiamo ad un manoscritto del 1794 custodito presso l’Archivio parrocchiale che riporta un ricordo su Don Antonio Brambilla, parroco del tempo. Si attesta come, trovandosi il cardinale Federico Borromeo a passare per il nostro borgo, questi si recasse presso la casa parrocchiale. Qui non trovò il sacerdote, impegnato nella cura degli infetti, mentre si imbatté in un numero spropositato di pentole a bollire nella sua cucina. Incuriosito, gli spiegarono che servivano a preparare i poveri pasti per i tanti fedeli infermi per il contagio. Il Cardinale restò tanto impressionato dalla dedizione del parroco verso i poveri colpiti dalla pestilenza che lo volle nominare di li a poco arciprete di Monza.
I nostri concittadini
Documenti successivi attestano comunque come ci si riprese con celerità dalla crisi, ripristinando il percorso di crescita demografica ed economica.
Abbiamo un primo elenco dei residenti della Santa del 1655, redatto in occasione del passaggio del feudo della città di Monza dai De Leyva alla ricca famiglia milanese, anche se di origini comasche, dei Durini, che con questa acquisizione raggiunse anche la dignità nobiliare (3). I Durini resteranno a Monza fino al 1796, quando l’amministrazione napoleonica abolirà i residui del regime feudale. Il passaggio di Monza da una famiglia aristocratica spagnola, assente e disinteressata, ad una potente famiglia milanese di mercanti/banchieri comportò non poche trasformazioni negli assetti sociali e politici della città, con un complessivo effetto benefico. Le procedure di acquisto prevedevano chiaramente il censimento dettagliato di tutti i beni e persone presenti nel territorio del feudo, che ne determinavano il valore ed il peso tributario.
PER LA SANTA SI CENSIRONO I SEGUENTI CAPIFAMIGLIA :
Questo nuovo elenco ci presenta 48 nuclei famigliari, di cui 11 sono di vedove povere (contrassegnati con *), senza specificarne il nome e il numero dei componenti. Possiamo comunque stimare il numero degli abitanti di poco superiore ai 200. Non ci dice neanche molto rispetto alle loro occupazioni distinguendoli solo tra chi viveva in casa dei ricchi proprietari del tempo (e ne lavorava in gran parte i terreni) e i pochi che invece vivevano in casa propria. Possiamo così notare come la proprietà dei beni fosse concentrata nelle mani di ricche famiglie sia nobili che borghesi (Recalcati, Secchi, Casati, Durini, Pellizzoni, Scotti, Lesmo) residenti per lo più a Milano. Sono poche le proprietà ecclesiastiche (Barnabiti) mentre resta significativa la presenza dell’Opera Pia dell’Ospedale San Gerardo. Del resto proprio il XVII secolo vide nel Milanese il grande ritorno dei capitali urbani, accumulati nelle attività finanziarie e commerciali, verso l’agricoltura e l’investimento fondiario.
Un esame comparato tra i precedenti elenchi del 1500 con quest’ultimo ed anche con quello del 1674, su cui ci soffermeremo in seguito, ci permette alcune considerazioni sulle dinamiche demografiche della nostra comunità. Viene confermata la forte dinamicità degli ingressi ed uscite dei residenti. Sparirono nomi di famiglie ricorrenti negli elenchi del 1500 il cui posto venne subito occupato da nuovi arrivi. La Santa (come del resto Villa san Fiorano) si confermava terra di immigrazione, che rappresentò fin d’allora la principale spinta all’incremento demografico. Erano ancora tanti i nomi dei capifamiglia contrassegnati dal loro luogo di provenienza (Cinisello, Oggiono, Erba, Garbagnate) ai quali però si affiancarono sempre più i nomi di alcune famiglie oramai consolidate e espressi nella loro forma moderna: Galbiati (prima De Galbiate), Piazza (prima Della Platea), Tornago, Rossi (prima De Rubeis), Casati (prima De Casate). Sono del resto proprio queste famiglie “storiche” che presentavano le maggiori ramificazioni in diversi “fuochi” (fino a 4 nel caso dei Galbiati), come indizio della loro più antica presenza.
