Percorriamo qui la lunga storia della chiesetta di S.Alessandro, della cascina e del quartiere che da essa prendono nome. Prima furono i pellegrini a frequentare questi siti, poi seguirono contadini e gesuiti nel susseguirsi di vicende che partono dal VII° secolo d.c.
Boschi, campi e vigneti punteggiarono via via il paesaggio di queste terre che arrivarono anche a costituire il Comune autonomo di S.Alessandro che nel 1700 confluirà poi in quello di Villa con San Fiorano.
Le vicende storiche relative a questo Santo sono decisamente confuse e mal documentate. La tradizione cristiana ne fa un soldato romano convertito al cristianesimo e ribellatosi all’Imperatore Massimiano. Incarcerato a Milano, evade e si rifugia presso Bergamo. Qui dopo un periodo di intensa evangelizzazione, viene di nuovo incarcerato e giustiziato. Non a caso diventa il patrono della città di Bergamo. Quello che a noi però qui interessa è la diffusione del suo culto che trova particolare attenzione nel periodo della locale dominazione longobarda. E’ infatti intorno al VII° e VIII° secolo che sorge in Lombardia un buon numero di chiese dedicate a Sant’Alessandro. Possiamo dunque ipotizzare verosimilmente che anche l’origine del nostro tempietto sia ascrivibile a questo periodo, anche se manca chiaramente una documentazione storica in tal senso.
Sulla via dei pellegrini
Dovendo invece fare riferimento a tracce documentali che ci parlino di questa chiesa dobbiamo arrivare al 961, anno di datazione di una pergamena monzese attualmente presso l’Archivio dell’Ospedale San Gerardo. Trattasi in dettaglio di una permuta di terreni siti a Coliate tra l’Arciprete Arifredo di Monza, in qualità di “custode” di S.Alessandro e un certo Stefanone. Nel documento non viene citata espressamente la chiesa di S.Alessandro bensì il suo “Xenodochio” (Ostello/Ospizio).
E in effetti una prima caratteristica di questo tempio è stata quella di aver legato la sua esistenza appunto ad una di quelle strutture di ricovero e accoglienza per viandanti e bisognosi che si diffusero fin dal primo Medioevo in tutta la Cristianità. Edificati dalle locali comunità cristiane lungo le più importanti vie di comunicazione (in questo caso l’antica consolare da Milano a Lecco) per accogliere i pellegrini, diventano anche luoghi di sostegno ai poveri e agli infermi (“hospitalis”). Non sappiamo se S.Alessandro nasce da subito come “cappella” interna allo Xenodochio o come autonomo oratorio al quale poi si aggiunge la struttura di pia accoglienza. Dalla documentazione successiva possiamo ritenere che questa presenza dell’hospitalis resti fino a tutto il 1200 e da qui venga via via a cessare. Ne abbiamo un ultimo cenno in un legato del 1368 a favore dell’”Ospedale di S.Anastasia” che reputiamo trattarsi proprio della struttura di S.Alessandro. In questo caso il sito sembra essere stato riattivato come lazzaretto in occasione della peste del 1363/4. Non a caso il donatore del legato morirà proprio di peste solo otto giorni dopo il suo lascito. Di questo xenodochio altomedioevale non resta traccia visibile, mentre ci sono rimasti resti della torretta sul lato sud che riconduce ad una più ampia struttura difensiva che può essere segno di una raggiunta importanza del sito in epoca medioevale.
Furono loro i primi frequentatori di S.Alessandro
Esiste poi una successiva documentazione riferita a S.Alessandro, decisamente numerosa e significativa. Vediamola in dettaglio :
- Primi del 1000 – Codice Beda (Sorta di calendario della chiesa di S.Giovanni di Monza riconducibile al monaco Beda il Venerabile). Vi si citano S.Anastasia in Villola e Ecclesiae Sancti Georgii et Sancti Alexandri de Coliate
- 1119 – Sentenza dell’Arcivescovo Giordano a favore dell’Arciprete di Monza Guglielmo. Qui si citano le chiese di Sancti Georgii, similiter Sancti Alexandri de Coliate.
- 1120 – Bolla papale di Callisto II° all’Arciprete Guglielmo. Fra le chiese soggette al Capitolo di S.Giovanni di Monza si citano quelle di Sancti Georgii et Ecclesia Sancti Alexandri ad buscum.
- 1139 – Lascito di Ariprando de Villola di un podere in Coliate ad Ambrogio, converso dello Xenodochio di Alexandri qui nominatur intus busco, che ne usasse a beneficio della chiesa ed ospedale.
- 1143 – Bolla papale di Celestino II° all’Arciprete di S.Giovanni B. Elencando anche lei i beni e diritti del Duomo di Monza, cita le chiese di Carpoforo, S.Giorgio, S.Alessandro e S.Anastasia, tutte in Coliate.
- 1146 – Donazione di un campo da parte di un certo Malvestitus Calvi di Milano, a suffragio suo e del padre, a favore della chiesa di Sancti Alexandri non multum longe de loco Colliate.
- 1169 – Bolla papale di Alessandro III° all’Arciprete Oberto. Tra le chiese di pertinenza della basilica di Monza si citano In Coliate Ecclesia Sancti Carpophori et Sancti Alexandri cum Hospitali.
- 1188 – Bolla papale di Clemente III° dove si cita la chiesa di S.Anastasia(alla diretta dipendenza di Monza) e in Coliate Ecclesia Sancti Carpophori et Sancti Alexandri.
- 1210 – Intestazione da parte dell’Arciprete Ariprando al prete Flamengo, della chiesa di S.Carpoforo di Coliate, del beneficio della Ecclesia Sancti Alexandri de bosco, seu hospitalis.
- 1278 – Codice riportante le somme dovute alla basilica di S.Giovanni dalle chiese ad esse subordinate. Appare anche la Ecclesia Sancti Alexandri ad buschum con un reddito di diciassette lire e diciotto soldi terzoli.
- Fine del 1200 – Nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani” di Goffredo da Bussero si cita Ecclesie Sancti Alexandri in loco Zernio (Gerno) plebis de Vicomercato.
Data dunque questa ricca documentazione, cerchiamo di trarne altre informazioni utili sulla natura di questo luogo, sapendo comunque che ci troviamo di fronte per lo più a semplici citazioni del nome del sito e della chiesa.
