VILLA CON SAN FIORANO- Parte I° (I SECOLI XVI E XVII)

Con il 1500 si afferma la nuova realtà amministrativa del comune di Villa con San Fiorano, aggregando gli insediamenti della Villa (vecchia) e di San Fiorano.
Nasce così uno dei due nuclei che insieme a quello de La Santa di Monza andrà a formare nel XX secolo la moderna Villasanta.
In questa prima parte ne seguiamo le vicende nei secoli XVI e XVII, che interessarono anche le cascine CASOTTO e DOSSELLO

Particolare di disegno dei primi del 1600 con la cascina San Fiorano e tutti gli insediamenti limitrofi

APPARE IL COMUNE DI VILLA CON SAN FIORANO E CAMBIA LA STORIA DELLA NOSTRA COMUNITA’

Il 1500 si apre con un’importante novità per il nostro paese.  Oramai in gran parte dei documenti esaminati cominciamo a trovarci  di fronte al toponimo di Villa con San Fiorano relativo ad un nuovo ed autonomo Ente amministrativo sul territorio.
Le due  comunità originarie di San Fiorano e della Villa (vecchia) si ampliano e si aggregano per assumere una nuova identità comunale. La storia dei due borghi diventa quella di “Villa con San Fiorano”, uno dei nuclei più importanti che andrà a costituire l’odierna Villasanta.

Nella nostra narrazione seguiremo uno schema che abbinerà una parte attinente agli avvenimenti relativi a tutta la comunità di Villa San Fiorano, ad altre dove ci soffermeremo più in dettaglio sugli eventi da un lato relativi a San Fiorano e dall’altro alla Villa.

Come erano organizzati allora questi Comuni?

Alla fine del medioevo il contado di Milano si presentava come un mosaico composto
da centinaia e centinaia di comunità, tante quante erano i suoi loci e burgi.
Comuni di meno di dieci fuochi (nuclei familiari) erano caso non raro; ed al contrario assai poco frequente era la presenza di unità comunali comprensive di più villaggi. Qualche
cascina ai margini di un abitato centrale costituiva il massimo esempio di policentrismo
consentito.
Alla base esisteva il “Consiglio generale” a cui partecipavano tutti i capi famiglia e che eleggeva un ristretto numero di “Delegati”. Queste assemblee pubbliche venivano convocate al suono delle campane e rappresentavano una minima forma di  partecipazione democratica. Per quanto riguarda il nostro comune, il luogo di assembramento era rappresentato dallo spiazzo in corrispondenza dell’attuale Piazza Daelli, già caratterizzato dalla presenza della Cappella di San Rocco. I suddetti Delegati nominavano poi il Console, il Sindaco e il Cancelliere. Al primo veniva riconosciuta una piccola remunerazione e spettavano compiti di Giustizia per lo più solo esecutivi (l’esercizio della Giurisdizione vera e propria era demandato ai magistrati della città capoluogo) mentre il secondo era chiamato ad un ruolo di rappresentanza e ad incarichi di maggiore responsabilità, a cominciare dal “riparto dei carichi fiscali” nella comunità. Per quanto riguarda i tanti piccoli comuni come il nostro sempre più comunque a tirare le fila della comunità si imposero i grandi proprietari terrieri del posto (nobili ed ecclesiastici) e i loro delegati, veri signori incontrastati di queste terre. Alla fine del XVII secolo oramai il “consiglio generale” dei capi di casa veniva chiamato a riunirsi al massimo una volta l’anno.
Basti considerare del resto che nella stragrande maggioranza dei casi i popolani chiamati a ricoprire il ruolo di Consoli erano del tutto analfabeti, quindi senza alcuna possibilità di assumere un autonomo giudizio su qualsiasi materia. Così in una Dichiarazione giurata in data 15 Luglio 1555 del Console  Francesco Charozo, al suo posto firma un certo prete Andrea di S.Fiorano, non sapendo il primo nè leggere nè scrivere. Questo Carozzi è il primo della serie di Consoli di cui abbiamo notizia.
Nulla ci risulta invece in merito alla presenza di un Cancelliere nel nostro Comune. Questi infatti risiedevano spesso nelle città più vicine, essendo sovente “uomini dotti di legge”, chiamati a tenere in ordine i libri delle imposte e del bilancio di queste comunità.

I NOSTRI CONCITTADINE DEL 1500

I primi atti del XVI secolo che vogliamo esaminare relativi alla nuova comunità di “Villa con San Fiorano” sono decisamente significativi. Si tratta di ben tre “Documenti censuari” che riportano l’elenco dei capifamiglia dei Comuni della Corte di Monza accompagnato da una serie di informazioni sulla loro condizione reddituale. Questi documenti infatti furono redatti essenzialmente a fini fiscali, per alimentare sempre meglio l’esoso prelievo tributario del Governo spagnolo, dal 1535 nuovo padrone del Ducato di Milano.  Consideriamo inoltre che il sistema dei tributi del tempo era decisamente squilibrato a favore dei redditi e dei residenti “cittadini” a scapito delle “campagne”, vero serbatoio senza fondo a cui attingere per riempire le casse statali. Era ancora vigente la separazione tra “perticato rurale” (beni posseduti da “non-cittadini”) e “perticato civile” (beni posseduti da “cittadini”), con un forte squilibrio impositivo a favore dei cittadini. Si calcola che ancora nel XVII secolo , una “pertica rurale” nel milanese valesse fino a sette/otto volte meno di una “pertica civile”, proprio a causa di questi aggravi fiscali di cui era gravata. (*)

Qui di seguito riportiamo il testo dei tre Censi del 1530, 1537 e 1546.

CENSO 1530

28 settembre 1530  – NOTIFICAZIONI DEL PERTICATO DELLE TERRE E DEI COMUNI SOTTO LA CORTE DI MONZA ONDE PROSEGUIRE NEL NUOVO CENSO (fatta da Marco Antonio da Legnano su disposizione della Comunità di Monza)

COMUNE DI VILLA CON SANTO FIORANOPROPRIETARI  Pertiche (1) tot.1940 di cui coltivate 600

G.Maria di Vicomercato  – abitante a Milano, possiede prt 500 di cui a vigna 200, a prati 30 il resto campi ( di cui coltivate prt 200)
Battista de Veteribus (de Vecchi) – abitante a Monza, possiede prt 600 di cui a vigna 150, a prati 30, il resto campi (di cui coltivate prt 50)
G.Pietro e f.lli de Vincimala (Vismara) – abitante a Milano, possiede prt 300, di cui a vigna 100, il resto campi (di cui coltivate prt 100)
G.Battista Moresino – abitante a Milano, possiede prt 400 di cui a vigna 150, il resto campi (di cui coltivate prt 150)
Monache di San Martino di Monza – possiedono prt 140 di cui a vigna 70, il resto campi (di cui coltivate prt 100)


COMUNE DI VILLA CON SANTO FIORANO
– Fuochi 7 – Bocche 28 –  Buoi 7

Francesco e Battista De Castello – massari, Antonia moglie di Battista, Iacopo di anni 6 figlio di Battista, Francesco loro famiglio. – Buoi 2 di G.Maria di Vicomercato – In tutto sono 5 bocche
G.Pietro detto Morellus de la Santa – Caterina sua moglie – In tutto sono 2 bocche
Battista, Pietro e Cristoforo f.lli De Galbiate – Magdalena e Paolina mogli di Pietro e Battista – Buoi 2 – In tutto sono 5 bocche
Femina de Tornago – Giovanni, Tommaso, i fratelli minori Iacopo di 5 anni, Margherita (depennato) Caterina di 3 anni – In tutto sono bocche 6
Luras detto el Gagiem – Angelina sua moglie, sua suocera – Buoi 1 del Monastero S.Martino Monza – In tutto sono bocche 3
Parinus De Ferraris – Giovanni Antonio maggiore (depennato) e Franceschina suoi figli – Buoi 1 di Battista De Veteribus – In tutto sono bocche 3
G.Antonio e Damiano f.lli de Castello – Curia moglie di Antonio, Giorgio di un anno suo figlio – Buoi 1 di G.Battista Moresino – In tutto sono bocche 4

