LA SANTA – Parte V (il 1800 e la nascita di Villasanta)

Il 1800 rappresenta un secolo di grandi trasformazioni e di rapido sviluppo del borgo della Santa. A cavallo dei secoli XIX e XX si afferma il processo di intensa industrializzazione di tutta la Brianza e la Santa vede la progressiva  trasformazione dei suoi contadini in operai. Si arriva così al 1929 con la nascita di Villasanta, dall’unione del comune di Villa San Fiorano e della frazione di Monza.

UN SECOLO DI RAPIDA CRESCITA

Ai primi dell’800 avevamo lasciato i nostri concittadini “santesi” alle prese con la costruzione della nuova chiesa di Santa Anastasia. Questo fu indubbiamente un evento particolarmente importante non solo per la Santa ma per la tutta la più vasta comunità parrocchiale a cui faceva riferimento. Rappresentò anche un chiaro segno di come sia la Santa che VSF, nel loro costante processo di crescita, avessero oramai raggiunto un buon numero di residenti. E in questo senso si rivelò una scelta lungimirante. Fu infatti proprio nei decenni successivi e per tutto il XIX secolo che la frazione della Santa (come del resto VSF) andò incontro ad una fase di forte crescita e sviluppo. A tal proposito basti pensare che si passò dai circa 400 abitanti ai primi del secolo ai quasi 2000 di inizio 1900.

Lo sviluppo urbanistico della frazione non si concentrò unicamente nel nucleo centrale del paese, lungo l’attuale via Confalonieri, ma interessò tutto il territorio comunale con la costruzione di tante nuove cascine. Le figure seguenti ne danno una chiara illustrazione.

Centro della Santa da metà’800 (a sinistra) alla fine ‘800 ( a destra)

Il centro della Santa gravitò sempre intorno all’asse viario storico prima denominato          “Strada nazionale detta Militare per Lecco” per poi diventare “Strada provinciale per Lecco”. Qui continuarono a concentrasi tutti i servizi pubblici e privati a disposizione dei “santesi”. L’ampliamento residenziale si concentrò comunque nella parte meridionale del nucleo centrale, verso Monza.

Più interessante è l’esame dello sviluppo dell’insediamento di cascine intorno al centro. In effetti alcuni edifici presenti in questo settore del paese venivano ancora definiti come “cascine” (Bergamina, Stampa, S.Gerardo) anche se oramai collocate in un contesto più urbano che campestre. Da una rapida analisi delle due mappe seguenti, appare evidente il forte impulso che ebbe l’edificazione di queste “Case coloniche” e della conseguente attività agricola sul territorio.

Presenza sul territorio delle nostre cascine daila metà ’800 (a sinistra) ai primi del ‘900 (a destra)

Di tutte queste cascine possiamo anche stilare una attendibile cronologia della loro costruzione, attingendo a censimenti e mappe dello stesso periodo (è qui esclusa la Cascina Bergamina per la quale si rimanda al racconto nella serie “Accadeva a Villasanta”). Il massimo sviluppo si ebbe nella seconda metà del secolo in esame e nei primi del successivo, con il conseguente forte aumento dei residenti.

(Foto tratte da “Villasanta-Immagini ritrovate” di B.Ferrara e da “Villasanta” di Marchetti/Longoni)

Ma cosa possiamo dire di più dettagliato dei nuovi cittadini santesi? A tal proposito ci aiutano due censimenti individuati nelle nostre ricerche: il primo risale ai primissimi anni dell’800 mentre il secondo è datato 1835.

I CITTADINI DEL 1804

Il primo documento riguarda una “Lista dei capifamiglia di Monza con l’indicazione dell’età, del luogo d’abitazione, della professione, del numero dei domestici e di quello degli operai”. In questo caso siamo stati fortunati e nell’elenco vengono espressamente distinti gli abitanti delle frazioni di Monza, tra le quali appunto La Santa. A questo punto ho voluto inserire l’intera lista dei capifamiglia, anche se un po’ lunga ma capace di soddisfare la nostra curiosità di attuali cittadini.

Vengono riportati 99 nuclei famigliari che sappiamo da altre fonti corrispondere a circa 400 abitanti con una composizione media per nucleo di 4 componenti. L’età media di circa 38 anni è decisamente bassa e in linea con l’altrettanto bassa aspettativa di vita del tempo. Per inciso va subito detto che nessuno di questi capifamiglia poté denunciare la presenza di domestici o operai, come previsto dal censimento. Chiaramente nessuna delle ricche famiglie dei proprietari terrieri o dei primi imprenditori risiedeva alla Santa.

Decisamente interessanti sono i dati relativi alle professioni. Come prima considerazione si evince che le attività agricole erano ancora le più rappresentate. Poco meno della metà (42) dei capifamiglia (e con loro buona parte dei loro famigliari) era ancora impiegata nei lavori dei campi, a conferma dello stato della Santa quale frazione rurale di Monza. Chiaramente all’interno di questo ambito “contadino” troviamo ruoli e condizioni sociali diverse.

Al livello più alto c’erano i due “fattori Centembri e Prina, rispettivamente delle famiglie Stampa e Confalonieri. Il fattore non era chiamato a prestare la sua opera direttamente nei campi ma curava gli interessi dei possidenti e i rapporti con chi (massari, pigionanti e contadini) concretamente conduceva l’attività agricola sui campi dei loro padroni. Non a caso del resto il Prina risiedeva nella parte nobile della stessa Villa dei Confalonieri (poi Camperio) e il Centembri nella Casa di villeggiatura degli Stampa.