Una chiesa tra i boschi nel luogo di Coliate
Un primo dato significativo risiede nella ricorrente specificazione di S.Alessandro come “ad buscum” (al bosco). Questa caratteristica che servì a distinguere il nostro S.Alessandro da omonime chiese nella Corte di Monza, ci informa di come l’originaria collocazione della chiesa era in una zona silvestre, ricca di boschi e decisamente selvaggia ed appartata. Da questo punto di vista un luogo proprio adatto per l’insediamento di uno xenodochio. Solo con il procedere lungo i secoli dell’ampliamento delle aree coltivate in tutto l’agro monzese, S.Alessandro arriverà a perdere questa sua prima connotazione per apparire nel 1578, nel verbale della visita pastorale nel territorio di Monza del cardinale San Carlo, come una “chiesetta campestre”, quindi non più in zona boschiva ma coltivata. Per mantenere comunque la distinzione con altra omonima chiesa in territorio di Sesto questo S.Alessandro verrà denominato “Superioris”. Di questi boschi resterà qualche vestigia nei terreni al confine con Concorezzo e nella antica intitolazione arrivata fino a noi della “via dei boschi” (traversa est di V.le Risorgimento a S.Fiorano).
Un altro dato significativo che appare riguarda la collocazione corografica di questa chiesa. Se si esclude la citazione tardoduecentesca di Goffredo da Bussero che colloca S.Alessandro “in loco zernio” (Gerno), tutte le altre indicano sempre la località di Coliate. E’ infatti con questo toponimo (*) che dal IX fino al XV secolo viene identificata quella parte dell’attuale territorio di Villasanta che va da S.Giorgio (compreso) fino a San Fiorano (confini con Concorezzo) a nord del borgo monzese de La Santa (S.Anastasia). Se già nel 1200 S.Fiorano (allora sotto Concorezzo) comincerà a distinguersi dal contesto di Coliate e a costituire ambito autonomo, tutto il territorio circostante a S.Alessandro e a ovest fino al Lambro resteranno invece sotto il nome di Coliate fino al 1400, quando questo nome tenderà a sparire per lasciare il posto a moderni toponimi quali S.Giorgio, Villa S.Fiorano e S.Alessandro.
La Cascina
Ma cosa possiamo dire per tutti questi secoli di S.Alessandro in Coliate che vada oltre la presenza della chiesetta e del suo Xenodochio ? Decisamente quasi niente! Possiamo pensare alla presenza di sparsi e poveri insediamenti agricoli che si accompagnano alla progressiva diffusione delle aree coltivate a scapito dei boschi. Non sappiamo di preciso a quando far risalire la comparsa della cascina che si affianca alla chiesa e diventa il nucleo fondante del futuro Comune di S.Alessandro. Possiamo ipotizzare che intorno al 1400 con la dismissione delle attività di pia accoglienza dell’ostello i suoi spazi possano essere stati occupati da prime residenze di contadini chiamati a lavorare le terre circostanti (coltivate a cereali e viti) fino a strutturarsi nella futura Cascina di S.Alessandro (anche se dobbiamo dire che nei tanti documenti rinvenuti in nessuno si utilizza il termine di “cassina” parlando di S.Alessandro quanto piuttosto quello di “locus”). Proprio per questa origine la cascina assume subito una configurazione non “a corte” ma ad “elementi giustapposti”, in questo caso disposti a squadra. I blocchi delle abitazioni e delle stalle-fienili non si dispongono in un ordinato sviluppo intorno ad un’unica grande corte, ma si aggiungono via via al nucleo originario a creare un disegno un po’ confuso di nuclei che affacciano su diverse piccole corti affiancate. Questo modello lo ritroveremo per le cascine di più antico insediamento in Villasanta (San Fiorano, Villa vecchia), mentre le più recenti si svilupparono intorno ad un modello “a corte” (Recalcati, Villa nuova).
Gli anni di crisi dell'edificio sacro e la crescita della Cascina
Procedendo dal periodo medioevale verso i successivi secoli fino al XVI, dobbiamo constatare l’inizio di un periodo di lenta ma continua decadenza della nostra chiesa di S.Alessandro, a fronte invece del consolidarsi, come visto, della Cascina annessa. Perso lungo il 1300 l’uso dell’antico ostello, il residuo oratorio, che non raggiunse mai dimensioni molto diverse dalle attuali, vive una fase di progressiva decadenza. Un primo segno lo deduciamo dall’ esame di tre documenti datati 1278, 1398 e 1564. Da questi tre estimi delle chiese comprese nella diocesi milanese ricaviamo come il reddito assegnato al S.Alessandro al Bosco passa dalle 17 lire e 18 soldi terzoli del 1278 alle 4 lire imperiali, 9 soldi e 6 denari del 1398 e alle sole 3 lire imperiali del 1564. In questi tre secoli il beneficio per il Capitolo di Monza, derivante dalla nostra chiesetta, si riduce drasticamente, segno di una perdita di peso della devozione rivolta a questo tempio.
Un primo documento cinquecentesco datato 1558 consiste in un “Repertorio dei beni Ecclesiastici nel Ducato di Milano”, suddivisi per Pievi. Il testo rientrava nella più ampia documentazione prodotta per la misura generale utile alla formazione dell’Estimo di Carlo V (1).
Nel territorio di “S.Alessandro di sopra” di Monza viene censito un possedimento di ben 1163 pertiche (2) a nome del “Consortio della Misericordia” di Milano. Questo era uno dei più antichi e importanti “Luoghi pii elemosinieri” di Milano e possiamo dunque pensare che fin da epoca più remota tutta la cascina e i territori circostanti fossero di sua proprietà, grazie probabilmente anche a lasciti e donazioni.
Dalla citata documentazione abbiamo anche un dettaglio dei tipi di colture e coltivazioni che interessavano questi terreni. Essenzialmente si trattava di fondi destinati alla cerealicoltura e alla viticultura, con scarsa presenza di boschi e pascoli.
