SAN FIORANO E LA VILLA (VECCHIA)

Qui ripercorriamo le antiche origini dei due nuclei di “San Fiorano” e della “Villa” prima che nel 1500 essi si aggregassero per dare vita al nuovo comune di Villa con S.Fiorano. Una storia antica di due borghi agricoli che ci riporta tra i primi insediamenti nel territorio della futura Villasanta .

SAN FIORANO

IL PRIMO NUCLEO DI SAN FIORANO

Il Santo al quale qui si fa riferimento è il martire San Floriano di Lorch. Vissuto nel IV secolo d.c., Floriano (ben presto qui da noi denominato Fiorano) era un soldato delle legioni romane di stanza in Austria. Per la sua conversione al Cristianesimo fu prima flagellato e poi gettato, nel fiume Enns, vicino alla città di Lorch, con una pietra da mola al collo (che spesso appare nelle raffigurazioni del Santo insieme ad immagini relative al suo patronato contro gli incendi).
In questo contesto quello che a noi interessa è individuare l’epoca di diffusione del suo culto nella diocesi milanese, così da poter avere un primo riferimento temporale circa la costruzione della nostra chiesetta campestre a lui dedicata.
Gli storici indicano come più probabile datazione del suo culto i primi secoli del secondo millennio, anche se nella diocesi ambrosiana furono ben poche le chiese dedicate a questo Santo. Troviamo la prima citazione documentaria di questa chiesa nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani”, recensione di tutte le chiese della diocesi milanese, di fine XIII sec., attribuita a Goffredo da Bussero. Qui nella Memoria Sancti Floriani si parla di sole due chiese a lui dedicate di cui una nella Pieve di Vimercate a un miglio da Concorezzo (cuius ecclesia est in territorio plebis de uilmercato, miliarum unum a concorezo).

Possiamo quindi avanzare la ragionevole ipotesi che la chiesa di San Fiorano fu eretta intorno al XI secolo o agli inizi del XII in un territorio che era sotto il comune di Concorezzo nella Pieve di Vimercate (*). E in effetti, contrariamente a quanto documentato per le chiese di S. Alessandro e di Santa Anastasia, in tutti i numerosi testi medioevali relativi alla Corte di Monza e alle sue chiese non troviamo alcuna citazione di San Fiorano. Va detto inoltre che  non  conosciamo la precisa localizzazione originaria di questa chiesa (sempre contrariamente alle altre due chiese villasantesi) ma solo delle successive ricostruzioni. Oltretutto, dopo la citazione di Goffredo da Bussero, ne ritroveremo notizie solo molto più tardi ovvero nel XVI sec.

Questa ipotesi sulla datazione della chiesa di S.Fiorano è poi suffragata da altri antichi documenti di ambito non ecclesiastico, che se non riguardano direttamente la nostra chiesa fanno però esplicito riferimento al Locus de Sancto Floriano, che suppone chiaramente già la presenza dell’edificio sacro.
La prima di queste testimonianze, per quanto indiretta, è data da un lunghissimo elenco di “Investiture” (1) con le quali il Capitolo di San Giovanni di Monza affittava beni e terreni in tutto il territorio monzese. In questa raccolta sotto il titolo di  “in Santa Anastasia” vengono citati tre atti del 1180 e 1187 nei quali appare l’appezzamento detto “in Brugarium de Sancto Floriano”. Ciascuno dei tre contratti si riferisce comunque a ben 12/13 terreni oltre che a sedimi di case. Questo dato insieme al fatto che li ritroviamo citati in altre investiture del tempo, ci fa pensare che i tre personaggi affittuari, Petrus de Vergano, Ambrogium Bruscatum e Petrus Ardizonum, più che coltivatori diretti fossero intermediari cittadini, membri di famiglie benestanti di Monza, che si servivano di braccianti residenti nel territorio.
Appare subito evidente come il contesto in cui sorse questa chiesetta era sicuramente un territorio campestre  (contrariamente a S.Alessandro non a caso chiamato “ad buscum”) dove erano già presenti attività agricole e quindi possibili per quanto radi insediamenti rurali.

Particolare della pergamena del 1198 (presso l’archivio storico dell’Ospedale S.Gerardo di Monza)

Altrettanto possiamo dire in merito al primo documento di cui abbiamo diretta e concreta testimonianza relativamente a S.Fiorano. Si tratta di un’Investitura “ad massaricium” del 1198 nella quale Gerardo Tintori dell’Ospedale dei poveri S. Ambrogio di Monza affitta per cinque moggia di biada (segale e miglio) una “masseria” situata nel territorio di Concorezzo in località detta “a San Florianum”  a una certa Plaza (moglie del fu Dottori) e ai suoi figli Bonifacio, Montenario e Taria, tutti questi del borgo di Concorezzo.