Seguivano poi i “massari(ne troviamo 10) che erano i contadini più ricchi, che affittavano e lavoravano ampi appezzamenti di terreno, con l’aiuto di animali e attrezzature adeguate. Occupavano nelle cascine e case coloniche i locali migliori, insieme ai loro nuclei famigliari spesso ampi e articolati.

Al livello inferiore troviamo i “pigionanti” (ben 27) che rappresentavano il gruppo più numeroso. Erano i contadini che lavoravano appezzamenti più piccoli, con la sola forza delle braccia ma che comunque potevano contare sulla disponibilità in affitto sia del terreno che di un alloggio, per quanto infimo.

Ci sono infine tre “contadini”, propriamente detti. Si trovavano, guarda caso, tutti e tre nella Casa del Cittadino Loria, di fronte alla nuova Chiesa (ricordiamo che questi sono gli anni “francesi” della Repubblica Cisalpina). Pensiamo che il loro stato si avvicinasse a quello del “braccianti”, lavoratori che prestavano la loro opera a giornata senza un contratto di affitto di qualche pezzo di terra.

Rispetto alle condizioni di vita di questa popolazione “agraria” possiamo accennare al fatto che tutto l’800 rappresentò per loro (come in tutta la fascia della “pianura asciutta” lombarda) un periodo di progressivo peggioramento. Si passò dal “contratto a masseria” a quello “a grani”. In base a questa nuova forma di rapporto i proprietari potevano modificare il contratto facendo saltare la divisione a metà dei prodotti e stabilendo che la famiglia colonica dovesse corrispondere al proprietario una quota fissa di grani, arrivando anche a richiedere una quota ulteriore come fitto per la casa, prima in uso gratuito. Anche il forte aumento demografico giocò un ruolo penalizzante per queste classi sociali. I proprietari terrieri poterono contare su un gran numero di braccia in sovrannumero e ottenere condizioni vantaggiose sul mercato del lavoro. Furono gli anni di diffusione della “pellagra”(1) e delle rivolte contadine. Anche dopo i grandi moti del ‘48, permase una forte mentalità antipadronale anche dopo l’Unità perché in due occasioni – la prima volta nel 1882 e poi nel 1887 – i coloni dell’alto Milanese, della Brianza, della Lombardia asciutta diedero vita ad ondate spontanee di protesta anti-signori. La più famosa di queste è quella che vide al centro Arluno, un comune alle porte di Milano, la cui protesta divenne emblematica perché la canzone di questi disperati – largamente diffusasi in Lombardia – diceva “Viva nügn, viva qui de Arlün, a morte i sciùri e i guàrdi del cumün”. Nel 1885 scoppiarono agitazioni e scioperi contadini anche a Vimercate e Lissone. Ancora più a noi vicini furono i tragici fatti di Bernate nel 1901, quando una pacifica manifestazione contadina con tanto di sciopero, fu repressa nel sangue.

Ad alleviare il peggioramento delle condizioni di vita dei contadini, contribuì in parte lo sviluppo dell’attività di “bachicoltura”. Abbiamo già visto nell’articolo sulla Santa nel 1700 lo sviluppo impetuoso dell’allevamento dei bachi anche nel nostro territorio. Ma anche questa fonte di reddito con la fine del secolo andò prosciugandosi.
A dare una vera e significativa svolta a questa difficile situazione sociale fu proprio l’”industrializzazione” (a cominciare dal settore tessile) che permise alle famiglie contadine di integrare il proprio scarso reddito “agrario” e di trovare nuove ampie possibilità di lavoro per quelle braccia che l’agricoltura non riusciva più a sfamare. Dapprima il fenomeno coinvolse manodopera femminile e minorile per poi, con l’affermarsi dell’industria metalmeccanica, furono gli uomini più capaci ad abbandonare le attività agricole.

IN MERITO ALLA CONDIZIONE DELLE CAMPAGNE MONZESI NELLA SECONDA META’ DELL’800 ABBIAMO RIMANDIAMO IN NOTA (per la sua lunghezza) IL RISULTATO DEL QUESTIONARIO PER L’INCHIESTA AGRARIA 1878

A fianco però di questi lavori tradizionali di ambito agricolo, troviamo alla Santa anche i segni sia di una mai mancata fiorente attività artigianale che di nuove attività fonti di futuri sviluppi industriali. Abbiamo così nel primo caso ben 20 artigiani, tra “classici”, con o senza bottega (sarti, falegnami, calzolai, fabbro e oste) e più particolari come il bastaro (sellaio) o postaro (commerciante di alimentari). Nel secondo caso dobbiamo annoverare i “lavandari” (9, quasi tutti Erba) e i “tessitori o testori” (11). Sappiamo come queste prime botteghe crearono l’ambiente adatto per sviluppare nei decenni successivi i primi insediamenti industriali proprio nella filiera del tessile.

Tra le attività non-agricole dobbiamo poi notare la conferma della lavorazione molitoria. Sono ben 11 i “molinari” censiti alla Santa. Nel dettaglio dobbiamo dire come in quegli anni si era creato nel settore una sorta di monopolio della famiglia Bosisio. Gli undici capifamiglia individuati come mugnai erano infatti tutti dei Bosisio. Questi oltre che possedere uno dei mulini di Sesto Giovane, lavoravano anche negli altri due esistenti: il secondo di Sesto Giovane (di A.M.Schira) e il mulino della Santa (in via Confalonieri degli Eredi Marchesi Recalcati).