CENSO 1537

16 agosto 1537 – CENSO PERSONALE DELLA CORTE DI MONZA
SAN FIORANO – 5 fuochi
Messer Silla di Vismala
Tognet de MonteBrianza massaro
Il Nicola da Galbiate massaro
Pietro Galgià               massaro
Parin da Cassago       massaro

LA VILLA E LA FOLA  – 3 fuochi
Battista Grosso          massaro
Bernardino                bracciante
Battista                        follatore

CENSO 1546

9 Marzo 1546 – DESCRIZIONE FATTA SOPRA OGNI SORTE DE BLADE (provviste alimentari), PERTICATO E BOCCHE FATTA PER IL SIG.LEODRISSIO PECCHIO COMMISSARIO SOPRA CIO’ ELETTO DALLA COMUNITA’ DI MONZA

COMUNE DI VILLA DE S.FIORANO CORTE DI MONZA  –  fuochi 12  –  bocche 64

P.Iacopo de Castello – se gliè trovato                                                               Segale   staia     3
Miglio   moggia 3
Leme     moggia 2  staia 2  (legumi)                                                               Panigo   staia      4              (tipo di cereale)
massaro di Francesco Rota e lavora prt 250  –  Sono bocche 6
Francesco da Castello – se gliè trovato………………
massaro di Francesco e Battista de Serono fittavoli di F.co de Vicomercato lavora prt 350 –  Sono bocche 8
Giovan da Tornago –  se gliè trovato……….
Lavora pt.40 terre di Marco nipote erede di Ludovico Cernuschio  –  Sono bocche 6
Battista de Castello detto il Grosso – se gliè trovato……………
Lavora prt 38 “dalli panzoyi” e prt 38 di Stefanolo Tentore -Sono bocche 5
Francesco Vertemato – lavora prt 25 terre di Battista Galbiato  –  Sono bocche 3
Lurago – se gliè trovato……………..
Massaro delle Monache di S.Martino  –  Sono bocche 3
Baldassarre de Galbiate – se gliè trovato…………………
Lavora prt 250 massaro di Messer Silla Vismara  –  Sono bocche 5
G.Angelo Rimoldo – se gliè trovato……………….
Lavora prt 250 massaro di Battista Moresino  –  Sono bocche 8
Battista brazanto – se gliè trovato…………………
Lavora prt 8 di Battista filatore e prt 12 de la “cantanora” –  Sono bocche 3
G.Pietro Vismara – se gliè trovato…………………
Il qual abita a Milano
Ambrosio Crolo –  se gliè trovato……………………….
Oste di Cristoforo Bertora e paga 50 lire imp. annue  –  Sono bocche 5
Francesco de Saxi – se gliè trovato……………………..
Prestinaio da un mese e affittuario di prt 22 di Battista Galbiato  –  Sono bocche 2
Dominus Syla Vismara –  se gliè trovato………………
Abitante a Milano in Porta Nuova parrocchia di S.Bartolomeo
Battista dalla Piaza – se gliè trovato…………………..
Folatore  –  Sono bocche 10

Vediamo allora quali informazioni e considerazioni possiamo trarre da questi così dettagliati documenti, oltre alla simpatica scoperta dei nomi e dei soprannomi dei nostri antichi concittadini.

CONFINI – dobbiamo partire dalla tavola dei Comuni del catasto Teresiano del 1721 (qui a fianco). A quella data i confini del comune di Villa con S.Fiorano sono già ben delineati e il territorio del comune è misurato in circa 3000 pertiche. Nei documenti cinquecenteschi in esame invece l’estensione del Comune viene quantificato (anno 1530) in 1940 pertiche. Un ulteriore documento del 1572 sulla “Tassa del sale” nei comuni milanesi cita “Villa con San Fiorano” di pertiche 2283. Non siamo in grado di identificare i confini originari del Comune e quali parti non fossero ancora comprese nel suo perimetro, ipotizzando oltretutto una situazione amministrativa ancora decisamente imprecisa ed incerta dove i confini erano definiti dalle spesso scarse informazioni degli estensori dei diversi documenti. Possiamo comunque ipotizzare che a questa data Villa con S.Fiorano si doveva estendere su un territorio ampio e significativo, che presentava già la doppia polarità tra S.Fiorano e la Villa, escludendo l’ambito di Sant’Alessandro.

Vale la pena segnalare che di quelle 1940 pertiche del 1530 solo 600 vengono dette coltivate. Nei primi decenni del 1500 tutte le campagne milanesi sono flagellate da guerre e scorrerie di eserciti e bande armate (successione al Ducato di Milano) che determinano  nei nostri territori distruzioni, carestie e pestilenze. Le conseguenti falcidie di popolazione e fuga dalle campagne determinò una drastica riduzione della produzione agricola. Più in dettaglio per Villa S.Fiorano possiamo anche individuare il dettaglio delle colture in atto su quelle 1940 pertiche al 1530 :
VIGNA 670 ; CAMPO 1210 ; PRATO 60 ; BOSCO 0 ; INCOLTO 1340.
La seconda metà del secolo vide un rapido miglioramento della situazione e le tante pertiche incolte vennero messe a produzione, in buona parte come campi “aratori vitati” (misti a vigne e cereali).

STRUTTURA SOCIALE –  le cascine costituivano il centro di tutta la vita sociale ed economica del tempo. Ad inizio del ‘500 la campagna della “pianura asciutta lombarda” (nella cui fascia era compreso il nostro territorio) era caratterizzata da un forte frazionamento nella conduzione delle attività agricole. Alla grande azienda agricola della bassa padana, qui le caratteristiche geologiche dei terreni e la minore abbondanza d’acqua contrapposero una parcellizzazione delle proprietà. Mentre l’azienda della Bassa era unitaria e fondata sul lavoro di braccianti salariati, qui ogni piccola unità familiare, nell’ambito della grande famiglia patriarcale, conduceva invece da sé un piccolo fondo. Così nelle nostre cascine ogni famiglia, oltre ai locali di abitazione, possedeva pure la sua parte distinta di rustico, formata dalla stalla e dal soprastante fienile, mentre l’unità ambientale di queste corti pluriaziendali rimaneva garantita dal vincolo familiare che ne univa gli abitanti.
I contadini che ci abitavano non vivevano tutti una stessa condizione socio-economica. Possiamo allora distinguere tra: “massaro”, “pigionante”, “brazante”, “fittavolo” e “fabulo” :