Questo documento da un lato ci conferma  la dipendenza di S.Fiorano dal comune di Concorezzo, dall’altro testimonia già della presenza nel territorio di S.Fiorano di una attività rurale significativa e ben attrezzata, capace di coinvolgere più famiglie.
Le notizie prima viste in merito all’erezione dell’omonima chiesetta e quanto riportato dai documenti sopra citati, ci permettono di esprimere alcune ipotesi rispetto alla correlazione temporale tra la comparsa della chiesa e quella della cascina (o insediamenti rurali assimilabili). Cioè, è arrivata prima la cascina o viceversa è stata la chiesetta a segnare per prima la sua presenza nel territorio? Nel caso di S.Alessandro (2) fu proprio la chiesa e il suo Xenodochium (Ostello per pellegrini) a costituire il nucleo originario dell’omonima località (Sec.VIII) a cui poi si aggiunse la cascina (Sec. XIV/XV).

Diverso probabilmente il percorso per S.Fiorano. Abbiamo visto come già nel XII secolo possiamo collocare in questa parte di territorio una significativa presenza di attività agricole e di relativi insediamenti rurali, testimoniati da numerosi atti di Investiture.

Le attività agricole dei dodici mesi dell'anno, in un codice miniato degli inizi del IX secolo.

Di conseguenza, quando presumibilmente compare la chiesetta, questa sembra porsi al servizio e a riferimento di queste comunità campestri presenti in loco. Possiamo allora pensare se non proprio ad una presenza anticipata della cascina per lo meno ad una sorta di contemporaneo sviluppo sia dell’edificio sacro che di quelli civili.

 

IL MEDIO EVO E IL CONSOLIDARSI DEL BORGO DI SAN FIORANO IN TERRITORIO DI CONCOREZZO

Anche nel XIII secolo possiamo contare su una serie di documenti che ci attestano il consolidarsi della presenza di attività agricole nel territorio di S.Fiorano.

Il primo è una Investitura “ad massaricium” del 1221 con la quale il capitolo di S.Giovanni Battista di Monza affittava ben 7 pezzi di terra  che avevano come centro San Fiorano (“iacentibus apud Sancti Floriani”). Nel dettaglio di questi appezzamenti solo uno, il terzo, viene però espressamente detto “apud Sancto Floriano”, mentre gli altri sembrano essere limitrofi: “in territorio Modoetia ubi dicitur Villoram”,  “ad busci”, ad brugarium (vedi Invest.1180/1187), “est ibi”, “prope Campus Grandius” e “in territorium de Coliate”.
Titolare del contratto d’affitto è un certo Ionnesbellus (Gianbello) de Nesci.
Questi si dice “cittadino milanese” anche se la sua famiglia aveva importanti attività mercantili anche a Monza e molte proprietà in tutto il monzese. Troviamo qui per la prima volta citata  la famiglia Nessi (Nesci, Nexi, Nixio, Nesso), che sarà ricorrente nelle vicende medioevali di San Fiorano. In una Investitura del 1223 è ancora il nostro Ionnesbellus de Nixio che subentra nell’affitto di terre e di un sedime di casa di proprietà del Capitolo monzese a Aiulfo Roncardi e figli. I beni erano in località “Sancto Floriano” affittati al canone di due moggia (3) di frumento, secondo l’antica unità di misura di Monza (modia duo formenti ad veterum mesuram Modoetiae).
Qui ad interessarci è soprattutto la citazione di un’altra per noi significativa famiglia : i Roncardi (o Rocardi). Aiulfo Roncardi viene infatti nominato espressamente come “di San Fiorano”. Possiamo quindi dire che lui e la sua famiglia sono i primi cittadini sanfioranesi di cui abbiamo notizia.

Particolare della pergamena del 1223 con il nome di Aiulfo Rocardi di Sancto Floriano (Fondo Varisco - Biblioteca Ambrosiana Milano)

L’importanza di questa famiglia dei Roncardi è testimoniata anche dalle informazioni che ricaviamo da una tarda trascrizione monzese degli “Inventari nuovi” di Milano del 1244. Questi furono un primo tentativo di censimento ed estimo dei beni immobiliari in tutto il milanese. Qui vengono citati diversi appartenenti a questa famiglia, probabilmente fratelli fra di loro (Albertus, Calvetus, Martinus, Filippo, Guidotus e Gaspare), sempre annotati come “de Sn.to Floriano” . Dichiarano di possedere (in “contratti d’uso livellario” dal Capitolo di S.Giovanni di Monza) campi e vigne in località di San Fiorano (vigna “ad Serbugiam”, campo “in Bonavante” o “ad Bruxardum”) e di pagare le imposte dovute a Concorezzo, confermandone ancora la competenza su  San Fiorano. I Roncardi a questa data appaiono tra i maggiori proprietari nel territorio a Nord di Monza e sembrano aver decisamente consolidato la loro presenza nel nostro piccolo borgo.