In chiusura vale la pena accennare come 2 capifamiglia vivessero di rendita (immobiliare). Di sicuro il giovane Paolo Stampa, proprietario con il fratello di terreni e case, a quanto pare unico personaggio di rilievo “economico” residente alla Santa. Meno certo è il secondo, Pirotta Giuseppe Antonio, proprietario di case ma definito vagamente “senza impiego”.

Questa lista ci permette anche di individuare le abitazioni che venivano considerate appartenenti alla frazione della Santa. Abbiamo riportato nella scheda sottostante i nomi delle abitazioni con il numero dei nuclei che le occupavano e la loro probabile corrispondenza con l’odierna localizzazione (non sempre di facile individuazione).

Da queste indicazioni possiamo verificare come i “confini” che delimitavano la Santa all’interno del territorio di Monza corrispondevano già in buona parte con i futuri veri confini che delimiteranno il territorio di Villasanta da quello di Monza, dopo l’unione della Santa con VSF.

I PARROCCHIANI DEL 1835

Il secondo censimento a nostra disposizione è invece un documento ecclesiastico che consiste in una Rubrica delle parrocchie di San Gerardo, della Santa e di Brugherio nel 1835, sempre però entro i confini del Comune di Monza. In questo caso vengono elencati nome e cognome, l’abitazione di residenza con numero civico e la professione. Anche per questa rubrica si è voluto riportare tutto l’elenco dei nominativi.

Il numero dei capifamiglia, censiti qui in ordine (quasi) alfabetico, si fermò a 96, rispetto ai precedenti 99. A questo dato però non corrispose una diminuzione dei residenti che invece a questa data erano già quasi 700. Non è chiaro a cosa attribuire questa mancata corrispondenza. I siti di abitazione, come vedremo,  mostrarono un saldo positivo, quasi ad indicare come se meno famiglie vivessero in spazi più ampi. Si può allora pensare ad un ampliamento del numero dei componenti dei nuclei famigliari o, più semplicemente, alle diverse modalità di censimento delle due diverse fonti di rilevamento.

 

Un primo dato da segnalare è come a distanza di soli 30 anni da un censimento all’altro, confrontando i due elenchi, riscontriamo un deciso ricambio nelle famiglie residenti. Dalla comparazione si sono potute rilevare non più di una ventina di casi di identità o diretta discendenza dei capifamiglia. Appaiono nuove famiglie, già con più nuclei (Carozzi, Giovenzana, Maggioni), mentre scompaiono altre consolidate (Giardina, Giraldelli). Pur dovendo sempre mettere in conto i possibili errori di rilevazione e la precarietà degli strumenti di censimento di allora, possiamo comunque confermare come la Santa (al pari di VSF) mantenesse la sua caratteristica di forte mobilità demografica e di “terra di immigrazione”, capace di offrire buone opportunità di lavoro ed insediamento sociale.

Altrettante divergenze riscontriamo rispetto alle “Professioni” segnalate. Viene confermata la “vocazione” agricola della Santa ma con una ben diversa distribuzione dei ruoli e livelli sociali. Qui il maggior numero dei capifamiglia è detto “Giornaliero” (ben 62), che solitamente indica chi presta il proprio lavoro “a giornata”, in particolare in agricoltura. Si dovrebbe allora dedurre che alla Santa la gran parte dei capifamiglia fossero dei “braccianti”.

Domenico Aspari : "Paesano de'contorni di Monza " - Inchiesta napoleonica 1811

La qual cosa non sembra molto verosimile. Sembra decisamente più attendibile la precedente distinzione nei diversi ruoli delle attività agricole (fattori, massari, pigionanti, contadini). Non si capisce poi in cosa si dovessero distinguere dai “giornalieri” gli 11 “contadini” qui censiti.

Altro dato dissonante è quello degli “artigiani”, qui limitato a 8 contro i 20 del 1804, quasi che tra questi gli eventuali lavoranti senza bottega siano stati considerati come “giornalieri”.

I “molinari” si riducono a 3, tutti comunque sempre dei Bosisio, come anche i “bugandai” (lavandai) censiti sono solo 4 (sempre Erba).

Ci sono ancora 2 “redditieri”, proprietari di case, mentre appare una nuova figura, il “diretore della fabrica” (Galbiati F.). Non siamo riusciti ad individuare di quale fabbrica si trattasse, ma certo è il segnale di una realtà socio-economica che si andava rapidamente trasformando.

In generale dobbiamo dire che questo elenco “parrocchiano” non sembra molto attendibile in tema di professioni censite.

Ci dice invece qualcosa di più attendibile sul fronte delle Abitazioni individuate. Anche qui abbiamo riportato nella scheda sottostante l’elenco delle Abitazioni che venivano considerate nel perimetro della Parrocchia della Santa, limitatamente al territorio comunale di Monza in quanto, come oramai ben sappiamo, la Parrocchia si estendeva anche su tutta VSF. Anche in questo caso non è stato sempre facile localizzare le case e cascine del tempo nell’odierna topografia e ancora più difficile confrontare le Abitazione del 1804 con quelle più recenti del 1835.