Affrontiamo adesso, come sopra accennato, il secondo elenco seicentesco dei nostri concittadini, che pur privo di alcune informazioni importanti risulta più completo del precedente. Si tratta dello “Stato delle Anime” del 1674 steso dall’allora parroco in carica Don Giacomo Francesco Duni. Questi documenti, frutto delle disposizioni postridentine, erano in pratica dei censimenti e recensioni che i parroci dovevano compilare periodicamente, da restituire alle autorità diocesane e che dovevano fornire una fotografia dettagliata della realtà parrocchiale. Dei pochi Stati delle Anime della nostra parrocchia pervenutici, ci siamo soffermati solo su quello del 1674 che pur mancante dei dati relativi alla professione dei capifamiglia e allo stato o meno di “comunicato” e “cresimato”, è però il più completo. I parrocchiani erano divisi in base ai diversi siti di abitazione, per i quali si riportavano i singoli nuclei famigliari (fuochi) con il nome del capo e di tutti i componenti la famiglia, insieme al relativo grado di parentela. Qui non è stato possibile riportare per ovvi motivi di spazio il documento nella sua interezza (4), limitandoci invece a riassumerne i contenuti e a trarne interessanti osservazioni.
Chiaramente, comprendendo il censimento tutto il territorio della parrocchia, le abitazioni che abbiamo ricondotto al perimetro della sola “Santa” sono :
- “Alla Pairana dell’Ill.Sig.Conte G.B.Durino” che era una piccola cascina, ora all’interno del Parco, con un solo fuoco (Lambrugo) di 7 membri;
- “Al Ponchione del Sig.Barnaba Seccho” , altra cascina nel perimetro del Parco, ora scomparsa, anch’essa con un solo fuoco (Castoldo) di 8 membri;
- “Al molino de Scotti”, uno dei Mulini Asciutti con un solo fuoco (Erba) di 12 membri;
- “Al molino sudetto in casa del Vasceleso”, come sopra, con un fuoco (Castoldi G. detto il Vasceleso) di 7 membri;
- “Al molino del Sig. Pelizzone”, altro dei Mulini Asciutti, con un solo fuoco (F.Pirovano) di 9 membri;
- “Al molino de Galbiati”, sempre ai Mulini Asciutti (più molinari potevano lavorare in un unico mulino), con un fuoco (Messer C.Pirovano) di 9 membri;
- “Nella casa del Sig.Jeronimo Lesmo”, che era una piccola casa colonica lungo la via Lecco, lato Parco, con un solo fuoco (Piazza) di 6 membri;
- “Nella casa del Sig. Pelizzone”, in via Don Galli, di fronte alla Bergamina, con un solo fuoco (Riva) di 11 membri;
- “Alla Bergamina de Sigg.Recalcati”, cascina in via D.Galli, ora scomparsa, con 4 fuochi (Casati, più 3 vedove,Tornaga, Rovagnata e Morona) di 16 membri in tutto;
- “Nella casa dei Sigg.Scotti sopra il Dosso”, in via D.Galli (non è il Dosso che ora noi conosciamo all’entrata pedonale del Parco) con 2 fuochi (Cinisello, Erba) di 5 membri in tutto;
- “Nella casa de Padri Barnabiti” di Monza, in via D.Galli, con 3 fuochi (Merlo, Taeggi, Morone) di 11 membri in tutto;
- “Nella casa de Sigg. Scotti” , in via D.Galli con 4 fuochi (Tornago, Del Corno, Nava, Perotta) di 19 membri in tutto;
- “Nello stallo del Sig. Porro”, in via D.Galli d’angolo con via Confalonieri, con ben 10 fuochi (Viganò, Cereda, Bula, Montraso, Rivolta, Merlo, Fortiranna , più 3 vedove, Catarina Rossa, Catarina Molinara e Margaritta Galbiata) di 33 membri in tutto;
- “Nella casa del Sig.Marchion Andreotti”, in via Confalonieri d’angolo con la P.zza della chiesa, con un solo fuoco (Corcinigia) di 13 membri;
- “Nella casa de Sigg.Scotti”, in via Confalonieri, con 6 fuochi (Pirotta, Bissola, Cereda, Galbiato, Casato, Garbagnate) di 28 membri in tutto;
- “Nella casa del Sig.Barnaba Seccho”, parte di Villa Camperio, con 2 fuochi (Lomagno, Brambilla massaro), di 16 membri in tutto;
- “Nella casa di Santo Gerardo”, in via Confalonieri, di fronte ingresso di villa Camperio, con 2 fuochi (Castoldo B., Castoldo G.) di 17 membri in tutto;
- “Nella casa del Sig. Barnaba Seccho”, altra parte di villa Camperio, con 3 fuochi (Bidoia, Montraso, Galbiato) di 22 membri in tutto;
- “Nella casa dei Sigg.Recalcati cioè nel osteria”, in via Confalonieri, con un solo fuoco (Tornago), di 3 membri;
- “Nella casa del masaro di detti Sigg.Recalcati”, sempre in via Confalonieri, con 2 fuochi (Mariano, Lisone) di 10 membri in tutto;
- “Nel molino de Sigg. Recalcati”, in via Confalonieri d’angolo con via Battisti, con 2 fuochi (Villa, Galbiato più la vedova Mavigina Rosia) di 13 membri totali.