Da questo primo insieme di informazioni possiamo anche dedurre un’ulteriore dato significativo. Fin dal XII secolo il nome di San Fiorano, anche se come località compresa nel territorio di Concorezzo, appare non solo in riferimento all’omonimo edificio sacro ma anche come un autonomo riferimento toponomastico tra i tanti che contrassegnavano il territorio della futura Villasanta: Coliate, Villola, Santa Anastasia (4). Già a questa data al nome di San Fiorano si accompagnano termini quali “locus” o “territorium” , a conferma di una presenza già consolidata a questa data dell’insediamento sia rurale che religioso e del loro configurarsi come un ambito territoriale distinto.

Il 1300 ci trasmette ulteriori informazioni sulle vicende sanfioranesi.
Il primo documento che vogliamo commentare concerne una vendita di beni del 1345. In effetti più che di una vendita si tratta di una cessione da parte di certo Giannolo Zene al Monastero delle suore umiliate di San Martino a Monza di terreni per circa 140 pertiche (5) e di un sedime di casa in territorio di San Fiorano a saldo di un prestito di 700 terzioli dati al padre Petrollus Zene e mai restituiti. Oltre alla casa, si elencano la vigna “al Chioso”, il campo “Salbuggia” e l’altro detto al “Brusardo”. Dal dettaglio dei beni ceduti possiamo dedurre alcune interessanti notizie.

Atto del 1345 per la vendita di beni nel territorio di San Fiorano

La prima è che con questo atto il Monastero di S.Martino inizia una vicenda proprietaria che lo vedrà conservare questi (ed altri) terreni a San Fiorano fino a quando nel 1786 non verrà soppresso e i suoi beni ceduti al Fondo di Religione. I numerosi atti e documenti prodotti dal Monastero intorno a queste proprietà ci sono

fortunatamente pervenuti e non solo ci confermano che per tutti questi quattro secoli le monache di S.Martino furono tra i maggiori possidenti terrieri di San Fiorano ma ci delineano anche l’evoluzione della natura dei rapporti tra la proprietà e i tanti contadini affittuari che si succedettero lungo il così esteso periodo nella conduzione di queste terre.
Un secondo dato interessante riguarda le possibili vicende della famiglia Roncardi sopra citata.  Tra gli appezzamenti che il Giannolo Zene cede al Monastero ne risultano alcuni in cui ci eravamo già imbattuti: “ad Serbugiam” o “ad Bruxardum”, sempre a San Fiorano. Questi erano parte del patrimonio della famiglia Roncardi che invece nei documenti trecenteschi consultati non ritroviamo più citata in alcun atto immobiliare. Possiamo quindi pensare ad un suo tramonto economico a soli cento anni di distanza dai fasti del secolo precedente.
La terza informazione riguarda invece la famiglia Nessi, anch’essa già prima citata. Nell’elenco infatti delle coerenze degli appezzamenti oggetto della cessione al Monastero, ricorrono continuamente i nomi di Guifredini e Guarini de Nexio. Abbiamo quindi la conferma che la famiglia Nessi (contrariamente ai Roncardi) manteneva ancora dopo 200 anni una importante presenza in San Fiorano con il possesso di numerosi appezzamenti agricoli.

Riguardo poi ai due Nessi suddetti, Giuffredo e Guarino, sappiamo che morirono proprio verso la metà del secolo redigendo testamento il primo in data 1349 e l’altro il 1350. In particolare  Guarino dice di averlo steso in occasione della sua partenza verso Roma per il Giubileo. Preoccupato per il prossimo viaggio non privo di pericoli, si premunisce lasciando alle due figlie la vigna detta “ il Closo di Guarino” nel territorio di San Fiorano (senza indicazione di Pieve). In questo documento si definisce “Cittadino milanese” ma abitante in Monza e di sicuro tutta la famiglia Nessi doveva avere in Monza una sua residenza di riferimento.  E’ invece molto interessante notare come in una “Consegna dei fitti devoluti alle Luminaria” della chiesa di S. Giovanni Battista di Monza del 1347 Giuffredo, che appare nell’elenco del mese di Agosto, si dichiara sempre “cittadino milanese” ma abitante a San Fiorano. E’ quindi probabile che questo illustre personaggio “villeggiasse” a San Fiorano che quindi doveva già ospitare non solo le poverissime case coloniche del tempo ma anche una prima casa signorile, magari collocata in un’ala della Cascina.

Nel frattempo le monache di san Martino, venute in possesso con l’atto del 1345 dei suddetti  terreni in San Fiorano (Corte di Monza), provvedono subito a metterli a frutto affittandoli con Investitura del 1353 per sei anni a un certo Antonio Bugatum e al figlio Anselmolo (probabilmente già presenti sul fondo).