Se arriviamo poi al 1578 ci imbattiamo nei documenti che attestano esplicitamente quella situazione di degrado a cui era giunto l’oratorio di S.Alessandro. E’ infatti di questo anno la visita pastorale del cardinale Carlo Borromeo nel territorio di Monza. Nel relativo verbale si cita anche la visita alla chiesetta “campestre” sita in loco Sancti Alexandri. La descrizione che se ne fa non è per niente rassicurante. La chiesa è pericolante, con copertura di sole assi, pavimento sconnesso ed arredi sacri molto deteriorati, anche se vi si svolgono ancora funzioni sacre.
Interessanti sono le informazioni rispetto alla proprietà del luogo sacro. Nel documento del Borromeo si dice che se ne contendono il possesso le monache di Sant’Apollinare di Arcore e la ricca famiglia milanese dei Litta. Dobbiamo comunque pensare che qui per “possesso” si intenda “il diritto d’uso” del bene che si otteneva con le Investiture, cioè i contratti di “affitto livellario o semplice”, restando il “diretto dominio” in capo alla Congregazione( sarà del resto questa a stipulare futuri contratti di vendita della possessione)(3). Nella disputa sembrano comunque aver avuto la meglio i Litta che dai registri della Tassa del sale del 1572 risultano del resto esserne i titolari anche per tutta la località di S.Alessandro, con relativa cascina. E’ un loro colono lì residente (probabilmente della famiglia Locati), che risulta incaricato della custodia del tempietto e delle sacre suppellettili. Siamo dunque in un contesto ambientale del tutto diverso da quanto prima visto. L’edificio sacro ha perso il suo prestigio del periodo altomedioevale, mentre in adiacenza si è oramai costituito un importante insediamento rurale, proprietà di un’illustre famiglia milanese (cascina e terreni circostanti) in un contesto oramai non più incolto e boschivo. Le rare funzioni sono a carico esclusivo dei contadini residenti e della famiglia Litta. Anche lo spazio del piccolo cimitero antistante la chiesa era oramai utilizzato per usi agricoli con la presenza di tre grandi gelsi (che il cardinale ordinerà di sradicare).
Ricordiamo poi che sempre nel 1578 la chiesa di S.Anastasia diventa sede della nuova parrocchia che avrà come cappelle dipendenti sia S.Fiorano che S.Alessandro.
Questa situazione degrada ulteriormente fino al 1596. Dal verbale di altra visita pastorale si attesta che nella chiesetta non si celebrano più funzioni e l’edificio è quasi del tutto distrutto. Del resto, oramai era diventato deposito di attrezzi agricoli e riparo di animali, con le evidenti conseguenze sulle condizioni del sito. Al colono Giovanni Maria Locati era stato espressamente vietato di depositare nell’ edificio sacro botti, attrezzi ed altro materiale agricolo. Ma dobbiamo dedurre con esiti del tutto negativi
Non più solo cascina e chiesa campestre
Mentre dunque la nostra chiesetta viveva queste tristi vicende, è proprio in questo periodo, con l’inizio del ‘500, che il nome di S.Alessandro comincia ad affermarsi come indicazione non solo di un singolo edificio, sacro o civile che fosse, ma di un’intera località più ampia presupponendo i primi accenni ad una certa autonomia amministrativa di cui non abbiamo testimonianze documentate ma che a fine ‘600 si configurerà in un vero e proprio Comune di S.Alessandro. Come esempi possiamo citare : .
- Nel già citato Registro della Tassa del sale S.Alessandro appare come località a se stante.
- La vigna detta la Quadrina, che in un documento del 1500 viene detta “nel luogo de la Villa” e nel 1604 appare invece nel “ territorio di S.Alessandro”.
- Un atto di vendita del 1591 parla di terreni(“L’Albarella”) nel comune di S.Alessandro, Pieve di Vimercate ( “loco S.ti Asandri sive Alexandri comunis plebem Vicomercati”).
- Altro atto di vendita del 1611 interessa il sito della Ca’Bianca in territorio di S.Alessandro o Arcore.
- Il “Repertorio dei Beni Ecclesiastici” del 1558 cita espressamente la località di “S.Alessandro di Sopra” nel territorio di Monza.
L’ambito di S.Alessandro si allarga quindi a comprendere anche porzioni di territorio più a nord della cascina, fino al confine con Arcore, una volta, come visto, sotto il toponimo di Coliate. Restiamo comunque sempre nell’ambito della Pieve di Vimercate. In un documento del 1417 si parla di un terreno sito in località di “Sancto Alexandri” nella Pieve di Vimercate. Va evidenziato che nei diversi documenti censuari cinquecenteschi della Corte di Monza a nostra disposizione (1530, 1537, 1546), tra gli elenchi dei capifamiglia per singoli comuni, mentre appaiono già La Santa e Villa con S.Fiorano, non abbiamo traccia di S.Alessandro. In un identico documento censuario sempre del 1530 ma appunto relativo alla Pieve di Vimercate, in una nota a piè di pagina, l’estensore dopo avere elencato tutti i Comuni della Pieve, dice di avere trovato anche “una cassina dicta de Sancto Sandro de sopra La Sancta”. Nella Cascina vengono censiti 10 residenti (di cui un minore) e due mucche. E in effetti dobbiamo dire che Sant’Alessandro e il suo territorio fino a tutto il 1600 vengono prevalentemente indicati come appartenenti alla Pieve di Vimercate, pur non mancando casi di attribuzione alla Corte di Monza. Sarà solo con il XVIII secolo che troveremo una loro stabile collocazione nella Corte di Monza, insieme a tutto il comune di Villa con San Fiorano.(A complicare le cose basti accennare che alla sua nascita nel 1578 la parrocchia di Villasanta comprendeva parti di ben tre pievi diverse: Monza, Vimercate e Desio)
Rinasce la chiesa e arrivano i Gesuiti
Il XVII secolo per S.Alessandro si apre sotto buoni auspici. Cresce l’insediamento agricolo della cascina e soprattutto rinasce la funzione dell’omonimo tempietto.
Tutta la “Possessione di Santo Assandro” di 1160 pertiche nel 1588 passa di proprietà dalla “Congregazione della Misericordia” di Milano alla famiglia Sormani. (La Congregazione stava sviluppando un processo di alienazione dei suoi fondi nella zona della “Pianura asciutta” milanese a favore di investimenti nella “Pianura irrigua” della bassa padana, decisamente più redditizi).