  • Il massaro  era un contadino relativamente agiato, che pagava un affitto in genere in natura, che lavorava un podere di una certa estensione e che per farlo disponeva di un aratro e degli animali per trainarlo (ad es. i De Castello, il Lurago);
  • Il “pigionante”  era un contadino più povero, senza buoi, con poca terra a disposizione e che lavorava a vanga. Doveva spesso  integrare il reddito familiare con il lavoro
    presso altri fondi o presso le botteghe e manifatture locali. Questa figura si afferma nel ‘600 e si avvicina più alla condizione del “brazante” che a quella del massaro. Spesso era la diversa qualità delle abitazioni a definirne il diverso status sociale. Queste diversità economiche e sociali si riflettono, come visto, anche nella composizione dei rispettivi nuclei familiari (ad es. Francesco Vertemato, Giovan de Tornago);
  • Il “brazante”, come detto, era assimilabile al pigionante. Anche lui “viveva di sue fatiche” e a volte poteva contare solo su un piccolo pezzo di terra in affitto e quindi doveva per lo più vendere il proprio lavoro a giornata (ad es. Batista brazante, Bernardino brazante);
  • Il “fittavolo” era giuridicamente un affittuario come il massaro, ma la sua consistenza economica e la sua importanza sociale erano ben diverse. Il fittavolo infatti non solo era ben più ricco, ma, quel che più conta, non produceva per il consumo diretto della sua famiglia ma per vendere i prodotti sul mercato. E naturalmente non coltivava la terra direttamente, con le sue mani, ma attraverso l’impiego di massari e braccianti. Il contratto che lo legava al proprietario era quasi sempre “a denaro”. La sua figura si affermerà comunque dal 1600 in poi e soprattutto nella bassa pianura padana. Saranno i promotori dello sviluppo “capitalistico” dell’agricoltura lombarda.
  • Il “famulo” era praticamente un giovane che serviva in casa di massari o fittabili. Per i giovani provenienti da famiglie di braccianti, il lavoro servile rappresentava una tappa obbligata per accumulare quel poco capitale necessario a costituire una nuova famiglia. Aiutavano sia in casa che nei lavori dei campi.

POPOLAZIONE = le “bocche” dei residenti rilevate nel Comune vanno dalle 28 del 1530 alle 64 del 1546. Anche i “fuochi” (nuclei familiari) passano da 7 a 12. Il placarsi dei conflitti già accennati portò ad un graduale aumento della popolazione e ad una buona ripresa delle attività agricole. In questo scorcio di secolo furono proprio le campagne più che i centri urbani a conoscere un buon incremento demografico. E’ interessante anche notare come anche la composizione media delle famiglie cresce da 4 fino a 5,3 membri (anno 1546). Solo alcuni massari ed il folatore (di S.Giorgio) possono permettersi nuclei più consistenti di 8/10 membri. I massari De Castello ospitano anche un “familio”. Questi erano giovani provenienti dalle famiglie di braccianti utilizzati come servitori per il lavoro domestico o agricolo.
La stretta relazione fra ampiezza dei fondi affittati e dei fuochi è il riscontro più evidente del fatto che la famiglia contadina lombarda del Cinquecento fosse anzitutto un aggregato di lavoro.

ATTIVITA’ – facendo riferimento al censimento del 1546 (il più completo) possiamo farci un’idea di quali fossero le occupazioni dei nostri concittadini di allora. La grande maggioranza di questi era impiegata in attività legate all’agricoltura. Cinque capifamiglia erano massari e conducevano importanti appezzamenti di terreno (tra le 250 e 350 pertiche), mentre altri quattro erano semplici contadini e lavoravano terreni meno estesi (tra le 20 e 70 pertiche).  Erano già presenti le prime figure di artigiani con tre rappresentanti oste/prestinaio/folatore). Questo tipo di composizione sociale era chiaramente ricorrente in tutti i piccoli centri abitati del contado monzese e brianzolo. Diverso il caso delle città. A Monza ad esempio la popolazione impiegata in attività “non agricole”, nel commercio/artigianato e nelle già fiorenti attività manifatturiere, arrivava già ad oltre il 50%.
Vengono citati anche i nomi di due possidenti terrieri della famiglia milanese dei Vismara (Vincemala), Syla e G.Pietro. Qui si impone una spiegazione. Il censimento in oggetto doveva servire a individuare le “scorte alimentari” (blade) che ogni famiglia deteneva nella propria abitazione come cespite sul quale determinare le relative imposte da pagare. E infatti per ogni capofamiglia si scrive  “se gliè trovato” con l’elenco di cosa e quanto si era accertato (noi abbiamo riportato come esempio solo il caso del primo capofamiglia). Il fatto che anche ai due Vismara, cittadini milanesi, vengano accertate delle “blade” in San Fiorano (oltretutto in quantità ben superiore alla media dei residenti) vuol dire che in questa località i due ricchi possidenti avevano una residenza, anche se probabilmente saltuaria. Ciò ci conferma come la cascina continuava ad ospitare non solo le abitazioni coloniche dei contadini ma anche una porzione di “casa da nobile”, di ben maggior valore e confort.

PROPRIETARI – dai tre documenti riusciamo anche ad identificare i maggiori proprietari terrieri del tempo: il Monastero di S.Martino di Monza, la famiglia Vismara (Vicemala/Vincemala) di Milano, la famiglia Vimercati (de Vicomercato) di Milano, certi G.Battista Moresino sempre di Milano e Battista Vecchi (de Veteribus) di Monza.  Siamo ancora in presenza di una forte propensione delle ricche famiglie dei mercanti milanesi e in parte anche monzesi ad investire i frutti della loro fortunata attività in campo immobiliare nelle campagne del contado circostante, apportandovi anche lo spirito d’intraprendenza proprio della loro cultura. Sono dunque questi soggetti, direttamente o tramite loro delegati e procuratori, a determinare il corso delle vicende e dell’amministrazione villa-sanfioranese del tempo.

MOBILITA’ – i tre censi riportati si susseguono in un lasso di tempo abbastanza ristretto (16 anni). Si potrebbe allora supporre che i nomi dei capifamiglia trascritti non dovessero differenziarsi più di tanto nei tre elenchi. Invece non è così. Sono comunque una minoranza i nuclei familiari che ritroviamo ricorrenti in più di uno di questi elenchi. Ad esempio solo il massaro Battista de Castello detto il Grosso lo ritroviamo in tutti e tre gli elenchi (presso la Cascina Casotto). Altri nomi ricorrono solo in due: il Lurago detto il Gagiem e Battista dalla Piaza follatore. In altri casi alcuni nomi li ritroviamo ma nei pari elenchi della Santa (Morellus o Francesco da Vertemate).  Possiamo anche attribuire una parte di queste discordanze ai criteri decisamente poco accurati e “scientifici” con i quali questi elenchi furono stesi dai tecnici incaricati. Resta comunque il dato di una comunità segnata da una forte mobilità in entrata e in uscita. Abbiamo così ulteriore conferma di come le condizioni di vita di questi massari/contadini fossero contraddistinte da una significativa precarietà che li obbligava a continui spostamenti ma anche di come le comunità del tempo fossero particolarmente aperte e pronte ad accogliere nuovi ingressi anche da località non proprio limitrofe. Le tracce le ritroviamo negli stessi antichi nomi: Vertemate, Galbiate, Castello, Tornago, Cassago, Monte Brianza, Giussano.

L.LE NAIN - Famiglia di contadini - olio del 1642

ALIMENTAZIONE – dal censo del 1546 possiamo farci anche un’idea indicativa della dieta dei concittadini del tempo. Le “blade” a cui si accennava sono per lo più composte da cereali “poveri” quali il miglio, la segale e l’avena. Queste erano del resto ancora le colture più diffuse nei nostri campi. Ad arricchire il menu appare anche qualche legume e poco frumento. Alcune famiglie avevano “in uso” mucche (boves) da cui ricavavano del latte e la poca carne derivava per lo più dagli animali da cortile (galline, capponi). Il tutto innaffiato da quel po’ di vino di ben scarsa qualità che dalle tante vigne coltivate restava a disposizione dei contadini.