L’atto d’investitura d’affitto prevede la conservazione e il miglioramento del bene, il pagamento annuale del fitto consistente in 18 moggia miste di segale e miglio, 1 moggio di frumento “buono e bello”(frumenti boni et pulchri), la metà delle noci e delle castagne prodotte (medietatem totum unum nuchum et castanearum), un cappone, una dozzina di uova e un carretto (plrm = plaustrum) di rape e l’obbligo, alla scadenza del contratto, di restituire integralmente e senza danni i beni.
In termini generali va comunque detto come in questo tardo medioevo lombardo la subordinazione del massaro al proprietario era molto forte, comportando obblighi più stringenti che in altre realtà e una condizione di quasi totale sottomissione all’arbitrio del proprietario.
Al punto che questi aveva addirittura la facoltà di giudicare il modo in cui il massaro gestiva il fondo affidatogli e, qualora ritenesse inadeguata la conduzione, poteva cacciarlo dalla terra, in qualunque momento e senza alcun risarcimento. 

Sempre di questo secolo è poi un altro per noi interessante documento di tutt’altra natura. Si tratta degli “Statuti delle strade e delle acque del contado di Milano” redatti nel 1346 (6). Il testo raccoglieva l’insieme delle norme e regolamenti che presiedevano alla gestione e manutenzione appunto delle strade e dei corsi d’acqua del milanese. In merito  alle strade venivano elencate le principali arterie che si dipartivano da Milano e ne venivano elencate in dettaglio tutte le comunità (città, cascine, mulini, edifici ecclesiastici) che erano tenute alla loro manutenzione con tanto di indicazione della lunghezza del tratto di loro competenza.

Riproduzione di un'immaginaria strada medioevale. Raramente queste erano pavimentate e spesso erano il semplice adattamento di vecchie mulattiere, senza infrastrutture ben definite.

E qui nella “determinazione de la strada de Porta Horientale per la qual se va al borgo de Vimercha e de Gorgonzola” troviamo l’indicazione delle Cassine de San Fioran de la Corte de Monza”.
E’ questo il primo documento nel quale troviamo espressamente citata la Cascina di San Fiorano, ancora piccolo agglomerato rurale che infatti non viene citato col titoli di “locho” (destinato ai borghi contadini: San Damian, Agra, Cologna, Caponago) ma col semplice appellativo di “Cassine”. A questo punto è opportuno ricordare come per la nascita e lo sviluppo del nostro insediamento fu determinante la sua collocazione “strategica” sulla strada che alla Santa si biforcava dalla Strada Maestra per Lecco verso Vimercate.
Il documento sembrerebbe inoltre collocare San Fiorano sotto la giurisdizione non più della Pieve di Vimercate ma della Corte di Monza, anche se a tal proposito le notizie continueranno ad essere contraddittorie.

Dobbiamo citare anche il nome di un altro personaggio “sanfioranese” che compare in questi anni. Si tratta di certo Zambello detto “Pellam” di Sancto Florano. Lo troviamo in due Investiture del 1359 in cui affitta dal Luogo Pio del Convenio di Monza casa e vigne in territorio di Monza. Significativo che questo Pellam venga espressamente detto essere di San Fiorano.

UN BORGO SEMPRE PIU’ AUTONOMO INTORNO ALLA SUA CASCINA E ALLA SUA CHIESA.

All’alba del 1400 San Fiorano si presenta dunque con un profilo già ben definito ed autonomo, sempre più svincolato dal Comune di Concorezzo: un insediamento rurale dell’agro monzese di poche decine di abitanti sviluppato intorno ad una Cascina e ad un edificio sacro in un ambito campestre, dove i terreni sono per lo più coltivati a cereali e vite e dove si intrecciano gli interessi di importanti Enti ecclesiastici e  di illustri famiglie milanesi e monzesi. Di quella Cascina e della chiesa possiamo dire ben poco se non che la loro collocazione ricalcava del tutto quella odierna, sulla strada che fin da allora portava da la Santa di Monza al “Bruno” e a Vimercate.

Per questo XV secolo le notizie che ci arrivano su S.Fiorano sono attinte essenzialmente dalle Investiture di affitto stipulate dal Monastero di S.Martino di Monza che, come detto, già dal 1300 diventa proprietario di molte terre nel nostro borgo. Questi documenti coprono tutto l’arco del secolo (1420 – 1439 – 1454 – 1463 – 1489 – 1497) e ci aiutano a raccogliere informazioni sulle vicende sanfioranesi del tempo oltre che naturalmente trasmetterci l’evolversi delle condizioni che regolavano i rapporti tra i proprietari terrieri del tempo e i loro fittavoli, che potevano essere sia intermediari finanziari che massari o contadini diretti utilizzatori dei beni.