Solo dopo pochi anni i Sormani nel 1596 vendono quasi tutta la consistenza del bene alla ricca famiglia milanese dei Parpaglione, nei due fratelli Zanotto e Paolo (vedi lapide tuttora presente all’interno della chiesa). Nel 1602 viene poi stipulata la vendita del “fabbricato ruinato” della chiesetta dal Canonico della Collegiata monzese di S.Giovanni Battista ai Parpaglioni. I due, che moriranno nel giro di pochi anni, si impegnarono comunque in un’opera di restauro dell’edificio sacro e lasciarono nel testamento un legato per messe di suffragio a loro favore: “in Oratorio nostro per nos constructo in Villa Sancti Alexandri supra Modoetia Curiae ejusdem Modoetiae dicato Beatissimae Virgini Assumptae et Divo Alexandro”. Da notare come a questa data sia presente una cointitolazione all’Assunta oltre che a S.Alessandro e come i lavori di ristrutturazione daranno all’edificio l’impianto che essenzialmente ritroviamo oggi (anche se già precedentemente non doveva presentare dimensioni e pianta molto diversi).
Lapide marmorea tuttora presente nella chiesa di S.Alessandro, a fianco del presbiterio, a memoria dell’intervento effettuato nel 1603 da parte dei fratelli Zanotto e Paolo Parpaglione.
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Disegno della rete stradale intorno a La Santa ed Arcore del 1620. Si individua S.Alessandro già con la sua piazza alberata. Proprio sopra la chiesa si noti il “Bosco del Parpaglione”, residuo di quella vasta area boschiva che circondava S.Alessandro.
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Verso la metà del secolo (1651) la chiesa e la cascina vedono un ulteriore passaggio di proprietà. Bartolomeo Parpaglioni, erede dei fratelli Paolo e Zanotto, nomina beneficiari universali dei suoi beni i padri Gesuiti di Brera di Milano. L’arrivo di questi nuovi proprietari non sembra comportare novità significative, se non l’insorgere di un vivace contrasto con il titolare della Parrocchia di S.Anastasia in merito alla giurisdizione ecclesiastica su S.Alessandro. I diversi parroci pro-tempore si opposero a che i gesuiti non solo officiassero le messe ma che impartissero anche tutti i sacramenti. Il contenzioso, sfociato anche in deprecabili episodi di scontri e liti di fronte ai parrocchiani, fu infine risolto nel 1705 dall’arcivescovo milanese a favore della parrocchia.
I Gesuiti aprirono anche un altro contenzioso con la Comunità di Arcore e di Oreno in merito al loro diritto di transito per la strada che dalla Cascina portava fino ad Oreno, attraversando tutto il possedimento di Sant’Alessandro (attuale via Fieramosca e continuazione come da carta del 1620). Si arrivò ad un accordo con la concessione dei Gesuiti del permesso provvisorio di transito a fronte però di una dichiarazione degli arcoresi di non poter accampare nessuna fonte “ufficiale” a tale diritto.
I nuovi proprietari mantennero tutti i contratti d’affitto con i massari già presenti sul luogo alle stesse condizioni stipulate con i Parpaglioni. Proprio da questi ultimi documenti, oltre che da quelli allegati al suddetto testamento, possiamo ricavare una fotografia più dettagliata della struttura del tempo della cascina.
Le aree a verde scuro indicavano le zone boschive, quelle a verde chiaro gli orti.
Le vigne si distinguevano dai semplici campi a cereali per il tratteggio. Il Tenimento si estendeva per più di 1000 pertiche (circa 650.000 mq)
Sappiamo dunque che la cascina era composta da :
– Una Casa da Nobile, che comprendeva 4 stanze a piano terra e 3 al primo(4 luoghi inferiori e 3 superiori). 2 granai, loggia, porticato, orto, torchio da vino e corte.
A questa era annessa la “Chiesa dell’Assunzione” con Sagrestia.
– Una Cassina da massaro con 3 stanze a piano terra e una al primo. 3 stalle, un pozzo e un orto.
– Una seconda Cassina da massaro con 3 stanze a piano terra e una al primo. 1 stalla, pozzo, forno e orto
Come si riesce ad intuire dalle mappe del tempo la cascina doveva essere strutturata in un unico grande corpo, per quanto articolato nelle tre parti descritte.
Nella Casa da Nobile vengono anche elencati i tanti mobili, suppellettili e attrezzi vari che ne costituivano il ricco arredo. Questa informazione ci conferma inoltre, come già visto per le cascine della Villa e di San Fiorano, la presenza anche a S.Alessandro di un’ala adibita a residenza, anche solo temporanea, dei proprietari, nobili o ecclesiastici, che si distingueva nettamente dalle ben più misere dimore dei massari o pigionanti qui residenti.
In merito a quest’ultimi sappiamo che nel 1653 in Cascina erano presenti tre massari che si dividevano l’affitto ed i lavori negli appezzamenti che componevano il Possedimento :
. Stefano Locati, in 3 locali a terra e uno al primo piano nella prima cassina;
. Giovanni Locati, in un locale a terra e uno al primo piano nella seconda cassina
. GiovanPietro Locati, in due locali a terra nella seconda cassina
A riprova di come i vari rami della famiglia Locati fin dalla metà del 1500 si fossero oramai saldamente installati a Sant’Alessandro abbiamo le diverse Investiture d’affitto da questi sottoscritte (a volte con una semplice croce) con i diversi proprietari.
Nel 1597 sono Maria e Domenico Locati a risultare massari fittavoli di Zanotto Parpaglioni di circa 900 pertiche per un fitto annuo di 5 moggia di frumento e 5 di segale per ogni 100 pertiche più 12 paia di capponi, 6 di polli, 16 dozzine di uova e la metà del vino prodotto.
Nel 1668 i Gesuiti del Collegio di Brera dividono in parti quasi uguali l’affitto dei beni di Sant’Alessandro, da una parte a Giuseppe e Domenico Locati (492 pt) e dall’altra a Vincenzo e Carlo Locati (548 pt). Ricorrono in questi contratti alcuni nomi degli appezzamenti che componevano il possedimento : il Chioso, la Novella, la Bigatta, la vigna Rasoletti, il campo delle Foppe o il campo del Bosco.