Come prevedibile in quest’ultimo elenco troviamo siti prima assenti e notiamo come l’ampliamento urbano della Santa, come già accennato, si realizzò soprattutto con la costruzione di nuove cascine. Fenomeno questo che si intensificherà nella seconda metà del secolo. Troviamo comunque anche siti non più censiti, quali ad esempio le Cascine Pairana e Poncione, nel 1835 oramai ricomprese nel Regio Parco e dismesse. I Mulini Asciutti, anche loro a quella data nel perimetro del Parco, rimasero nella competenza della Parrocchia di Santa Anastasia. Sparisce anche la Cascina Blandoria, passata adesso a San Gerardo, nel suo continuo altalenarsi tra Monza e la Santa.

LA NUOVA ERA INDUSTRIALE

Tutte le informazioni fin qui esposte ci forniscono evidenti segnali delle trasformazioni che la realtà “santese” si avviava a vivere lungo tutto il secolo. La piccola frazione agraria di Monza vide una rapida crescita demografica che accompagnò l’inizio di quel processo di “industrializzazione” che investì del resto tutta l’area monzese e brianzola. Come a VSF si affermarono via via figure come quelle dei “bugandai” e dei tessitori, segno della rapida affermazione di queste prime attività artigiane e industriali, insieme al progressivo aumento dei nuovi operai. Se Monza già dal secolo precedente si configurava come un fiorente centro industriale e artigiano, è con la seconda metà dell’800 e i primi decenni del ‘900 che anche tutta la Brianza, a cominciare dal circondario monzese, vide il moltiplicarsi degli insediamenti industriali e il progressivo declino delle attività agricole. Sono questi gli anni in cui si assiste in tutta la fascia pedemontana lombarda, densamente abitata, all’avvio del fenomeno della protoindustrializzazione e poi all’industrializzazione in tutta la Lombardia (2). Nel circondario di Monza gli addetti nel settore industriale passano dal 33,4% del 1881 al 58,1% del 1911, ribaltando praticamente il rapporto con gli addetti al settore agricolo.
Anche alla Santa, come a VSF, fu l’industria tessile a trovare i primi sviluppi significativi. Nel 1840 alla Santa si contavano 25 telai da cotone, primo embrione di futuri moderni insediamenti industriali.
Furono soprattutto le donne, e spesso anche i fanciulli, a trovare impiego presso queste prime imprese tessili, filatoi e tessiture., mentre gli uomini restavano a lavorare nei campi. Si preferivano in effetti le donne in quanto considerate adatte a mansioni che più che vigoria fisica richiedevano precisione d’occhio e di mano, con gli ulteriori vantaggi di salari più bassi e maggior arrendevolezza.  In compenso le condizioni di lavoro per queste operaie erano decisamente dure. Da numerose indagini svolte lungo il secolo apprendiamo come gli orari di lavoro erano di 12/15 ore, le paghe bassissime, i maltrattamenti continui, gli ambienti malsani (latrine senza acqua, assenza di locali per pasti, pulizia personale o allattamento). Tutto ciò aveva gravi conseguenze sullo stato di salute sia loro che dei loro figli, con tassi di mortalità infantile elevatissimi.

Come abbiamo visto anche per VSF tanti furono comunque i segni di questa modernizzazione che si realizzò anche nel campo dei servizi. Rimandiamo a quanto scritto per VSF ad esempio in merito all’arrivo nel territorio delle linee ferroviarie e di quelle tramviarie.

La parrocchiale di Santa Anastasia prima degli ampliamenti del 1936

In questo senso possiamo annoverare anche l’ampliamento della parrocchiale di Santa Anastasia, oramai insufficiente ad accogliere le popolazioni di VSF e della Santa in costante aumento. Nel 1884 il parroco Don Panceri diede inizio ai lavori di ingrandimento del tempio, prevedendo la realizzazione di due navate laterali da affiancare a quella principale preesistente. L’attuale configurazione della nostra chiesa fu però raggiunta con gli ultimi importanti lavori del 1936, ad opera del parroco Don Galli. In particolare si realizzò un nuovo imponente campanile e un ampliamento di tutti i corpi di fabbrica ad est delle tre navate.

Se dobbiamo segnalare una originale caratteristica delle vicende santesi in questi decenni, possiamo citare la particolare vivacità e determinazione di questa comunità nell’attivarsi per ottenere migliori condizioni dei servizi sul territorio. Furono ricorrenti le richieste pubbliche rivolte all’Amministrazione monzese perché si realizzassero una serie di interventi alla Santa.

L’ILLUMINAZIONE PUBBLICA
Un primo esempio è quello dell’”Illuminazione pubblica”.  E’ infatti del 1873 la prima petizione firmata da 15 cittadini santesi per ottenere l’installazione alla Santa di ben “tre lampade” per illuminazione stradale, praticamente lungo l’attuale via Confalonieri. Le firme erano dei capifamiglia più attivi e in vista del paese. Tra queste spiccavano quelle “pesanti” di Francesco Staurenghi, Presidente della Congregazione di Carità di Monza e quella di Francesca Ciani, Vedova Camperio. Non è questa del resto la prima volta che ci siamo imbattuti in episodi di partecipazione della famiglia Camperio alle vicende santesi, a dimostrazione di un certo radicamento della stessa sul nostro territorio. Sono poi interessanti alcune delle motivazioni con le quali i nostri concittadini sostenevano la loro richiesta. Oltre all’oramai intensissimo traffico lungo la “stradale che conduce a Lecco”, si adduceva anche il fatto che “il Comune è soggiorno gradito specialmente nella stagione estiva oltreché dei proprietari del luogo anche di molti villeggianti attratti dall’amena sua posizione e dalla sua vicinanza con i centri popolosi”. A distanza di 150 anni queste considerazioni ci appaiono quasi incredibili, ma, pur in un contesto completamente stravolto, a pensarci bene, mantengono comunque una parte di attualità.