Particolare dell'Investitura d'affitto a "Molium de Sancto Florano, filium quondam Antoni"

La prima Investitura del 1420 è interessante perché riguarda l’affitto a un certo “Molio de Sancto Florano” per nove anni di un sedime di casa e di tre “campi boscati” per totali 135 pertiche. Non sappiamo se questi campi coincidono con quelli affittati nel 1353 a Antonio Bugatum (in parte probabilmente si) ma è interessante notare

come vengano espressamente definiti come “campi boscati”. All’inizio del ‘400 in San Fiorano sono così ancora presenti tracce di quel fitto patrimonio boschivo che ricopriva ampia parte di tutto il territorio brianzolo, via via eroso dall’espandersi delle coltivazioni agricole prima limitate alle sole zone limitrofe alle città.
Non è un caso che, nelle successive Investiture, di questi “boschi” sparirà progressivamente ogni taccia. In particolare erano proprio questi terreni al confine Nord tra Villasanta e Concorezzo ad essere particolarmente ricchi di aree boschive di cui rimase qualche traccia  fino a tutto l’inizio ‘800 e di cui ora noi non abbiamo che il labile segno lasciatoci dal toponimo dell’attuale “Via dei boschi” proprio al confine con Concorezzo. Da notare infine come, anche solo rispetto a quanto pattuito nel Contratto del 1353, qui il Molio dovrà pagare un fitto decisamente meno gravoso: 2 capponi (bonos et ydoneos) e 2 moggia di panìco (sorta di cereale) annui, con il solito obbligo di rendere i beni allo scadere del termine integralmente e senza danni. Rispetto alle vigne e ai campi coltivati, i boschi avevano un rendimento decisamente inferiore.

Nell'immagine a sinistra sono individuati sulla mappa del Catasto del 1721 gli edifici della cascina San Fiorano presenti fin dal 1400.
A destra la mappa dettagliata di quello più a Ovest, che affacciava sulla strada per Oreno.

In tutte le suddette Investiture si cita la presenza di un sedime di casa composta di quattro stanze al piano terra e due al piano superiore, con annessi stalla, pollaio, fienile, orto e aia. Chiaramente questa diventava la residenza del fittavolo e della sua famiglia. Da un attento esame delle coerenze di questo edificio segnalate non solo in queste Investiture ma anche in successive, è stato possibile identificare l’immobile in oggetto ancora presente nelle mappe del Catasto Teresiano dell’inizio del ‘700. Si tratta dell’edificio in mappa sulla sinistra contraddistinto dal numero 166 di cui abbiamo anche una pianta di dettaglio del 1746. Possiamo quindi pensare a questa casa colonica come ad uno dei primi nuclei della cascina presente probabilmente fin dal 1300 e che resisterà fino alla metà ‘800 quando sarà abbattuto o inglobato in un più ampio corpo della cascina stessa.

Questo non è comunque l’unico immobile di San Fiorano di cui abbiamo antica traccia. Da documenti dei primi del ‘600 possiamo infatti risalire ad un’Enfiteusi (Contratto d’affitto) del 1496 questa volta dei Canonici di S.Giovanni di Monza. Questi danno in locazione a Hieronimus Vicemala oltre che campi e vigne in S.Fiorano anche un sedime di casa su di un unico piano con porticato, stalla e orto chiamato “la casa di Sotto” che possiamo identificare con l’edificio più a Sud indicato in mappa con il numero 167. Contrariamente al precedente, questo sito di casa lo ritroveremo ancora nelle mappe del Catasto Lombardo/Veneto di metà ‘800.
Non possiamo dire altro di preciso su cosa doveva essere il resto della cascina nel XV secolo. Di certo doveva essere presente un nucleo centrale consistente che, come visto, doveva ospitare anche la residenza saltuaria dei ricchi proprietari del tempo insieme alla cappella dedicata a San Fiorano.

Sempre dalle citate Investiture è stato possibile risalire all’individuazione di alcuni appezzamenti, sia a vigne che a campi, oggetto di quei contratti d’affitto e che contrassegnavano il territorio di San Fiorano. Anche in questo caso è stato possibile risalire fino alle mappe del Catasto del 1721 e per alcuni anche a quelle di metà ‘800, se non per la denominazione per lo meno per l’identificazione in mappa. Tutto questo  grazie alla relativa stabilità nei secoli dei beni immobili nel patrimonio degli Enti Ecclesistici (in questo caso i Canonici di Monza e soprattutto il Monastero di S.Martino di Monza) e grazie al fatto che di tali beni ci sono pervenuti i relativi contratti d’affitto dal 1300 a tutto il 1700.