 

NASCE LA PARROCCHIA DI SANTA ANASTASIA

In questo secolo per il nostro comune si verifica un avvenimento decisamente significativo: la nascita nel 1578 della nuova Parrocchia di Santa Anastasia, che comprendeva nel suo mandato anche tutto il territorio del comune di Villa San Fiorano, pur avendo la sua chiesa prepositurale sita alla Santa, nel territorio di Monza. Le due chiesette di San Fiorano e Sant’Alessandro diventano oratori sussidiari alla nuova parrocchiale, continuando comunque a svolgere le loro sacre funzioni. La cerimonia di investitura si svolse presso la piccola Cappella di San Rocco, sita fin d’allora nell’attuale sede di via Mazzini (nel territorio di Villa San Fiorano) e vi parteciparono 45 capifamiglia tra tutti quelli interessati all’evento. Non possiamo individuare i partecipanti villa-sanfioranesi in quanto l’elenco non distingue la residenza dei singoli parrocchiani. Del resto il perimetro della Parrocchia comprendeva oltre a La Santa, Villa San Fiorano e Sant’Alessandro anche cascine e mulini più a ridosso della cerchia muraria di Monza (Cascina San Bernardo o i Mulini di Val Negra) e comunque località ben oltre i confini dell’attuale Villasanta, , mentre escludeva San Giorgio.

Olio su tela seicentesco raffigurante la cerimonia di conferimento del titolo di parrocchia alla chiesa di S.Anastasia da parte di S.Carlo Borromeo ( tela tuttora custodita presso questa chiesa).

Di questa vicenda, voluta dall’Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo,  parleremo più diffusamente quando tratteremo della storia del borgo de La Santa. Qui vogliamo comunque sottolineare l’importanza di questo avvenimento. La nuova Parrocchia rappresentò il primo istituto sotto il quale si ritrovarono uniti i diversi borghi che verranno poi a comporre la nostra Villasanta. Pur trattandosi di un Ente ecclesiastico non si può certo dimenticare l’importanza e il ruolo significativo che svolgeva il Parroco nella vita anche civile di una comunità del tempo. Per la prima volta tutti gli abitanti di queste lande si trovarono a fare comune riferimento ad un unico centro non solo spirituale ma anche amministrativo (battesimi, matrimoni, decessi).
La Parrocchia rappresentò anche un ulteriore passo nel lento e faticoso processo di affrancamento di queste comunità contadine dal ruolo preponderante e accentratore della città di Monza. Questo nuovo assetto dell’organizzazione di tutta la chiesa monzese può essere considerato un momento di decentramento di ruoli dal capoluogo ai borghi circostanti. Nasce da circostanze che originano in ambito ecclesiastico (contrasto tra la Diocesi milanese e la curia monzese), ma avrà significative ripercussioni anche in campo civile e sociale.

A SAN FIORANO

Restando sempre nell’ambito del XVI secolo ma cambiando punto d’osservazione sulla sola realtà sanfioranese, possiamo attingere altre informazioni dal susseguirsi delle “Investiture” d’affitto delle proprietà terriere qui presenti (come del resto già visto per il ‘400). I documenti a nostra disposizione sono relativi a tre Contratti ancora del Monastero di San Martino di Monza (1545, 1554, 1576) e a uno del Capitolo di San Giovanni di Monza (1535).
Ritroviamo nuovi massari e affittuari degli appezzamenti che abbiamo già individuato intorno alla Cascina di S.Fiorano. Nel 1545 Il Lurago da Giussano risulta il conduttore dei beni affittati dal Monastero di San Martino e quindi residente in quella antica casa sempre nella cascina e già citata in altra sede (2).

Ma questo massaro doveva già trovarsi qui a san Fiorano fin da prima. Lo troviamo infatti insieme alla moglie Angelina e alla suocera nel censo del 1530 come il “Luras detto el Gagiem”. Non doveva essere una cattiva sistemazione per la sua famiglia: in tre occupavano un’abitazione di quattro locali a terra e due sopra (probabilmente la “zona notte”) con orto, stalla, pollaio e fienile. Ci si può caso mai chiedere come facesse questo Gagiem a gestire da solo le 200 e passa pertiche di terreni affittati, non avendo figli su cui contare. Probabilmente la moglie Angelina doveva affiancarlo nei campi per tanti lavori, lasciando alla suocera la cura della casa e degli animali da cortile. Non è neanche escluso che  possa aver fatto ricorso a braccianti stagionali ingaggiati per un pugno di farina.

In piantina le due case da massaro a San Fiorano già individuate fin dal 1400

Il Lurago è ancora presente nell’ elenco del 1546 sempre censito con “tre bocche”, ma allo scadere del suo contratto di nove   anni nel 1554 al suo posto troviamo il massaro  Cristoforo de Fossati, nuovo conduttore di questa masseria e nuovo abitante di San Fiorano.
Ma, ad ulteriore conferma della precarietà dei tempi, anche il buon Fossati non sembra essere rimasto a lungo nostro concittadino. Nell’Investitura del 1576 subentra infatti, come nuova controparte del Monastero, Messer Scilla (Silla, Syla) de Vicesmala membro di quella ricca famiglia milanese (Vismara) nella quale ci siamo già imbattuti. Nel 1530 G.Pietro Vismara è proprietario in San Fiorano di 300 pertiche (qui dobbiamo sempre precisare che si trattava probabilmente del possesso del “diritto d’uso” di queste terre la cui “proprità diretta o primaria” era dei Canonici di San Giovanni di Monza, da loro “livellata” ai Vismara). E’ del 1535 il contratto d’affitto livellario di beni in S.Fiorano da parte dei Canonici di S.Giovanni di Monza a Petrus e Silla Vincemalis, figli di Ieronimus. Nel 1546 gli stessi Pietro e Silla risultano residenti, anche se non stanziali, di San Fiorano e un certo Baldassare de Galbiate lavora 250 pertiche sempre del Silla. Quindi non solo i Vismara sono già titolari di “diritti d’uso” di molti terreni e case in San Fiorano, ma acquisiscono anche la conduzione per sette anni di altre 224 pertiche dal Monastero di S.Martino, che affideranno probabilmente ad altro massaro/contadino.

LA CHIESA DI SAN FIORANO
Il riferimento alla famiglia Vismara ci porta poi a riprendere un discorso iniziato nel lontano XIII secolo e da allora interrotto sulle vicende della nostra chiesetta di San Fiorano (3). Per trovare nuove notizie al suo riguardo dopo quella prima citazione nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani”, dobbiamo infatti aspettare fino al XVI secolo. Nessun documento in tutto il corso del Medioevo relativo alla circoscrizione ecclesiastica del capitolo di Monza cita espressamente questa chiesa. Dobbiamo arrivare agli atti della visita nel nostro territorio del Cardinale Borromeo del 1578 per trovare un’esplicita citazione della chiesa di San Fiorano. E le notizie che la riguardano non sono per niente buone. Il tempietto “campestre” è descritto come semi abbandonato, solo in parte coperto, non ad formam (conforme alle norme ecclesisatiche) e fiancheggiato da tutti i lati dalla strada (anche se questa indicazione non ci aiuta molto per individuare la sua precisa collocazione in mappa). Sembra proprio che questa antica chiesetta svolgesse oramai con estrema precarietà le sue sacre funzioni. E la proprietà dell’edificio si dice proprio di quel sopracitato “Sylla” Vismara, che asserisce oltretutto di voler ripristinare e risanare questo sacro oratorio. Possiamo dunque ipotizzare che le famiglie residenti in cascina potessero ancora godere delle sacre funzioni della chiesa, anche se magari solo in occasione delle festività, con la presenza di un sacerdote deputato dall’Arciprete monzese. Ma ci avviciniamo velocemente alla fine dell’esistenza di questa antica chiesetta. Nonostante le citate assicurazioni del proprietario, l’edificio non fu mai restaurato e anzi nei successivi documenti ecclesiastici di fine ‘500 non si farà più alcun cenno all’originario tempietto dedicato a San Fiorano, che dobbiamo quindi pensare come del tutto abbandonato e probabilmente crollato o demolito.  Siamo così, allo scadere del XVI secolo, di fronte ad un ciclo che abbiamo già visto in occasione delle vicende della chiesa di Sant’Alessandro. Di fronte ad uno sviluppo sempre maggiore della Cascina e delle attività agricole al suo contorno, assistiamo invece ad un progressivo degrado dei due edifici sacri e delle attività di culto annesse.  Come vedremo, tutto ciò però non coincise  con la fine del culto locale verso San Fiorano.