La richiesta ottenne comunque l’esito sperato. Non altrettanto successe tre anni dopo, con la nuova petizione del 1876. In questo caso i 17 firmatari (non tutti gli stessi della precedente) chiedevano l’installazione di una quarta lampada stradale di fronte all’allora Mulino Panceri (Piazza Camperio, Lato Ovest). Qui è interessante il riferimento che i richiedenti fanno al fatto che nel frattempo il comune di VSF aveva installato ben quattro lampade e in un tratto di strada meno popolato di quello della Santa e dove oltretutto vi erano più esercenti che tenevano accesa la lampada fuori dal loro negozio. Questo confronto con VSF non portò però fortuna ai postulanti. Il funzionario comunale di Monza incaricato del sopralluogo relazionò al Sindaco che il tratto di strada era perfettamente illuminato e che “questa domanda ha tutta il carattere di gara di campanile. Se il Comune di VSF avesse collocato tre lampade invece di quattro la frazione della Santa si sarebbe ben guardata dal domandarne una quarta”. Non possiamo certo sapere se in effetti l’illuminazione del posto fosse più o meno adeguata, ma possiamo ritenere verosimile l’osservazione del tecnico comunale. La stretta convivenza dei nuclei centrali di VSF e della Santa se da un lato aveva portato ad attivare servizi in forma promiscua, dall’altro stava radicando tra le due comunità una sorta di rivalità e di campanilismo paesano, in una continua competizione e confronto su quale delle due potesse vantare migliori condizioni di vita. Da qualche decennio si era anche aperto il contenzioso tra Monza e VSF in merito alla eventuale aggregazione della Frazione a VSF. Ma di questo parleremo in seguito.

In questa foto dei primi del 1900 si intravede, sospesa sulla via, una delle prime lampade installate per l’illuminazione pubblica

In merito al tema “illuminazione” abbiamo un’ultima petizione del 1883 sottoscritta da 19 cittadini, in particolare industriali santesi (Cremona, Tronconi, Meregalli, Maggioni, Lissoni) che chiedevano anche loro una quarta lampada ma con diverse motivazioni. Qui il tratto di strada da illuminare era dalla parte opposta del paese, cioè quasi all’altezza dell’entrata del Parco sul lato Est della Provinciale. Era infatti proprio in questa zona della frazione che i suddetti industriali avevano edificato nuovi importanti caseggiati (siamo probabilmente all’altezza delle attuali vie Vercesi e Vespucci) con più di cento residenti e importanti nuovi esercizi e imprese. Il paese stava cioè spostando il suo baricentro verso sud, con le necessarie attenzioni verso i nuovi insediamenti. Non trascurarono di addurre anche motivazioni di sicurezza: “E non fu raro il caso che tra le fitte tenebre delle notti jennali alcune ragazze addette allo stabilimento Tronconi siano cadute nella cunetta di acqua che scorre tosto dopo…. mentre havvi anche il pericolo di vederle molestate dai giovinastri che tranno profitto da ogni accidente per le loro male voglie”.  Significativo il riferimento al lavoro femminile che si stava affermando con forza soprattutto nelle imprese tessili. Comunque sia, l’Amministrazione monzese pose in breve tempo questa quarta lampada.

LA CONDOTTA MEDICA
Un percorso simile lo ritroviamo anche in merito all’istituzione alla Santa di una “Condotta medica”. In questo caso l’istanza del 1876 fu firmata da 19 cittadini tra i quali come primo presentatore spicca la firma di Filippo Camperio (3), a riprova di quanto si diceva sopra del ruolo dei Camperio nella vita del paese. Il Sindaco di Monza nella sollecita risposta, rivolta però alla Nobile Sig.ra Francesca Ciani vedova Camperio, si impegna ad attivarsi per realizzare quanto richiesto, magari in collaborazione con il comune di VSF, precisando da subito che la cosa non avrebbe richiesto tempi brevi. In effetti i cittadini sia della Santa che si VSF dovettero aspettare i primi anni del ‘900 per veder realizzato il progetto di una Condotta medica promiscua tra i due comuni

IL LAVATOIO PUBBLICO
Ultima in ordine di tempo arrivò nel 1907 la petizione sempre al Comune di Monza per la realizzazione di un “lavatoio pubblico”. Qui siamo di fronte ad un servizio di primaria necessità per i cittadini del tempo che non avevano altra possibilità di lavare i panni e la biancheria se non nelle acque delle rogge, allora ancora decisamente pulite. E del resto mentre le altre istanze furono per lo più sottoscritte da membri della “borghesia” locale, in questo caso invece le 118 firme provenivano dai ceti popolari della Santa. Non a caso nel testo si parla chiaramente di una “ popolazione composta in maggior parte di famiglie operaie”. Erano quelle famiglie dove si riusciva magari a conciliare il lavoro presso le tante aziende che si stavano insediando in tutto il territorio monzese con la conduzione anche se marginale di qualche campo. I nostri concittadini lamentavano comunque la scomparsa dal 1903 del precedente lavatoio situato presso la cascina Bregamina. Un contenzioso con il Consorzio della Roggia Gallarana aveva bloccato il previsto nuovo lavatoio. Anche questa volta il Comune di Monza accolse la richiesta e si attivò per definire con il Consorzio una Concessione d’uso e per costruire il nuovo lavatoio sempre sulla Gallarana ma all’altezza dell’attuale via Sauro.