 

Ecco allora evidenziate nella mappa le denominazioni con le quali fin dal ‘400 venivano identificate alcune vigne e campi di San Fiorano:

  1. La Vigna di Santa’Alessandro o Novella (quest’ultima denominazione era molto ricorrente e fonte per noi di non poca confusione) di circa 45 pertiche del Mon. San Martino;
  2. Il campo la Campagnola di circa 50 pertiche del Mon. San Martino
  3. La vigna Corvera di circa 40 pertiche del Mon. San Martino
  4. La vigna il Chioso di circa 45 pertiche del Mon. San Martino
  5. Il campo la Campagnola o Campo Cabriella di circa 40 pertiche del Mon. San Martino
  6. La vigna Novella di circa 90 pertiche dei canonici San Giovanni Monza

Ma quali erano le condizioni alle quali venivano affittati questi campi? Siamo di fronte a due casistiche ben distinte. Nel primo caso, che riscontriamo per le Investiture del 1454 e 1463, il compenso è determinato in un importo fisso in denaro (rispettivamente fiorini 11,5 e 13 di buone monete milanesi corrispondenti a 32 soldi cad). E’ probabile che questa modalità venisse utilizzata in presenza di controparti rappresentate non tanto dal diretto “massaro” conduttore del fondo, quanto da facoltosi “cittadini” monzesi o milanesi che a loro volta “subaffittavano” questi terreni.
Diverso il caso delle altre Investiture dove il compenso è invece richiesto in natura. Abbiamo già accennato a quanto previsto nel 1420. Il corrispettivo per le altre tre Investiture risulta decisamente più gravoso :
1439 = 5 moggia di segale e 5 di miglio
1489 = 3,5 moggia di frumento, 3,5 di segale, 4,5 di miglio, 1 soma di avena, 3 staia di legumi,   la metà del vino e delle foglie di gelso, 2 capponi
1497 = 11 moggia e mezzo di segale e miglio, 4 moggia di frumento, 2 staia di legumi,  un paio  di capponi e uova di gallina, la metà del vino e dei frutti da brocca

Balza subito all’occhio come dagli inizi alla fine del secolo i costi di affitto si facciano sempre più gravosi e segnino una sempre maggiore forza contrattuale dei proprietari verso i loro massari, pregiudicandone gravemente le condizioni di vita. A loro favore va per lo meno considerata la sempre maggiore produttività di questi campi, coltivati quasi esclusivamente a cereali e vigneti (7). Va inoltre detto che ad aggravare la loro posizione contribuivano i molti patti accessori che contraddistinguevano questi contratti. I conduttori dovevano non solo rendere i beni affittati nello stato originario ma avevano ben precisi obblighi di miglioramento degli stessi.

Miniatura altomedioevale con la rappresentazione dei lavori nei campi.

Dovevano sobbarcarsi quasi tutte le spese di manutenzione, prestare servizi accessori ai proprietari e rispettare severamente tutti i termini e scadenze previste a rischio della rescissione del contratto e del loro allontanamento dal fondo. Spesso l’inizio del rapporto contrattuale fra le parti era accompagnato da un prestito da parte del locatore, necessario al conduttore per poter iniziare l’attività, ma che spesso rappresentava un vero e proprio capestro in mano al proprietario. Unica salvaguardia per il contadino era rappresentata dalla clausola di non pagamento (o pagamento ridotto) in caso di calamità naturali.
Quella dei contadini conduttori di fondi era dunque una situazione sempre difficile e precaria, condizionata dalla forza contrattuale dei proprietari terrieri. Ne è del resto testimonianza il loro continuo avvicendarsi nei contratti e nella conduzione di questi campi e vigne, con la conseguente migrazione con tutte le famiglie verso nuove collocazioni. Non pensiamo che per il nostro buon Molio de Santo Fiorano dopo i tanti anni passati al servizio delle Monache di San Martino possa essere stato facile ricollocarsi in altro sito e in altro lavoro.
Se a queste condizioni aggiungiamo il sempre più gravoso carico fiscale che gravava soprattutto sulle campagne del Ducato, il quadro si fa ancora più sconfortante.
Peggio dei massari conduttori di fondi si trovavano i tanti braccianti agricoli che, privi di ogni diritto e minima tutela, riempivano le folte fila dei poveri del tempo.

Tutti questi documenti del 1400  attestano come San Fiorano per questo secolo appaia ancora come territorio della Pieve di Vimercate. Solo negli ultimi decenni comincia a ricorrere più frequentemente la sua collocazione nella Corte di Monza, dove troverà la sua destinazione amministrativa/ecclesiatica definitiva dal secolo successivo.