Come si vede trattasi di un elenco lungo e dettagliato di tutte le residenze sul territorio con tutti i componenti dei loro nuclei famigliari. Questo ci permette di poter conteggiare con precisione il numero degli abitanti a quella data, cioè 271 distribuiti in 50 “fuochi”. E’ un’ulteriore conferma di quel trend demografico in ascesa, che del resto continuerà, pur con diverse intensità, ininterrottamente fino ai nostri giorni. Alla stessa data Villa San Fiorano ne contava non più di 200. Va comunque sempre precisato che quando parliamo degli abitanti della Santa dobbiamo sempre fare attenzione a distinguere il perimetro della Parrocchia, certo, da quello “amministrativo”, incerto. In quest’ultimo ambito nel territorio della Santa è sempre stato considerato il nucleo centrale della frazione lungo l’attuale via Confalonieri, a ridosso della chiesa parrocchiale. Diverso invece il discorso per tutte le cascine e nuclei esterni che, pur gravitando sulla frazione, non è detto che si facessero rientrare “statisticamente” nella stessa e non invece nell’ambito più ampio del comune di Monza. Dovendo applicare un criterio più ristretto al solo centro storico della Santa, avremmo un dato di abitanti più vicino a quello di Villa san Fiorano, poco più di 200 anime.
Questo documento seppur di competenza ecclesiastica ci conferma come il “confine” che allora delimitava lo spazio della Santa rispetto al territorio cittadino di Monza, tendeva oramai a spostarsi verso nord, avvicinandosi, come visto, al futuro confine tra Monza e Villasanta. Nello stesso perimetro della Parrocchia non vengono più ricomprese quelle cascine e mulini (Villora, San Bernardo, Mulini Val Negra, Gera) che ora facevano capo ad altre parrocchie monzesi e che originariamente erano state invece ricomprese in quella di Santa Anastasia. Il ridimensionamento appare evidente anche rispetto a quanto visto nel secolo precedente in merito ai beni dell’Ospedale. Oltre ai Mulini Asciutti adesso infatti si citano solo le cascine Pairana e Ponchione.
Anche in questo Stato delle Anime non vengono dettagliate le professioni dei capifamiglia. Unica eccezione “il massaro” Brambilla della famiglia Secchi, probabilmente non tanto per l’importanza del suo ruolo quanto per quella del suo datore di lavoro. Possiamo comunque presupporre che l’impianto sociale del nostro borgo non fosse cambiato di molto da quanto visto nel secolo precedente. La grande maggioranza dei residenti era ancora dedita alle attività nei campi (come massari, pigionanti o braccianti) che restavano di proprietà delle ricche famiglie milanesi, come già visto in occasione del 1655. Si conferma la presenza di artigiani “benestanti”, a cominciare dai mugnai e dagli osti. Non è un caso che tra i quattro capifamiglia a cui il parroco Duni attribuì il titolo distintivo di “messer”, due erano molinari e uno oste. Appare poi per la prima volta espressamente la presenza di un’ulteriore attività artigiana, quella legata al ricovero di animali, per lo più cavalli, durante i viaggi e che utilizzava gli “stalli” (o stallatici). Si parla infatti dello “Stallo del Sig.Porro” in via Confalonieri che ai tempi era il tratto cittadino della “Strada Maestra” che portava a Lecco. E’ evidente come il fiorire di questa attività (che troviamo anche per Villa San Fiorano su via Mazzini) fosse proprio legata al traffico che si svolgeva su questo asse viario. Allo stesso modo si comprende la presenza anche dell’osteria sempre in via Confalonieri ad integrazione del servizio di accoglienza dei viaggiatori (con identico sviluppo anche per Villa San Fiorano in via Mazzini e Garibaldi). L’incrocio sulla Strada Maestra con l’attuale via Garibaldi, che segnava il confine tra la Santa e Villa san Fiorano, si stava sempre più caratterizzando come un punto di particolare traffico in cui andavano a concentrarsi non pochi servizi e insediamenti.