Del resto, come vedremo, i discendenti di questi Locati manterranno con continuità la loro presenza in cascina come massari o coloni fino a tutta la seconda metà del ‘900.
Per questo scorcio di secolo possiamo godere anche di un’ulteriore serie di notizie rispetto al contesto civico di S.Alessandro. Da uno “Stato delle Anime” della Parrocchia di S.Anastasia (specie di registro anagrafico dei parrocchiani) del 1674, sappiamo che nella Cascina risiedevano due nuclei familiari rispettivamente di Carlo e Giuseppe Locato, ciascuno di circa venti componenti (tra fratelli, mogli, figli e nipoti) massari della famiglia Parpaglione e probabili figli o nipoti di quei Locati visti nel 1653 . Domenico Locato, fratello di Giuseppe, risulta il custode del rinato oratorio dove si celebrava messa ogni giorno festivo, a dimostrazione della raggiunta consistenza socio-economica del nucleo della Cascina S.Alessandro. Basti ricordare come nel 1530 in cascina erano stati censiti solo dieci residenti.
Il Comune di Sant'Alessandro nel Catasto Teresiano
Il secolo XVIII rappresenta il momento di massima espressione dell’autonomia amministrativa da parte del borgo di S.Alessandro, o per lo meno il periodo di cui abbiamo la più ampia documentazione. Nel 1721 parte infatti in tutta la Lombardia il lungo percorso di costruzione del Catasto Teresiano. Questa ciclopica impresa riformatrice porrà le basi per la nascita di un moderno Stato di diritto, alla luce dei nuovi principi illuministi ispirati dal ricco pensiero riformatore milanese. Il nuovo Catasto non si limiterà a censire, riprodurre e estimare tutti i beni fondiari (terreni e case) lombardi ma raccoglierà una mole ingente di dati e informazioni dai territori che per noi rappresentano ora fonti inesauribile di conoscenza.
Nei registri catastali l’attuale territorio di Villasanta risulta suddiviso tra diversi enti comunali:
- la frazione de La Santa del Comune di Monza,
- il Comune di Villa con San Fiorano (con Casotto),
- il Comune di Taverna della Costa (o Costa Taverna),
- il Comune di Sesto Giovane
- il Comune di Sant’Alessandro (vedi Tavole a seguire).
Come si vede il territorio di questo Comune appare come una sorta di cuneo all’interno del più ampio Villa con S.Fiorano, comprendendo essenzialmente le aree intorno alla Cascina con una propaggine a sud intorno alla Cascina Perella.
Si sancisce quindi la presenza di un autonoma entità amministrativa che faceva capo alla Cascina e che deve aver trovato le sue radici già lungo il secolo precedente. Il processo riformatore settecentesco comporterà però la fine stessa di questa autonomia amministrativa. Con la metà del secolo tutti i suddetti Comuni, ad eccezione de La Santa che resterà sotto Monza, verranno aggregati a Villa S.Fiorano in un unico ente locale.
Da qui in poi la storia di S.Alessandro, della sua chiesa, della cascina e di tutto il quartiere rientreranno nella storia di Villa San Fiorano prima e di Villasanta poi. Per considerazioni di continuità narrativa, seguiamo comunque distintamente le vicende di S.Alessandro in questo stesso articolo, senza riportare le sue vicende negli articoli su VSF.
Ma quali altre informazioni ci arrivano su questa comunità “santalessandrina” dai documenti del Catasto Teresiano? In particolare facciamo riferimento alle trascrizioni dei “Processi Verbali” del 1721 nei quali gli incaricati del Censimento interpellavano personalità locali per raccogliere informazioni sui diversi Comuni. Qui vengono interrogati ad Arcore il Console Alessandro Maspero(della cascina Perella) e il fittavolo dei Gesuiti Antonio Locati ( a conferma del radicamento che la famiglia Locati manteneva sul posto, tanto che nel 1751 diventerà proprio Antonio il Console di S.Alessandro), che a domanda dichiarano:
: Il Comune di S.Alessandro
- ha una popolazione di ben 41 anime in tutto (quindi un dato stabile rispetto ai dati di metà ‘600) ;
- si estende su una superficie di 1380 pertiche (0,9 Kmq – anche se in mappa risultano quasi pt.2000). Di queste 850 pt sono di proprietà dei Gesuiti di Brera, altre 450 tra i Marchesi Erbona e la famiglia Riamonti o Raimondi (proprietari della Cascina Perella), il resto alle Monache di S.Paolo di Monza (ai confini con Arcore). E’ a questi grandi possessori che fanno capo le decisioni importanti relative ai destini della comunità, mentre i Consoli, eletti tra i popolani e quasi sempre analfabeti, svolgevano semplici compiti di portavoce e di “piccola giustizia”;
- i campi sono tutti coltivati a cereali e uva, con un po’ di bosco da taglio. Si coltiva la foglia di gelso per i bachi con una produzione di 16 once annue (a questo proposito sappiamo che a metà ‘700 a S.Alessandro ci sono ben 124 moroni/gelsi) ;
- la parrocchia è quella di S.Anastasia alla Santa;
- non esiste alcun tipo di libri contabili per i riparti delle tasse e i dati catastali;
- non esistono fitti di case (non comprese in contratti di affitto di terreni);
- vi si trovano tre fittavoli (due a S.Alessandro, uno alla Perella) con contratti non “a danaro” ma “a robba granaria” (pagamenti in beni prodotti). Interessante è il sunto delle condizioni che il fittavolo Locati descrive per il suo contratto con i Gesuiti di Brera:
- Scorta di 4 buoni, 1 cavallo con carro, attrezzi agricoli vari, semenza di frumento e segale (la scorta è la dotazione “viva e/o morta” che il proprietario mette a disposizione del fittavolo per la sua attività, che dovrà essere resa alla fine del contratto d’affitto)
- Fitto di 25 moggia di frumento(4) e 25 moggia di segale annue, in base al criterio di 10 moggia fra frumento e segale per ogni 100 pertiche ( quindi il contratto del Locati riguardava terreni per 500 pertiche. L’altra metà del Possedimento era in affitto ad altra famiglia sempre Locati, Tommaso e figli)
- Il vino e la seta venivano regolati al 50 % tra il proprietario e il fittavolo conduttore
- Appendizi (condizioni aggiuntive) di 8 capponi, 8 pollastri e 8 dozzine d’uova l’anno
Non era raro il caso in cui soprattutto gli Enti ecclesiastici preferissero affittare i loro ingenti possedimenti non direttamente a massari e contadini fittavoli ma a terzi facoltosi “intermediari” che si preoccupavano poi di gestire i rapporti con i contadini e seguire l’amministrazione dei beni e dei lavori nei campi. E’ quanto succede nel 1772 per il Possedimento di Sant’Alessandro, misurato in 1072 pertiche. Questa volta i Gesuiti stipularono un contratto d’affitto di nove anni a favore di Tommaso (padre), Ambrogio e Paolo (figli) Tornaghi della Santa per l’annuo fitto di 4600 lire imperiali, compresa la casa colonica per i massari ma non la parte “civile” che resterà a disposizione dei Gesuiti. Significativo come in questo caso il fitto non sia stato computato in “robba granaria”ma in denaro. Erano poi i Tornaghi a trattare con i massari e coloni come “spartirsi” quanto prodotto nei campi.