Un lavatoio dei primi del '900 (a sinistra) e degli anni '50 (a destra). La fatica era sempre la stessa.

L’UFFICIO POSTALE
Segnaliamo in fine come anche per l’istituzione di una “Collettoria postale” alla Santa, alla quale si arrivò nei primi anni ’80 del secolo, molto contribuì una ulteriore petizione popolare di cui abbiamo però solo una documentazione indiretta, senza copia del documento stesso.

DALLA SANTA A VILLASANTA

Nell’articolo “VSF parte III° – Dal 1800 alla nascita di Villasanta nel 1929” abbiamo esposto il lungo e travagliato percorso che portò alla nascita di Villasanta, prima con l’aggregazione della Santa al comune di VSF nel 1928 e l’anno successivo con l’intitolazione del nuovo comune. Rimandiamo dunque al suddetto articolo per seguire il contenzioso sui destini della frazione tra Monza e VSF, che abbiamo visto già in atto a metà ‘800.

La Santa arriva dunque al fatidico appuntamento del 1928 come una “progredita cittadina lombarda” (la definizione è dello stesso Podestà di VSF).  Non sono pochi gli indici che ci attestano questa raggiunta condizione di progresso, a cominciare dal numero degli abitanti, arrivati a quella data a circa 2700 (di poco, ma comunque più numerosi di quelli di VSF). Nelle cascine del paese restava ancora un buon numero di coloni che viveva del lavoro nei campi, ma si era oramai consolidata una larga fascia di famiglie che sempre più trovava opportunità di lavoro e di benessere nei settori industriali e commerciali. E questa era la parte più ricca e attiva del paese. A questo proposito è significativo l’elenco dei “contribuenti soggetti ad imposta complementare” (assimilabile all’odierna Irpef) che dalla Santa passarono sotto il comune di VSF.

Ne riportiamo i primi dieci :
FONTANA ANGELO , industriale
CAMPERIO CAV. FILIPPO, benestante
DAELLI GIUSEPPE, industriale
PESSINA GIUSEPPE, industriale
MAGGIONI AMBROGIO, commerciante
BRIOSCHI GIOVANNI, industriale
RADAELLI ROSA GESUINA VED. DAELLI, benestante
DAELLI ANTONIO, industriale
FONTANA MARIO, industriale
FONTANA SAMUELE, industriale

Il resto degli 82 contribuenti era poi composto sempre da industriali, artigiani, impiegati o commercianti. Se da una parte abbiamo quindi visto il crescere dei ceti operai, qui dall’altra abbiamo il segno dei nuovi ceti “borghesi” e “piccolo borghesi” del nostro paese.

Non mancano alcune curiosità in questo elenco. Ad esempio l’illustre Notari Comm. Umberto (dell’omonima villa in via Garibaldi) pur definito “Possidente” veniva tassato per un importo decisamente scarso. Più di lui contribuiva l’architetto Borradori Pietro, a cui dobbiamo tanti edifici in paese (Municipio, ex Cinema Lux). Alla Santa risiedevano ben 7 ferrovieri (tra cui anche il capo-stazione) che dichiaravano però redditi tra i più bassi,  insieme ai due insegnanti.

(Foto tratte da “Villasanta- Immagini ritrovate” e “Villasanta in cartolina” di B.Ferrara)

La rendita agraria pur avendo perso il peso predominante ancora saldo ai primi dell’800, non era certo scomparsa e continuava a dirottare ricchezza dal territorio verso le più o meno antiche famiglie della nobiltà e della grande borghesia di Milano e Monza. I nuovi ceti industriali nascevano invece direttamente dal contesto “paesano” e restavano fortemente radicati nel territorio. Troviamo già i nomi di tante famiglie che costruiranno la tradizione industriale del pese : Fontana, Daelli, Brioschi, Pessina, Carozzi, Colombo, Cremona, Locati, Pennati. E’evidente come tutto ciò rappresentò un forte volano di sviluppo, ricchezza e benessere per la nuova Villasanta, che vide trasformarsi completamente (in particolare dal secondo dopo-guerra in poi) il suo territorio e con questo il suo tessuto socio-economico. Iniziò in questi decenni quel processo di espansione residenziale e industriale che cancellò progressivamente tutte le tracce della Villasanta “campestre”, che ne aveva addirittura fatto un ameno sito di villeggiatura.

 

NOTE :

(1) La pellagra è una malattia causata dalla carenza o dal mancato assorbimento di vitamine. È una patologia frequente tra le popolazioni che facevano esclusivo uso della polenta di sorgo o di mais come alimento base. Il nome del male derivava dal fatto che i primi sintomi erano la desquamazione della pelle (“pelle agra”) cui seguivano disfunzioni intestinali e la follia, l’ultimo stadio fino alla morte. La malattia imperversò in tutta la pianura padana dalla metà del ‘700 fino ai primi anni del ‘900.