 

ALLA VILLA

Non abbiamo notizie dirette relative alla cascina della Villa durante il 1500. Non sappiamo dunque con precisione quale fosse lo sviluppo raggiunto a questa data dal corpo dell’edificio. Le prime raffigurazioni in pianta le avremo solo a partire dai primi del ’700 nel Catasto Teresiano. Dal censo del 1537 sappiamo che presso la Villa vengono censiti due soli capifamiglia : il massaro Battista Grosso (De Castelli) e il bracciante Bernardino. I De Castello segneranno una presenza costante per più secoli sia in Villa che al Casotto. Se prendiamo per buona l’ indicazione di queste presenze e la paragoniamo con le notizie successive, possiamo dire che la cascina non sembra aver ancora raggiunto a questa data il suo massimo sviluppo e nonostante la sua origine trecentesca appare ancora di ridotte dimensioni.

Il "Brugnarium" presso la cascina Casotto e il suo "Bosco strepato"

Risalgono invece a questo secolo informazioni relative agli ambiti limitrofi alla cascina. Parliamo in particolare di un vasto appezzamento di terreno di circa 200 pertiche detto al “Brugnarium”(in tempi più moderni Brugnè). Era collocato subito a nord della cascina Casotto (di cui parleremo più avanti) i cui destini furono spesso intrecciati con quelli della Villa. A fine ‘500, dopo una serie di svariati passaggi di proprietà, ne divennero possessori i Conti Casati di Milano e costituì il primo nucleo di quella che poi diventerà la più vasta “Possessione della Ca’Bianca”. Nei documenti che segnano le vicende “immobiliari” di questi appezzamenti, troviamo come essi vengano collocati una volta “nel territorio del Casotto”, l’altra “in Sant’Alessandro” o ancora “nel territorio di Villa San Fiorano”. Permaneva una certa confusione nella toponomastica di questi luoghi.

Vogliamo infine accennare a come questo “Brugnarium” si dicesse composto di terreni sia a vigne che a boschi. E in relazione a quest’ultimi ci piace allora segnalare che proprio qui a tutt’oggi ritroviamo l’unico, per quanto esiguo, ambito boschivo sopravvissuto su tutto il territorio del nostro Comune. Si trattava molto probabilmente del cosiddetto “Bosco strepato”.

IL COMUNE DI VILLA CON SAN FIORANO NELLA CORTE DI MONZA

Con il 1600 oramai il nostro borgo campestre si configura come un Comune all’interno della Corte di Monza, perso ogni rapporto di dipendenza dalla Pieve vimercatese e sempre più connesso alle vicende monzesi. Non fu un caso che questa espansione residenziale del nostro borgo si concentrò essenzialmente nella parte del territorio comunale lungo l’asse della Strada Maestra per Lecco a ridosso della frazione monzese della Santa. Anche questa del resto si stava arricchendo di nuove presenze ed è proprio di inizio secolo l’edificazione da parte della famiglia Sechi (Secchi, Secco) di Milano di quella che noi ora conosciamo come Villa Camperio. I nuclei originari della Cascina di San Fiorano e della Villa, con i terreni limitrofi, restarono in parte defilati da questo sviluppo insediativo, limitandosi a qualche probabile aggiunta agli edifici che componevano l’insieme delle Cascine. Precisiamo che per tutto il secolo, come già visto per il ‘500, resterà la separazione tra il Comune di S.Alessandro e quello di Villa S.Fiorano.

I NOSTRI CONCITTADINI DEL 1600

Elenco dei Capifamiglia del 1655 di Villa con San Fiorano

Un primo documento unitario che ci attesta la crescita della nostra comunità qui in esame è un nuovo elenco dei Capifamiglia del 1655, redatto in occasione del passaggio del Feudo di Monza dagli spagnoli De Lejva ai Conti Durini.
Nel documento si evidenzia prima di tutto come il Comune di Villa con San Fiorano in effetti non risultava “infeudato” a nessuna delle due nobili famiglie, né del resto fu mai sottoposto nella sua storia ad alcun feudo. L’elenco non è così dettagliato e ricco di informazioni come quello visto nel 1546 ma ci trasmette comunque note interessanti. Per prima cosa i “fuochi” (famiglie) censiti sono diventati 30 (o meglio 29 + una vedova sola). Non risulta il numero preciso delle “bocche” che però possiamo stimare intorno ai 160/190 residenti, con un incremento del 200% rispetto al dato di 64 “bocche” del 1546. E il dato è ancora più significativo se consideriamo che si era appena usciti dalla grave crisi demografica causata dall’epidemia di peste del 1630 (Peste manzoniana) che aveva fortemente decimato le popolazioni anche nei nostri territori.

1655 – COMUNE DI VILLA CON SAN FIORANO

Io Giò Pietro Magio (Maggioni) Sindico e Consollo della Villa con San Fiorano Corte di Monza notifico tutta la quantità di fogolatti (fuochi)

Santi Sesano            massaro        di  F.co Castello
Antonio Castello    massaro        come sopra
Dom.co Censer        fittavolo        come sopra
Carllo Pillotta         fittavolo         come sopra
Gottardo Pirolla    fittavolo         come sopra
Carllo Galbiatto     fittavolo         come sopra
Antonio Frattino   fittavolo          come sopra
Fr.co Tabusso                 in casa di propria
Giò Molinar              fittavolo        di   Sig. Sechi
Sabetta Tornaga    fittavolo         come sopra   (vedova) *
Carlo Galbiatto              in casa di propria
Stefano Castello     fittavolo      di  Carllo Galbiatto
Dionisso Nava        fittavolo          come sopra
Fr.co  …………..        fittavolo       di    Giò Molinar
Giò Bosoto                fittavolo           come sopra
Carllo Galbiatto    fittavolo            come sopra
Germa Pirotta        fittavolo    di Giò Paulo Tornago
Gere.Gio. Locato       fittavolo           come sopra
Pietro Paullo Tornago        in casa di propria
Antonio Piazza        fittavolo     di    Catterina Galbiatte
Antonio Galbiatto                  in casa di propria
Pietro SanGallo       massaro  Madri di S.Martino Monza
Antonio Viganò        massaro    di    Fiscal Porro
Paullo Ornago          massaro             come sopra
Tomas Brambilla    massaro             come sopra
Dom.co Vismara     massaro    di   Antonio Vimercatto
Pietro Magiò             Sindico e Consolle  fittavolo di G. Molinar
Carllo (Gallo)               fattore      di    Fiscal Porro

Il documento è sottoscritto da terza persona per conto del   Sindaco/Console Pietro Maggioni, “per non saper questi né leggere né scrivere “ (a proposito di quanto si diceva in merito al ruolo che questi amministratori locali potevano effettivamente svolgere nella comunità !)
Nell’elenco, con apposito asterisco, vengono segnalate le “donne vedove” (qui Sabetta Tornaga) in quanto queste erano esentate dai prelivi fiscali.