I Gesuiti non riuscirono comunque a godere dei proventi di tale Investitura in quanto, come vedremo, nel 1775 l’Ordine venne soppresso.
LA CASCINA PERELLA
Riguardo alla Cascina Perella l’unico riferimento che ne abbiamo prima del 1721 fa capo ad un documento del 1702 steso dal parroco Don Radaelli con l’elenco dei contributi dei parrocchiani a suo favore. I residenti “con reddito” vengono collocati in 17 siti di residenza tra i quali “Ala Parela”. Non essendo presente in precedenti elenchi simili, dobbiamo pensare ad una sua edificazione intorno alla seconda metà del ‘600.
Il settecento si chiude con un ulteriore passaggio di proprietà di tutta la Possessione di S.Alessandro a seguito della soppressione dell’ordine dei Gesuiti ed il passaggio di tutti i loro possedimenti alla Regia Camera di Milano (5). .
A proposito dell’abbandono forzato di S.Alessandro da parte dei Gesuiti è interessante citare un documento del 1775 composto da un lungo Inventario di tutti i mobili e suppellettili di proprietà dei padri presenti “nel casino di S.Alessandro” e i risultati, con prezzi e acquirenti, dell’asta a cui i suddetti beni vennero venduti. Furono essenzialmente i villasantesi del tempo ad approfittare della “svendita” che contemplò da miseri capi quali “una basleta”, “un padelino forato per castagne” o “un cucchiaione d’ottone” a tavolini, sedie e armadi fino ai “materazzi e cuscini” (tra i beni più apprezzati) e ad un orologio a pendolo con cassa e accessori. Il documento è comunque significativo perché dimostra ancora come i Gesuiti non fossero solo proprietari del sito ma come lo abitassero e lo frequentassero assiduamente.
Dal 1800 ai nostri giorni
Come abbiamo già visto in altra sede con la fine del 1700 il comune di S.Alessandro venne accorpato al nuovo comune di Villa con S.Fiorano ed Uniti. Da questo momento le sue vicende rientrarono più propriamente in quelle del nuovo comune. Abbiamo comunque voluto, per comodità espositiva, continuare in questo articolo l’esposizione dell’ultimo scorcio della storia di S.Alessandro.
Nel 1779 i beni di S.Alessandro che ammontavano a circa 980 pertiche furono venduti dalla Regia Camera (oggi diremmo il Demanio) direttamente all’arciduca Ferdinando d’Austria che nel 1781 li permuta con l’Ospedale degli infermi S.Bernardo di Monza in cambio di terreni che l’Arciduca volle far rientrare nel perimetro del Parco reale, allora in allestimento
Questo nuovo assetto proprietario “assistenziale e pubblico” di S.Alessandro si protrarrà fino ai nostri giorni. Gli enti che si succederanno cambieranno nome ma non natura e fini: “Luoghi Pii uniti”,“Ospitale di Monza”, “Congregazione di Carità di Monza”, “USSL monzese” , fino a “E.C.A.” sempre di Monza. Per tutto questo lungo periodo la cascina e i suoi terreni saranno abitati e lavorati da una serie di coloni e mezzadri con le loro famiglie, fino a quando con la seconda metà del ‘900 si perse completamente ogni “vocazione” agricola di questi campi, come del resto di tutto il territorio villasantese.
Nel 1800 a gestire questi beni di Sant’Alessandro fu essenzialmente la “Congregazione di Carità di Monza”. nella quale vennero fatti confluire tutti gli Enti benefici di Monza.
E’ infatti la Congregazione che nel 1862 assegna a mezzo asta pubblica la conduzione del Possedimento. Allo spegnersi dell’ultima delle tre candele (tempo entro il quale presentare un’offerta) si aggiudicano il contratto Giancarlo Varenna e la moglie Rosalia Sirtori di Monza al il canone annuo di lire 8058 per 12 anni. Siamo quindi ancora in presenza di un fittavolo che non rientrava tra i coloni che lavoravano effettivamente queste terre. Da sottolineare come in questo contratto, tra le clausole a carico dell’affittuario risultassero anche tutte le spese relative alla conservazione dei paramenti sacri e alla celebrazione delle funzioni sacre tutte le domeniche nell’oratorio annesso alla cascina. Tra le spese era previsto anche il costo del trasferimento del Sacerdote da Monza, per lo meno nei giorni piovosi.
Questo tipo di clausola la ritroveremo del resto in tutti i futuri contratti di affitto del Possedimento. L’oratorio di Sant’Alessandro con la sacrestia restò sempre parte integrante di quella porzione della cascina individuata prima come “Casa da nobile” e poi come “Casa civile” che restò sempre a disposizione degli affittuari e distinta dalle “Case coloniche” destinati ai massari e coloni.
Nel frattempo il corpo della Cascina si era ampliato in modo significativo, ad accogliere un nucleo abitativo fatto di sempre più numerose famiglie di coloni. A metà ‘700 l’avevamo lasciata con due soli corpi a squadra, mentre a questa data ha oramai assunto la sua morfologia definitiva con uno sviluppo su tre corti, anche se in uno schema un po’ confuso e non ben articolato. Sul piccolo piazzale della chiesa si apriva anche una bottega di “prestino”.