 (2) Secondo i dati del Censimento degli opifici e delle imprese industriali del 1911, tra Monza e la Brianza le aziende industriali attive erano 2.446, e offrivano lavoro ad oltre 53mila persone. In particolare, a trainare l’economia della Brianza dei primi del ‘900 erano le industrie che lavorano e utilizzano prodotti dell’agricoltura, della caccia e della pesca (tra cui la lavorazione del legno e la fabbricazione di mobili) con 1.487 imprese dislocate in tutta la Brianza. Anche l’industria tessile, con 471 aziende offriva lavoro a circa 37mila lavoratori, pari al 67,4% dei brianzoli occupati nell’industria nel primo decennio del XX secolo. È quanto emerge da elaborazioni dell’Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza su dati Censimento degli opifici e delle imprese industriali, 1911.

 (3) Filippo (Philippe) Camperio, (1810-1882), figlio di Carlo e Francesca Ciani, insigne giurista e uomo politico, visse quasi tutta la vita a Ginevra e, anche grazie al legame con gli zii Ciani, fu in contatto con l’ambiente ginevrino dell’emigrazione politica. Nel 1847 ottenne la cattedra di diritto costituzionale che era stata di Pellegrino Rossi, di cui fu allievo ed amico negli anni della gioventù. Corrispondente appassionato di Cristina di Belgiojoso, fu un personaggio importante nella vita politica della città adottiva, accumulando numerose cariche tra cui quelle di membro del Gran Consiglio, deputato di Ginevra nel Consiglio degli Stati della Confederazione e Consigliere di Stato. Non si sposò e non ebbe figli.

 

 

 

 

Dei  nostri contadini del tempo possiamo dare un ritratto più dettagliato grazie ai risultati del questionario per lo “ Studio sulle condizioni igieniche e sanitarie, civili ed economiche dei lavoratori della terra in Italia” steso nel 1878 dal parlamentare A.Bettani , commissario per l’inchiesta agraria.
Questa raccolta dati si svolse chiaramente anche per Monza e il suo contado. L’estensore D.Rossi precisò oltretutto come questo lavoro non incideva tanto sul contesto “urbano” di Monza, dove la popolazione agricola era praticamente assente, quanto soprattutto proprio sulle aree comunali più esterne dove era ancora presente una buona quota di ceto agricolo. Da qui il particolare interesse per la realtà della Santa, che possiamo estendere del resto anche a quella di VSF.

ABITAZIONI

  • Le pubbliche vie sono tenute in buono stato di nettezza, anche perché il territorio suburbano di Monza è considerato sede di villeggiatura con ville e giardini, i cui proprietari tendono a garantire pulizia e decoro del contesto pubblico;
  • Le case coloniche sono quasi tutte a pigione. Non occorrono alloggi provvisori per lavoratori stagionali o per contadini lontani dai loro campi;
  • Le riunioni invernali nelle stalle coinvolgono poche persone, in quanto ogni famiglia gode di una propria stalla. Anche se gli animali non coabitano con la famiglia, spesso i porcili e i pollai sono troppo vicini alle abitazioni (per paura dei ladri);
  • I cessi (collettivi) ci sono ovunque e seppur non molto puliti vengono vuotati spesso per l’ingrasso (concimazione);
  • I coniugi hanno una camera a parte con la prole fino alla pubertà. Poi le ragazze non dormono mai con i maschi che spesso d’estate dormono all’aperto;
  • Le case sono costruite con mattoni e stuccate a calce dentro e fuori, quasi mai imbiancate o colorate. Hanno imposte con telai per vetri, che però in caso di rottura vengono sostituiti da carta oliata;
  • La diffusione della bachicoltura, in cui è interessato anche il proprietario, lo ha spesso indotto a procurare al colono camere spaziose e aerate che, passata la stagione dei bachi, servono alla famiglia.

ALIMENTI

  • La base dell’alimentazione è il granoturco, per lo più come polenta. Si aggiungono a questa il latte, il riso il cacio, i legumi e le carni raramente(solo nelle festività anche se i capifamiglia ne mangiano di più all’osteria);
  • Il pane, sempre di granturco o misto, è spesso insalubre perché mal cotto.
  • Il condimento più diffuso è il burro, mentre i più poveri usano l’olio d’oliva o di semi.
  • La mattina si mangia polenta con poco companatico. A mezzogiorno minestra. Polenta e latticini la sera. Il vino si beve solo nei giorni festivi o in occasioni particolari. La birra è poco usata, mentre i contadini, soprattutto non accasati, hanno recepito dalla classe operaia l’uso di bere acquavite la mattina prima del lavoro;
  • L’acqua potabile si ricava dai pozzi (da 6 a 20 metri). Per il bestiame e per lavare si ricorre alle rogge, la cui acqua “è pur sana se non fosse inquinata da tintorie, folle ed altre industrie”

EDUCAZIONE, ISTRUZIONE, USI SOCIALI

  • La pulizia è poco curata, tranne che nei giorni di festa. Ci si bagna nel Lambro e nelle rogge ma più per spasso che per pulizia;
  • In casa e al lavoro gli uomini usano zoccoli con suole di legno e mezze scarpe di cuoio. Le donne vanno sempre calzate;
  • La camicia si cambia la domenica, le lenzuola meno frequentemente;
  • Frequentare le scuole si ritiene cosa pregevole, ma la frequenza è ostacolata per i ragazzi dai piccoli servizi di campagna richiesti dalle famiglie e per le ragazze dal lavoro nelle fabbriche manifatturiere;
  • Le scuole comunali si imbiancano annualmente e i cessi si lavano giornalmente senza disinfettanti, se non in estate;
  • Il servizio militare è subito come peso ma non evitato. Molti tra i contadini sono riformati per “gracilità”. Il servizio serve ad aprire la mente al contadino ma ne mina la remissività;
  • Alle elezioni amministrative partecipano se sollecitati. Per le politiche ben pochi hanno la qualifica elettorale;
  • I divertimenti abituali sono le bocce, la morra e le conversazioni all’osteria. I giovani ballano nelle stalle. I contadini partecipano alle feste religiose e sagre ricorrenti. Si rilevano scarse ed innocenti superstizioni contadinesche.