Censo del 1530 : primo documento in cui appare il nome Villa con san Fiorano

Siamo così arrivati alle soglie del 1500 quando si interrompe la nostra narrazione non perché il borgo di San Fiorano per qualche misterioso fenomeno sparisca ma perché dal secolo XVI comincia ad affermarsi una nuova realtà rappresentata dal Comune di VILLA CON SAN FIORANO che accorperà i due borghi di San Fiorano e della Villa. Comincia così tutta un’altra storia che racconteremo in altra sede.

 

 

LA VILLA (VECCHIA)

Ma questa Villa che, come detto, si aggregherà con San Fiorano, da dove arriva e cosa in effetti comprendeva ? A tal proposito esistono due interpretazioni. La prima fa discendere il nome Villa dalla contrazione di Villola, antico nome che identificava la parte del territorio di Villasanta più a ridosso del confine sud con Monza (vedi cartina precedente). Ma dai documenti dove abbiamo rinvenuto il toponimo in oggetto non si evince in modo lineare questa sua semplice e chiara origine.

Particolare di Estimo trecentesco delle chiese monzesi : Cappella St.Georgi apud Villam

La prima fonte è un Cerimoniale monzese della fine del 1300 composto da più documenti. Nell’elenco delle feste dei Santi delle chiese monzesi S.Carpoforo(8) è detto “ad Villam”  e in un Estimo sempre delle chiese monzesi, S.Giorgio risulta “apud Villam” (vicino a Villa).

 

Questo toponimo non sembra allora sovrapporsi a quello di Villola ma piuttosto a quello di Coliate, dove le due chiese citate sono state quasi sempre localizzate. Sempre dalla cartina precedente, relativa allo stato dei toponimi intorno al 1200, si vede infatti come con il nome di Coliate si intendesse la parte più settentrionale del nostro territorio, più a ridosso del corso del Lambro.

In una “Presa di possesso” del 1417 viene compreso un campo sito “in territorio de la Vila curie Sexto”. Dalla collocazione del campo sulla riva del Lambro e dalla citazione di Sesto(9), possiamo anche qui collocare questa “Vila” nel quadrante nord/occidentale del nostro territorio in prossimità del Lambro.

Egualmente poi in un Confessio del 1504, fatto ad un certo Pietro da Seregno, tutore del minore Francesco Bernardino di Piacenza, da parte della madre di quest’ultimo, si parla della chiesa di S.Carpoforo “Communis de la Villa, corte di Monza”. Anche qui la Villa va a sostituire il più ricorrente Coliate per la chiesa di S.Carpoforo.

Abbiamo poi il Censo del Perticato dei comuni limitrofi a Monza del 1537 .Qui vengono elencati a fini fiscali tutti i nomi dei capifamiglia delle diverse località monzesi. In particolare troviamo elenchi distinti per: La Santa, S.Fiorano e La Villa/La Folla. Anche qui quindi la Villa non sembrerebbe corrispondere alla Villola (che invece abbiamo visto avvicinarsi di più a La Santa e a Monza) e inoltre viene affiancata alla Fola di S.Giorgio (mulino per la follatura dei panni e della carta).

Confessio del 1504 relativo alla Chiesa di san Carpoforo "in Communis de la Villa"

Nel rogito del 1578 con il quale venne istituita la parrocchia di S.Anastasia si citano i nuclei abitati che rientravano nella nuova parrocchia: fra le altre Villam S.ti Floriani, la Villoram de Aliprandi e la Villam. La Villa è quindi ben distinta dalla Villora degli Aliprandi, cascina tuttora esistente al confine sud tra Monza e Villasanta.

Sembra allora decisamente più convincente la tesi per cui il toponimo Villa si riferisca a quella che noi ora conosciamo come la cascina “Villa vecchia” . Si tratta di un antico insediamento rurale che, come visto, possiamo collocare alla fine del 1300, così denominata a seguito della successiva edificazione agli inizi ‘800 della cascina “Villa nuova”, ambedue allora di proprietà dei Della Somaglia. Ma il toponimo di “Villa” , come visto, aveva già cominciato ad identificare non solo l’edificio della cascina ma tutta la località circostante. Possiamo quindi asserire che ad inizi del 1500 a San Fiorano si aggrega non solo la cascina della Villa ma anche tutto l’ambito circostante compresa la vicina cascina Casotto . L’attribuzione a questa “Villa”, come visto in alcuni documenti dal XV secolo, tanto di un territorium che di un comunis non ci restituisce con chiarezza il livello di autonomia amministrativa di questa località, ma certo il toponimo oramai non si riferisce più allo sola cassina.
Altrettanto incerto resta poi il rapporto con il più antico toponimo di Coliate a cui sembra proprio sovrapporsi per poi succedergli, confluendo nel successivo “Villa con San Fiorano”.

Particolare della attuale "Villa vecchia". Il portico in foto resta il solo elemento significativo arrivato fino a noi. Di un portico a quattro campate con tre colonne di "vivo" abbiamo documentazione fin dalla metà del '700.