Nel corso di tutti questi decenni la Congregazione dovrà intervenire più volte con opere di manutenzione dei fabbricati, nel tentativo, sempre più problematico, di mantenere un minimo decoro abitativo agli alloggi. In effetti per i vari Enti proprietari risultò difficile conciliare le sempre più ingenti spese di gestione di questi immobili decisamente “datati” con i ricavi che si potevano ottenere dai fitti colonici.
Quando nel 1875 venne a scadere il contratto con il suddetto Varenna, la Congregazione riaprì l’asta pubblica e questa volta ad aggiudicarsi la conduzione del Possedimento ritornano ad essere i coloni del posto. Più in particolare il soggetto vincitore fu la “Società colonica” costituita dai tre coloni Locati Angelo, Varisco Carlo e Varisco Luigi che sottoscrivono il nuovo contratto d’affitto per 12 anni ad un canone annuo di lire 12150. Le necessarie fidejussioni furono rilasciate da Giovanni Meregalli della Santa.
Da qui in poi, fino alla sua totale estinzione negli ultimi decenni del ‘900, il Possedimento di Sant’Alessandro resterà sempre nella conduzione dei suoi coloni agricoltori, anche se non sempre in forme partecipate di “colonia agricola”. Infatti nei decenni a cavallo del secolo fu il solo Locati Angelo e poi i suoi figli (sempre residenti nella cascina) a risultare fittavoli conduttori di tutto il Possedimento.
Alle altre famiglie contadine si applicava il “contratto a colonia” che prevedeva un fitto del terreno in grano, un contributo in danaro per le imposte e per il fitto di casa. A questo si aggiungevano gli “appendizi” in pollame e uova. Nel caso di questa Possessione c’era di buono che il raccolto delle viti e di altri alberi da frutto, data la loro scarsa quantità, restava tutto ai contadini.
I suddetti Locati a breve però dal ruolo di affittuari passarono a quello di possidenti. La Congregazione, dovendo affrontare le ingenti spese per il nuovo Ospedale Umberto I a Monza, cominciò a vendere proprietà immobiliari tra le quali anche una parte di S.Alessandro ( sia dei terreni che della cascina) proprio agli ex fittavoli Locati, che oltretutto potevano vantare anche altri possedimenti
La restante parte del “Tenimento” ( circa 600/700 pertiche) venne sempre affittato a tutti gli altri coloni di Sant’Alessandro, come Colonia agricola . Questa stessa condizione l’avevamo trovata per il “Possedimento della Villa” (Villa vecchia, Villa nuova, Dossello e Casotto). Nel caso di Sant’Alessandro il numero dei coloni si aggirò sempre intorno alla ventina, per arrivare nel 1924 fino a 27. La loro situazione risentì probabilmente della minore estensione di questo Possedimento rispetto alla “Villa”. Il terreno a disposizione per ogni colono non superava mediamente i 2 ettari (eccezionalmente si arrivava fino a 3 ettari) e anche le abitazioni avevano a disposizione in media due soli locali. Si arrivava in pochissimi casi fino a 4, mentre alcune famiglie disponevano di un solo locale. Inizialmente questi coloni avevano a loro carico : un fitto in “grani” per il terreno, il fitto della casa, il contributo per le imposte e gli “appendici” (in pollame e uova). Dagli ultimi decenni dell’800 subentrò invece il solo “contratto a danaro” con il pagamento di un affitto in danaro comprensivo del fitto del terreno, dei locali e degli altri servizi in comune.
La storia degli ultimi cento anni della cascina fu così la storia delle tante famiglie (arrivarono anche ad una trentina) che si radicarono nel lavoro di queste terre : Locati, Varisco, Zappa, Corti, Sironi, Perego, Farina, Consonni. Tanti villasantesi ricordano ancora come la cascina si divideva tra la Cort di Paolott e la Cort di socialista, in funzione delle diverse tendenze politiche delle rispettive famiglie.
Sparite del tutto le viti alla fine del 1800, i campi continuarono sempre ad essere coltivati a frumento e mais, mentre i tanti gelsi presenti garantivano la materia prima per la fiorente attività di bachicoltura.
Nella chiesetta continuavano a celebrarsi le messe domenicali a cui i fedeli assistevano seduti per terra. Le due sole panche presenti erano per la famiglia del fattore e per gli anziani.
Ma arriviamo oramai alla fine della storia di Sant’Alessandro, inteso quale significativo esempio di comunità agricola sul territorio di Villasanta. Si era nel frattempo realizzata una situazione particolare tra i coloni. Nel contratto di affitto del 1968 si nota infatti come due soli coloni (per la cronaca Consonni C. e Pennati A.) avevano in affitto il 60% di tutta l’estensione del Possedimento. Gli altri 19 si dividevano il restante 40%, con appezzamenti che risultavano anche di ben ridotte dimensioni e destinati a semplice integrazione di redditi famigliari che oramai arrivavano per lo più da impieghi nelle industrie della zona.
Nell’ultimo dopoguerra la proprietà passò dalla Congregazione all’ E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza) di Monza. Il Comune si trovò sempre più in difficoltà nel gestire “con profitto” questa proprietà immobiliare. I canoni agrari dovuti dai coloni si ridussero ben presto a poca cosa rispetto ai costi di manutenzione dei fabbricati. L’ultimo “Contratto di colonia” archiviato è del 1970. A fronte di questa situazione interna, il contesto storico esterno vedeva sul territorio la fortissima spinta di quella espansione urbanistica da “miracolo economico” che trasformò completamente il panorama urbano e socio/economico del nostro paese.
Iniziò così da parte del comune di Monza un processo di dismissione dei lotti che componevano il Possedimento, con un occhio di riguardo proprio verso gli ex coloni che poterono godere di un diritto di prelazione. Come abbiamo visto per altri grandi Possedimenti sul nostro territorio (San Fiorano, la Villa o la Cà bianca), anche se in periodi diversi, si arrivò ad un processo di redistribuzione del capitale fondiario, prima concentrato in poche mani.
Quelli che erano i campi coltivati accolsero per buona parte nuovi insediamenti residenziali e industriali, in quel processo di forte urbanizzazione di tutto il quartiere di Sant’Alessandro che caratterizzò il nostro dopoguerra fino agli anni ’90. Ma contrariamente ad altre aree del nostro paese e dello stesso quartiere di S.Alessandro (vedi il “Possedimento della Villa”) non tutta la superficie fu sacrificata all’espansione urbanistica.