Ci arriva quindi la fotografia di una realtà locale vivace e in crescita sia demografica che economica. Un piccolo segno di tale benessere crescente è dato anche dalla presenza in alcune famiglie (non certo nobili) di figure definite quali “garzone” o “famiglio” . Questi collaboravano nelle attività dei nuclei in cui prestavano servizio, i cui capifamiglia erano in grado quindi di sostenere questa spesa. Un altro indicatore di un certo miglioramento nel tenore di vita, anche dei contadini, è dato dall’incremento nel numero medio di componenti dei nuclei famigliari. Si passa dai 3,8 membri del ‘500 agli attuali 5,4 come segno di una maggiore capacità di sostentamento da parte di queste famiglie.
NOTE :
(1) Diverso è il caso delle Cascine dislocate fuori del villaggio, prossime ai campi con i quali costituivano un unico possedimento. Queste assunsero modelli per lo più “ad edifici contrapposti” mentre solo alcune, più recenti, si struttureranno nella forma di grandi edifici a corte con un’aia centrale.
(2) Alla morte dell’ultima rappresentante della casata dei Secchi nel 1704 la villa passerà nel patrimonio del marito Marchese Casnedi. A sua volta l’ultima Marchesa Casnedi, sposata Confalonieri, alla sua morte ai primi dell’800, lascerà la villa in eredità al figlio Federico che vi fu relegato per le sue attività contro il governo austriaco. Il Confalonieri venderà poi nel 1818 la villa alla famiglia Camperio, che nel 1974, nella persona di Giulio Camperio, la donò con tutto il fondo bibliotecario al comune di Villasanta.
(3) Fu proprio nel XVII secolo che crebbe notevolmente da parte del governo spagnolo la prassi della vendita di feudi, in concomitanza all’accentuarsi del fattore che più ne favoriva lo sviluppo: la crescente domanda di denaro da parte della regia camera per far fronte alle ingenti spese militari sia della monarchia sia dello stesso Stato di Milano E in questo clima di difficoltà si ricorse, oltre che all’alienazione di feudi, alla vendita di titoli nobiliari e di tutto ciò che poteva essere messo all’asta: dazi, regalie, diritti di caccia e di pesca, diritto di prestino e di beccaria (macelleria). Questo fenomeno comportò la sempre più diffusa acquisizione di interessi da parte delle ricche famiglie milanesi sul territorio brianzolo, rafforzandone i rapporti con la città capoluogo.
(4) A tal proposito si può consultare la citata opera di O.Zastrow
BIBLIOGRAFIA :
- Archivio di Stato di Milano : fondi Catasto, Censo P.A., Feudi camerali P.A.
- Archivio E.C.A. Monza (Parte I°)
- “Monza, La sua storia – Da borgo a corte : Monza tra ‘600 e restaurazione” – Agnoletto – Ass.ProMonza Ed.Silvana 2002
- “La chiesa di S.Anastasia a Villasanta: dalle origini remote ai tempi odierni” -O.Zastrow – Parrocchia di Santa Anastasia 2004
- “Le istituzioni storiche del territorio lombardo IVX – XIX” – a cura di Giorgio Sassi, Katia Visconti – Regione Lombardia- Direzione generale cultura – 2000
- “La casa rurale nella pianura e collina lombarda “ – Saibene – L.S.Olschki 1955
- “ I tipi di dimore tradizionali nella Lombardia e i loro rapporti con l’ambiente fisico e sociale” – Nangeroni in Atti della Soc. Italiana di Scienze Naturali fasc.3 1960