Appaiono dunque nelle vicende “villa-sanfioranesi” nuovi residenti e nuovi signori delle terre. Tra i proprietari dei campi e delle case troviamo ora le famiglie milanesi Castello (alla Villa), Porro (a S.Fiorano), Vimercati e Sechi (a ridosso della Santa), oltre che le solite Monache di San Martino. La prima metà del ‘600 vide il consolidarsi di forti investimenti della nobiltà e borghesia cittadina in campo fondiario in tutto il monzese e la Brianza. Il possesso della “terra” era la leva principale per l’ascesa sociale e l’affermazione del potere e della ricchezza di una casata.
Nell’elenco si fa distinzione tra i fittavoli, il cui contratto riguardava solo l’abitazione o qualche piccolo appezzamento, e i massari o fattori che invece erano i conduttori di importanti lotti di campi e vigne. Ma tra i proprietari si fa luce una nuova tipologia di soggetti. Si tratta di alcune figure di piccoli contadini o artigiani che però risultano proprietari della loro casa (Carlo Galbiati o Paolo Tornago) e probabilmente di qualche pertica di terreno che comunque permetteva loro di vivere senza dipendere direttamente da “padroni”. Per inciso non è questo il caso della cascina di San Fiorano ancora del tutto compresa nel patrimonio delle famiglie Porro, Vimercati e del Monastero di San Martino.

LO STATO DELLE ANIME DEL 1674
Altra fonte documentale unitaria relativa al Comune di Villa con San Fiorano ed altrettanto importante del precedente documento, è costituita dallo  “Stato delle Anime “ della Parrocchia di Santa Anastasia del 1674. A seguito della riforma tridentina ogni parroco doveva stendere periodicamente una recensione sulla situazione anagrafica dei suoi parrocchiani, riportando i nomi dei capofamiglia e dei componenti di tutto il nucleo, la loro professione e età, il luogo di abitazione e il suo proprietario. Dal 1578 anche i parroci della nuova parrocchia di Santa Anastasia avrebbero dovuto assolvere a questa incombenza. Non sappiamo se in effetti il compito venne svolto o meno, comunque a noi sono pervenuti unicamente alcuni di questi Stati delle Anime redatti nel XVII secolo e oltretutto per lo più incompleti e in forma di “minute”. Il più integro e significativo resta appunto quello del 1674 redatto dal parroco Don Giacomo Francesco Duni (che terminò il suo mandato come “insano di mente” e nel 1701 fu addirittura assassinato dal balordo Angelo Tremolada).
In questa sede non abbiamo riportato il testo integrale di questo documento sia per la sua eccessiva lunghezza (4) sia perché relativo a tutta la Parrocchia che, come detto, abbracciava un perimetro ben più ampio che non la sola Villa con San Fiorano.  Ci interessa comunque svolgere alcune considerazioni, anche in rapporto al sopra riportato elenco del 1655.

Nello “Stato delle Anime” la popolazione è ripartita in funzione della sua abitazione. Per ogni “casa” viene indicato il proprietario e l’elenco dettagliato dei nuclei residenti, fittavoli o massari. I siti di abitazione che possiamo attribuire con sicurezza a Villa San Fiorano sono :

  • A Santo Fiorano nella Casa de reverende Monache” +  “Nella casa del Signor Fiscal Poro” + “In Casa del fattore”  che nel loro complesso costituivano l’insieme della Cascina di San Fiorano. In tutto vi ritroviamo 5 fuochi (2 Gallo, 1 ciascuno San Gallo,Cereda e Ornago) per un totale di 66 residenti;
  • “Al Casinotto o Cascina Casotto(attuale via Baracca) con 2 fuochi (Castello, Cesano) per un totale di 27 residenti;
  • “Alla Villa della Signora Contessa” ( Contessa Lissoni ved. Arbona)) che era appunto la Cascina Villa Vecchia, che doveva quindi ospitare anche un’”ala nobile” dove risiedeva la Contessa con la “damigella” Isabella e una serva Maria Castella. Per il resto vi abitavano ben 8 fuochi (Bataino, Ornago, Albano, Perotta, Castello, Pirovano, Nava) per un totale di 44 residenti;
  • “Al Dosello de Signori Recalcati” , la cascina Dossello (attuale V.le della Vittoria) dove risiedeva un’unica famiglia Pirovano di 12 componenti.
  • “Alla casa del Signor Pelizzone” che oggi diremmo collocata “in bass ai Erba” sul Lambretto (via Deledda). Qui abitavano i due nuclei famigliari di Antonio Rossi e di Battista Sanchino per un totale di 13 residenti.
  • “Nell’Osteria e nel Prestino del Sig. Barnaba Secchonell’attuale via Mazzini (lato Ovest), che ritroveremo anche col nome di “Osteria del Papino”. La ricca famiglia Secchi oltre alla villa Camperio possedeva altri beni sul territorio, tra i quali questa Osteria (dove abitava la famiglia del Messer Andrea Tornago di nove membri) e l’annesso Prestino (dove abitava la famiglia di Paulo Tornago di otto membri).
  • “In casa del Marzino” sempre in via Mazzini. E’ la residenza di proprietà di Carlo Galbiato detto il Marzino (con sei familiari), Console di Villa San Fiorano. Vi abita anche il pigionante Giovan Perego con la moglie.
  • “Nello stallo dei Signori Crivelli” anche lui in zona “ attuale Mazzini”. Lo stallo era il sito dove venivano ricoverati i cavalli delle carrozze che transitavano per Villasanta verso Milano o Lecco, fornendo un servizio di posta. Qui abitavano ben sette nuclei famigliari (Paulo Vismara, Pietro Paulo Galbiato, Dominico Vismara, Francesco Dozo, Giuseppe Galbiato, Cristoforo Duni e Andrea Nava che era solo) per un totale di 28 residenti.
L’attuale via Mazzini ai primi del ‘700. Solo il lato sinistro (a Ovest) era di competenza del comune di Villa San Fiorano. L’altro faceva capo a Taverna della Costa. Nella parte sinistra della figura la cascina “in bass ai Erba” (entrata al Parco del Dosso)

In questo elenco non abbiamo chiaramente preso in considerazione le abitazioni che ci sono sembrate imputabili ai nuclei de La Santa, Sant’Alessandro, Taverna della Costa, Sesto Giovane e la Cascina Recalcati (la cui dipendenza amministrativa a questa data non è chiara). Mancano invece quella “casa del Sig.Antonio Vimercato a Santo Fiorano” citata nel 1655 e in altri successivi Stati delle Anime e la “Fola di San Giorgio”, già segnalata nel ‘500 (5), ma che non rientrava nel perimetro della nuova parrocchia di S.Anastasia.

Tra i grandi proprietari appaiono ora due importanti famiglie milanesi : gli Arbona e i Recalcati.
Se il numero complessivo di circa 200 residenti risultante da questo documento si avvicina a quello dell’elenco del 1655 (pur segnalando un leggero aumento), diversamente dobbiamo invece dire per quanto riguarda i nomi di questi residenti. Pur essendo infatti i due elenchi distanti di solo 20 anni sono decisamente poche, non più della metà, le famiglie che ritroviamo in entrambi. Come abbiamo visto per le vicende del secolo precedente, pur facendo aggio delle inevitabili imprecisioni con cui si stendevano queste rilevazioni, anche qui si riconferma la forte mobilità della popolazione residente. Le nostre continuavano ad essere terre caratterizzate da significativi flussi migratori, sia in uscita che in entrata. A partire dalla metà del ‘500 ci siamo ritrovati in un contesto storico caratterizzato in particolare da una immigrazione di tutto rilievo, confermata dalla crescita della popolazione, dalla molteplicità dei cognomi e dai diversi toponimi di provenienza ancora presenti nei cognomi stessi. La nostra campagna e le nuove attività artigianali costituivano oramai una fonte di opportunità di lavoro e di insediamento sempre più significative, che innescarono un processo di crescita che continuerà ininterrotto fino al XX secolo.
Il crescente benessere di cui potevano godere anche i ceti popolari è testimoniato oltretutto dalla composizione dei nuclei famigliari, ora ben più consistenti di quanto visto nel secolo precedente. Ci attestiamo intorno ad una media di 8 componenti per famiglia, con casi di nuclei anche di più di 20 famigliari. Purtroppo questi ultimi elenchi non riportano le professioni dei residenti censiti ma possiamo pensare come le attività agricole continuassero a rappresentare il settore di impiego largamente maggioritario a cui si affiancavano vecchie e nuove attività artigianali: osti, prestinai, stallieri e in particolare mugnai (anche se queste attività le ritroveremo addensate soprattutto nei Comuni de La Santa e di Costa Taverna).