Per nostra fortuna la permanenza di questi appezzamenti nell’ambito della proprietà pubblica dell’Eca fino a tutti gli anni ’70, permise che la parte più importante dell’antico Possedimento fosse risparmiata, tanto da rappresentare a tutt’oggi la più vasta area libera del territorio di Villasanta, vincolata prima all’interno del “Parco della Cavallera” e poi del “Parco regionale della Valle del Lambro” e ancora a destinazione agricola.
Da questa operazione di dismissione il Comune di Villasanta riuscì ad acquistare l’intero corpo dei fabbricati della cascina che erano ancora ricompresi nel Contratto coloniale. Le condizioni di manutenzione e abitabilità di questi alloggi erano decisamente degradate, al punto che negli anni ’80 il comune decise un’importante operazione di totale ristrutturazione degli immobili a fini residenziali, da cui deriva l’attuale aspetto della cascina (o meglio di quanto ne è rimasto).
La chiesetta di Sant’Alessandro era ancora inclusa nei fabbricati acquisiti da Villasanta, tanto che negli anni ’90 il Comune ne fece dono alla Parrocchia di Santa Anastasia. Questa del resto aveva nel frattempo messo in atto interventi di ampliamento e rinnovamento dell’Oratorio. Ricordiamo quello del 1951 ad opera del Parroco don Gervasoni e in fine quello di ripristino e nuove decorazioni del 1999 voluto dal Parroco don Mazzoleni.
NOTE
(*) Vedi a tal proposito Articolo: “Sei di Villola o di Coliate ?”
(1) Ereditato lo Stato di Milano nell ultima fase del concitato periodo delle Guerre d’Italia, Carlo V promosse un originale processo di stima delle ricchezze dello Stato, per far gravare in modo più “equo” un nuovo e oneroso tributo, il mensuale. Si trattò di un processo piuttosto lungo, che occupò il periodo dal 1543 al 1599, e che si sviluppò in diverse fasi, comprendendo operazioni di misura e stima delle terre e delle merci. La misura generale non prevedeva, in
effetti, la rilevazione del possessore delle terre, ma solo la loro estensione e qualità. Poiché comunque ecclesiastici ed enti caritatevoli erano tradizionalmente esenti dai tributi, era necessario scorporare i beni in pieno possesso delle istituzioni ecclesiastiche e pie, per
meglio pesare la quota di tassa per ogni comunità, o meglio, per ogni provincia dello Stato.
(2) La Pertica milanese, frazionata in 24 tavole, corrispondeva a 654 mq
(3) Le Investiture erano praticamente i contratti di affitto di beni di svariata natura (terreni, case, acque). Qui siamo per lo più in presenza di “Investiture livellarie” (o”ad livellum”). Queste erano concessioni a lungo termine, se non perpetue, con le quali il proprietario del bene, titolare del “diritto eminente o diretto”, assegnava al beneficiario un forte “diritto d’uso”, trasmissibile ai suoi eredi, cedibile a terzi, pignorabile e subaffittabile, che ne faceva non un semplice locatario del bene ma il titolare di ampi diritti sullo stesso ( un “quasi proprietario”). La concessione avveniva contro il pagamento di un canone o censo annuale (fisso o variabile, in danaro o natura) di solito non molto gravoso, che serviva essenzialmente a stabilire comunque l’ordine gerarchico tra il proprietario e il quasi-proprietario. Più gravoso era invece il pagamento di una tantum a titolo di “entratura o laudamio”. A carico poi dell’utilizzatore restava l’obbligo di apportare miglioramenti al bene, con però il diritto a vederne riconosciuto dal proprietario l’apprezzamento al valore dello stesso. In epoche più moderne questi “livelli” vennero via via affiancati dalla Investiture “ad fictum” o semplici, che non implicavano nessuna partecipazione del beneficiario alla sfera della proprietà e si configuravano come normali contratti d’affitto. Essendo oltretutto di durata ben più breve (non oltre i dieci anni) permettevano al proprietario di modificare i canoni al rialzo con molta più frequenza.
(4) Il moggio da grano, frazionato in 8 staia, corrispondeva a litri 146,234
(5) Il pontefice Clemente XIV decretò lo scioglimento dell’ordine dei Gesuiti nel 1771. Col breve Dominus ac redemptor la Compagnia di Gesù fu soppressa in perpetuo e il generale Lorenzo Ricci condannato a carcere duro, cioè a pane e acqua, nella prigione di Castel Sant’Angelo. A pretendere la soppressione della Compagnia furono praticamente tutti i re della cristianità, insofferenti alla sua forte influenza nella società e sempre più “illuminati” dalle idee di secolarizzazione diffuse dal pensiero Illuminista.
In questo scorcio di fine ‘700 nella Lombardia austriaca i provvedimenti soppressivi non risparmiarono neanche gli ordini contemplativi (dai Certosini ai Camaldolesi) e quelli mendicanti (Francescani, Domenicani, Minimi di San Francesco di Paola), nonché il monachesimo femminile.
BIBLIOGRAFIA :
- ASMI (Archivio di Stato di Milano) : Catasto – Pergamene per Fondi – Fondo religione – Censo P.A. – Culto P.A.
- Archivio Ospedale San Gerardo
- “ La chiesa di S.Anastasia a Villasanta dalle origini remote ai tempi moderni” – O.Zastrow 2004 (Parrocchia S.Anastasia – Villasanta)-
- Archivio storico civico – Città di Monza : Archivio E.C.A.
- Fondo “Varisco-Aghuillon” – Biblioteca Ambrosiana
- ASCMi (Archivio Storico Civico Milano) : “Località Forensi”
- “Liber notitiae sanctorum Mediolani”- Goffredo da Bussero 1289
- “Notitia Cleri mediolanensi de anno 1398” – a cura M.Magistretti 1917
- “La gestione del patrimonio fondiario della Misericordiae delle Quattro Marie in età moderna. Un’analisi di lungo periodo”-Matteo Di Tullio in “Il paese dell’acqua” -AA.VV.
- “Per una storia economica della proprietà dissociata” – M.Barbot 2008