CONDIZIONI FISICHE E SOCIALI

  • In estate sul lavoro si prevede un’ora di pausa la mattina alle 8,00, due ore a mezzogiorno e una alle 5 di sera se il lavoro è pesante. Il contadino dorme 6/7 ore e si leva sempre prima del sole. Dorme su pagliericci;
  • Si inizia a lavorare a 18 anni fin oltre i 60, salvo malattie. Pochi gli ultraottantenni;
  • Ci si sposa i maschi a 27 anni, le donne a 21, quasi sempre con prole;
  • I lattanti restano nelle fasce per un anno. I pannolini si cambiano poi frequentemente. Con la comparsa dei primi denti si passa ai primi cibi, quali pappa di frumento con brodo o latte;
  • Le donne lavorano nei campi ma son esentate dai lavori più pesanti. I ragazzi dai 7 anni cominciano ad aiutare in campagna (guardia alle bestie, raccolta prodotti);
  • Le donne e fanciulli non usano andare a giornata in campagna, tranne che nelle famiglie molto povere.

MORALITA’

  • Vi è minore delinquenza che tra la gente di Città. I reati più diffusi sono : i furti ma di scarsa entità – i ferimenti per l’uso dei contadini di portare in tasca un falcetto – le grassazioni (rapine a mano armata)per la maggior facilità in campagna di restarne impuniti;
  • L’ubriachezza di vino non è diffusa tranne che le domeniche;
  • Le relazioni di famiglia sono rispettate. Quelle immorali si tengono ben nascoste per la buona reputazione;
  • “Con l’opportunità per i singoli di far guadagni personali in lavori industriali e speculazioni commerciali si sono sciolte le grandi società familiari di contadini” ;
  • Le liti da convivenza tra più famiglie non finiscono mai in Tribunale ma risolte sulla base delle consuetudini e della buona reputazione tra i vicini;
  • Le famiglie coloniche si divido tra quelle con e quelle senza bestiame da lavoro. Nel secondo caso lavorano tanta terra quanta possono vangare gli uomini validi (marito, genitore anziano e giovane figlio). Nel primo caso il terreno coltivato si raddoppia insieme ai membri della colonia o a suoi salariati;
  • Le colonie hanno oramai raggiunto il massimo “sminuzzamento” e le braccia crescenti vanno a cercare lavoro nell’industria di città.
  • Le nascite illegittime sono rare;
  • In campagna non vi sono prostitute registrate. I contadini accedono spesso alle meretrici di città;
  • “Il contegno delle ragazze non è molto rigoroso e se ne vuole addebitare più la vanità che il bisogno”;
  • La vicinanza con i centri industriali ha portato ad una maggiore ricchezza con l’occasione di più frequenti stravizzi. I contadini restano comunque più legati alla loro reputazione di morigeratezza rispetto ai lavoratori di manifatture;
  • L’accattonaggio non è frequente.

CONDIZIONI ECONOMICHE

  • I contadini non possono garantirsi un reddito per la loro vecchiaia. Il loro investimento consiste nell’allevamento dei figli che dovranno poi alimentare i genitori diventati vecchi;
  • Il ben scarso capitale dei contadini è spesso assorbito dai loro debiti verso il padrone. Al contadino che lascia il fondo il “costume” prevede che venga comunque lasciata la scorta di vettovaglie e gli strumenti di casa e di lavoro (non il bestiale);
  • Stante le attuali condizioni contrattuali e di lavoro è ben difficile che i contadini possano diventare piccoli proprietari;
  • Non esistono istituzioni speciali di mutuo soccorso per i contadini.

BIBLIOGRAFIA :

ARCHIVIO DI STATO MILANO =  Fondi : Catasto, Censo

ARCHIVIO STORICO CIVICO DI MONZA = Fondi : Archivio Storico Civico, Archivio E.C.A., Archivio Repubblica Cisalpina

OLEG ZASTROW = “La chiesa di Santa Anastasia a Villasanta” – Parrocchia di S.Anastasia Villasanta – 2004

F.DELLA PERUTA = “L’Agricoltura e i contadini lombardi nell’ottocento” – in M.Pirovano “Oggetti, scene, contesti” – Ed. Museo Etnografico Alta Brianza – 2004

S.ZANICHELLI = “Vita economica e sociale” in Storia di Monza e della Brianza a cura di A.Bosisio e G.Vismara- Il Polifilo – 1969

D.BONOMI – I.SUPERTI FURGA = “Le vicende politiche” in Storia di Monza e della Brianza –  a cura di A.Bosiso e G.Vismara-  vol.III – ED. Il Poilifilo – 1969

R.NEGRI = ” Una vita di lavoro. Le occupazioni delle donne nella Brianza rurale” in Pirovano M. (a cura di), Le culture popolari. Storia della Brianza vol. V, pp. 522-563, Cattaneo, Oggiono-Lecco 2010.