Contrariamente a quanto abbiamo visto per San Fiorano, non abbiamo quasi alcuna notizia intorno a queste cascine prima del 1500, se escludiamo le semplici citazioni prima ricordate. Abbiamo rinvenuto ben pochi documenti che ci possano dare ragguagli su chi fossero i proprietari, chi i residenti e tanto meno sulla consistenza di questi edifici. Sappiamo che a cavallo del XV e XVI secolo i Canonici di San Giovanni di Monza posseggono e affittano beni “nel luogo della Villa”. Tra questi beni è citata la “vigna Quadrina” che ritroveremo anche in carte successive che la collocano a ridosso della cascina S.Alessandro, ad ulteriore conferma di come il territorio della Villa coincidesse più con l’antica Coliate che con la Villola.

 

 

 

 

NOTE

  •        *  La Pieve era una circoscrizione ecclesiastica che però già dal XII secolo aveva           gradualmente assunto anche carattere di giurisdizione civile. Quando le città più grandi cominciarono ad estendere il proprio potere e la propria giurisdizione sui contadi circostanti si servirono appunto delle preesistenti strutture ecclesiastiche. Intorno al 1560 ad esempio il Ducato era diviso in 65 Pievi, ognuna delle quali eleggeva un Anziano che andava a comporre la “Congregazione del Ducato”. Questo organo rappresentava le istanze, soprattutto in campo tributario, dei contadi agricoli contrapposti a quelli “cittadini”.
  1. Nel Medio Evo le Investiture erano praticamente i contratti di affitto di beni di svariata natura (terreni, case, acque). Qui siamo per lo più in presenza di “Investiture livellarie” (o”ad livellum”). Queste erano concessioni a lungo termine, se non perpetue, con le quali il proprietario del bene, titolare del “diritto eminente o diretto”, assegnava al beneficiario un forte “diritto d’uso”, trasmissibile ai suoi eredi, cedibile a terzi, pignorabile e subaffittabile, che ne faceva non un semplice locatario del bene ma il titolare di ampi diritti sullo stesso ( un “quasi proprietario”). La concessione avveniva contro il pagamento di un canone o censo annuale (fisso o variabile, in danaro o natura) di solito non molto gravoso, che serviva essenzialmente a stabilire comunque l’ordine gerarchico tra il proprietario e il quasi-proprietario. Più gravoso era invece il pagamento di una tantum a titolo di “entratura o laudamio”. A carico poi dell’utilizzatore restava l’obbligo di apportare miglioramenti al bene, con però il diritto  a vederne riconosciuto dal proprietario l’apprezzamento al valore dello stesso. In epoche più moderne questi “livelli” vennero via via affiancati dalla Investiture “ad fictum” o semplici, che non implicavano nessuna partecipazione del beneficiario alla sfera della proprietà e si configuravano come normali contratti d’affitto. Essendo oltretutto di durata ben più breve (non oltre i dieci anni) permettevano al proprietario di modificare i canoni al rialzo con molta più frequenza.
  2. Vedi nella sezione Articoli del Sito: “ Sant’Alessandro”
  3. Il “moggio da grano” era antica unità di misura di capacità a sua volta composta da 8 staia e pari a litri 146,234295
  4. Vedi nella sezione Articoli del Sito: “ Ma tu sei di Villola o di Coliate ?”
  5. La “pertica” era antica unità di misura di superficie a sua volta composta da 24 tavole e pari a mq. 654,5179
  6. Editi da Giulio Porro Lambertenghi a Torino nel 1869
  7. Vedi nella sezione Articoli del Sito: “Villasanta terra di vino”
  8. Questa chiesa di S. Carpoforo per cinque secoli ha svolto un ruolo importante nel nostro territorio. Appare originariamente in documenti del XII sec. e risulta sempre collocata in Coliate ma più vicina a S. Alessandro che non a S. Giorgio, quindi a sinistra del Lambro e proprio in vicinanza con la cascina “Villa”. Non è stato possibile individuare con sicurezza la sua localizzazione, anche dai successivi documenti che ne fanno cenno. Di sicuro viene definitivamente abbandonata e demolita alla fine del ‘500 senza lasciare alcuna traccia materiale della sua esistenza.
  9. Vedi articolo: ” C’erano anche Sesto Giovane e Taverna della Costa”

 

BIBLIOGRAFIA

  • ASMI =  Fondi : Catasto, Atti di Governo (Censo, Culto), Museo Diplomatico, Pergamene per fondi.
  • Biblioteca Ambrosiana = Fondo Varisco/Aguillon
  • “La vita economica a Milano e in Lombardia (secoli XI-XV)” di Roberto Bellosta in  “Milano capitale. Volume celebrativo dell’80° anniversario del Rotary Club di Milano” 2003