Da notare infine come tutti i residenti abitino in case non di loro proprietà, tranne il caso della Contessa Lissona, unica tra i ricchi proprietari a risiedere in loco. Viene anche elencato il sito “in casa del Marzemino”, che  altri non era che il console Carlo Galbiato. Potrebbe far pensare ad un caso di proprietà immobiliare da parte di un massaro, anche se nel Catasto del 1751 la casa appare intestata al Marchese Casnedi.

 

A SAN FIORANO

Come per la chiesa di Sant’Alessandro, anche per quella di San Fiorano il 1600 rappresentò un momento di rinascita e di nuovo impulso. In questo caso il merito va attribuito al padre cappuccino Casimiro Porro, figlio dell’illustre Sig.Fiscale Porro. Questa già citata famiglia Porro, anch’essa milanese, in questi anni appare come proprietaria di ben 700 pertiche di terreni in San Fiorano (sembrano essere subentrati in tante proprietà proprio ai Vismara). Due memoriali dei parroci Duni e Radaelli citano espressamente la presenza di questo nuovo oratorio dedicato a San Fiorano eretto nel 1678 dal suddetto padre Casimiro, mentre si perde ogni riferimento all’originario tempietto di san Fiorano, probabilmente abbandonato e distrutto.

Sul finire del secolo comunque la chiesa passò per eredità dalla famiglia Porro al patrimonio dei Signori Loria di Milano, come del resto buona parte della cascina e dei terreni circostanti. La nuova cappella adibita ad oratorio pubblico  si presentava ora del tutto consona ad accogliere funzioni sacre ogni Domenica e festività ed era intitolata anche a San Francesco  e alla Madonna. Contrariamente al primo antico edificio sacro andato perduto, di questa nuova chiesa possiamo identificare la precisa collocazione in mappa. Le di poco successive cartine del Catasto Teresiano del 1721 ce ne danno chiara indicazione con una lettera “A” tra gli immobili, orti e giardini della Cascina, anch’essi per lo più di proprietà dei Loria.

Particolare della mappa catastale del 1721 della Cascina di San Fiorano

Anche in questo secolo abbiamo la conferma dei beni delle Monache di S.Martino qui a S.Fiorano. Più nel dettaglio sappiamo che come loro massaro risulti Pietro SanGallo. La famiglia SanGallo la vediamo insediata in cascina dal 1650 con un contratto d’affitto semplice con il Monastero, che si prorogherà via via fino al 1699, quando subentrerà come conduttore Battista Castoldo detto il Gibbone. E’ probabile che questi massari siano scesi dalle terre svizzere del San Gallo e abbiano trovato buone opportunità per accasarsi nelle terre villasantesi, oltretutto in posizioni sociali importanti. Quello di Pietro non è infatti l’unico nucleo di questa famiglia presente in San Fiorano: Carlo Gallo è  fattore del Sig.Fiscale Porro. La denominazione della famiglia (Sangalli) si trasformerà spesso nella contrazione di Gallo o meglio ancora Galli.
Vogliamo qui riportare il dettaglio delle condizioni alle quali questi massari affittavano le terre del Monastero perché ci danno un interessante spaccato su aspetti concreti della vita di questi nostri antichi concittadini. E’ un classico esempio di contratto “a grano o misto” (contrapposto a quello “a denaro”) in base al quale il conduttore pagava per il fitto una quota fissa dei prodotti cerealicoli e di solito la metà delle uve e del gelso (in questo caso invece “la foglia dei moroni” resta tutto al conduttore). In aggiunta si dovranno anche pagare gli “appendizi” in forma di uova, capponi e altro. Altra formula ricorrente del contratto era “ad meliorandum”, nel senso che il conduttore si impegnava anche ad apportare migliorie al fondo. L’inserimento, ad iniziare dal XV secolo, di questo “patto di miglioramento” viene spesso considerato un importante fattore di sviluppo e perfezionamento dell’attività agricola nell’area della pianura asciutta milanese.

Instrumento di affitto semplice con il quale la Madre Ministra del Monastero e le altre consorelle (elencate) investono Pietro e Giuseppe fratelli Galli, abitanti in S. Fiorano corte di Monza fuori porta de Gradi, per i seguenti beni (vedi precedenti mappe descritte per il 1400):

  • Casa da massari di tre stanze a terra e tre al piano superiore con orto, corte, pozzo e altre pertinenze.
  • Vigna Il Chioso (pt. 40)       
  • Vigna La Corvera (pt.40)
  • La Campagna (pt.40)       
  • La Campagnola (pt.40)          
  • Vigna La Novella (pt.40)

I conduttori si impegnano a pagare per nove anni come fitto 10 moggia (6)di frumento e 10 moggia di segale più metà dei frutti “da brocca” (uva). Inoltre si pattuisce che:
1) I conduttori dovranno ogni anno consegnare come “appendizi”(oneri accessori):
– una soma e mezza di avena, due staie  di ceci, una staia di fava fatta, una staia di fagioli,  alla festa di S. Lorenzo
– 4 paia di capponi a S. Martino,  più 2 paia di pollastre a S. Giovanni,  più 8 dozzine uova di gallina a Pasqua;
2) I conduttori a loro spese dovranno piantare e allevare tutte le viti che mancano ora e che mancheranno in futuro e così anche per le viti novelle e tener bene refilati tutti i fili delle viti, pena rimborso del danno;
3) I conduttori dovranno ingrassare (concimare) ogni due anni tutte le viti, vecchie e novelle, mettendo però metà del rudo(concime) il Monastero e l’altra metà i conduttori, che dovranno però andare a prendere il rudo spettante al Monastero dove questo ordinerà e anche per i pali (di sostegno delle viti) ed ogni altro legname per il quale le rev. madri sono tenute, p.r.d.;
4) I Conduttori siano tenuti il primo anno dell’Investitura a piantare tutte le pobie (pioppi) e salici che mancano e che mancheranno durante l’Investitura sopra la rippa di questi beni e intorno alla roggia Ghiringhella;
5) I Conduttori siano tenuti a piantare ed allevare tutti quei moroni (gelsi) che gli saranno dati dalle Rev. Madri e dovranno levare dal vivaio che si trova nell’orto della casa i moroni adatti, secondo gli ordini delle Rev. Madri o del Sig. Pravettoni o di altro agente, né potranno i conduttori togliere piante dal vivaio e piantarle in altro loco se prima non saranno piantati i moroni in tutti i posti dove si potranno piantare sui detti beni, secondo ordine delle Rev. Madri, p.r.d.;
6) Tutta la foglia dei moroni che c’è e ci sarà su detti beni durante l’Investitura sarà riservata ai Conduttori e non ne avranno parte le Rev. Madri e questo a compenso delle fatiche e spese dei Conduttori nel piantare e levare le viti e i moroni e per ogni altra cosa potessero pretendere a causa di detti lavori;
7) Dovendosi fare migliorie e riparazioni alle case affittate i Conduttori dovranno a loro spese e senza riduzione del fitto procurare tutto il materiale necessario;
8) I Conduttori entro 15 giorni prossimi debbano consegnare alle Rev. Madri questo Instrumento in pubblica e autentica forma a loro spese;
9) Entro la prossima festa di S. Martino i Conduttori siano obbligati a prendere possesso delle case, viti, piante, alberi e ogni altra cosa sia solita consegnarsi e al termine dell’Investitura i Conduttori sono tenuti a rendere tutte queste cose consegnate più migliorate che peggiorate, con il debito aggiustamento di natura salvo però la vetustà;
10) Le Rev. Madri siano tenute a mantenere ai Conduttori tutti i pali tiratori necessari per le viti che ci sono e ci saranno su questi beni, come ora i Conduttori professano aver avuto in consegna dalle Rev. Madri 2150 pali, a condizione che i Conduttori siano tenuti a pagare ogni anno alle Rev. Madri 10 scudi ogni 100 pali, p.r.d. ;
11) Ogni volta che i Conduttori si trovino in debito con le Rev. Madri siano obbligati a portare la loro parte di uve al torchio posto nel Monastero, a saldo del suo credito e saranno comunque sempre tenuti a portare a detto torchio la parte di uve spettante alle Rev. Madri;
12) I Conduttori siano obbligati a fare tre vetture (trasporti) da Monza a dette possessioni e da queste a Monza senza alcun pagamento;
13) I conduttori non possano seminare sotto i fili delle viti alcuna biada(cereali per foraggio) grossa ma solo cose da zappa, p.r.d.

Si attesta inoltre che i Conduttori sono debitori al Monastero di Lire 2103, di cui Lire 200 per la scorta (strumenti e sementi iniziali fornite dal proprietario) ed il restante per pagamenti mancati e per 3 moggia di frumento e 7 moggia di segale per semenze.
I Conduttori si impegnano a rendere le sementi entro la festa di S. Lorenzo, la scorta entro la festa di S.ta Margherita dell’ultimo anno e le restanti Lire 1903 ad ogni richiesta delle Rev. Madri.

Rogato il 25 Aprile 1650 da Ottavio Agugiaro notaio in Milano

Proviamo allora a fare qualche considerazione su quali potevano essere le condizioni di vita della nostra famiglia Galli. Pietro Sangallo e famiglia trova una prima collocazione nel territorio della Santa, come massaro dell’Ospedale San Gerardo di Monza da cui affitta nel 1636 terreni e un sedime di casa nell’attuale via Confalonieri (proprio di fronte alla Villa Camperio).  Ma, sempre a conferma della precarietà in cui vivevano questi contadini, dopo una decina d’anni non si vede rinnovato il contratto d’affitto. Fortunatamente  trova nuova collocazione proprio in San Fiorano come massaro del monastero di San Martino. Dallo “Stato delle anime” del 1674 sappiamo che il suo nucleo famigliare presente “A Santo Fiorano nella casa de Reverende Moniche” era composto da ben 13 elementi, tra capofamiglia, moglie, figli, nipoti e consorti. Una condizione abitativa quindi decisamente sovraffollata e di certo meno confortevole di quella che abbiamo a suo tempo visto in questa stessa casa per l’antico massaro Lurago detto il Gagiem. Le stesse 200 pertiche coltivate a viti e cereali dovevano ora sfamare ben più persone, oltretutto sotto condizioni contrattuali più gravose, anche se le tante braccia disponibili dovevano determinare una produttività dei campi e delle vigne ben maggiore che non cento anni prima. Ma i Galli resistettero e non senza continue difficoltà e sacrifici riuscirono a mantenere la conduzione di questi appezzamenti per circa cinquanta anni fino alla fine secolo. E’ significativa quella nota finale del Livello sopra visto, dove i Galli sono detti debitori del Monastero di quasi 2000 lire per “mancati pagamenti”. Quindi erano in rapporto con il Monastero ancora prima del 1650 e già in una condizione di subalternità e difetto, a testimonianza di come questi massari fossero veramente vessati da consolidate norme contrattuali del tutto favorevoli ai proprietari terrieri, per lo più Enti ecclesiastici e nobili cittadini (7).

 

ALLA VILLA

Le prime notizie più dettagliate su questa parte del nostro territorio ci arrivano proprio in questo secolo.
E’ del 1615 la prima rappresentazione in carta della cascina, per quanto “stilizzata”. Sulla “Carta del Barca” rappresentante il corso del Lambro settentrionale, con le sue rogge e  mulini, in corrispondenza della Santa è disegnata anche una cascina con tanto di nome , “Villa”. Su tutta la mappa, che si interessa essenzialmente dei mulini e delle chiuse, questa è comunque l’unica cascina riportata non solo con un “disegno cartografico” ma anche con il suo nome, ad ulteriore conferma dell’importanza raggiunta dall’insediamento.

La Villa Vecchia sulla "Carta del Barca" del 1615. Poco sopra, sulla sinistra, possiamo identificare anche la Cascina Casotto.

POSSEDIMENTO DELLA VILLA
Nel 1674 la ricca famiglia milanese Arbona (già feudatari di Agrate, poi diventati marchesi) acquisisce per un prezzo di ben 118.075 lire imperiali dall’Ospedale Maggiore di Milano tutto il possedimento della “Villa nel territorio di San Fiorano” di 1250 pertiche, comprendente anche la Cascina Casotto e gran parte del territorio tra il Lambro e la Molgorana. Probabilmente l’Ospedale milanese doveva aver ricevuto a suo tempo queste proprietà come oggetto di lasciti e donazioni varie .

Complesso degli appezzamenti delimitati in rosso che costituivano nel 1675 il “Possedimento della Villa”. In verde gli altri terreni successivamente acquistati dagli Arbona.

Il dettaglio di questi beni ci arriva dalla “misura” stesa a suo tempo dall’agrimensore G.Battista Besana e dal figlio Gerardo, per conto dei due contraenti. Possiamo allora determinare con precisione la consistenza e i confini di questo grande “Possedimento della Villa”. Nella mappa qui di fianco abbiamo il dettaglio degli appezzamenti di terreno compresi nel contratto, sulla base cartografica del catasto del 1721 (a questa data gli Arbona avranno ulteriormente allargato i loro beni qui alla Villa).Dai due documenti unitari prima esaminati e dagli atti di compravendita tra gli Arbona e l’Ospedale possiamo attingere ad alcune interessanti informazioni sulla Villa. Una parte (probabilmente quella sull’ala nord che affacciava sul giardino) era adibita a “casa da nobile” (8), nel 1674 residenza della Signora Contessa Lissona, vedova Arbona con la “damigella” Isabella e una serva Maria Castella. Il resto del corpo della cascina era occupato dalle povere abitazioni dei massari e fittavoli. I massari Domenico Pirovano e Domenico Pirola dovevano occupare i locali più comodi e le stalle e orti migliori.

I “pigionanti” Bataino, Ornago, Castello, Locate, Perotta e altri si dovevano accontentare degli spazi rimanenti. Come abbiamo già visto, nel 1674 la cascina ospitava ben otto nuclei famigliari per un totale di 44 residenti, rappresentando insieme alla cascina di S.Fiorano il più importante  aggregato della popolazione del tempo.
L’edificio a questa data doveva oramai aver assunto il suo assetto definitivo. Si presenta con una pianta a C aperta stranamente non verso la strada di accesso ma verso il retro. L’evidente sovrapposizione di corpi successivi ne determina un disegno irregolare con una corte piuttosto stretta ed allungata. In Villa San Fiorano rappresentava comunque l’edificio più significativo e di maggiori dimensioni, paragonabile solamente alla Villa Sechi (ora Villa Camperio) alla Santa. Non  a caso nel 1687 il curato del tempo Don Giacomo Duni benedisse un Oratorio privato dei signori Arbona all’interno della loro Casa da nobile.

A sinistra la Villa v. in un particolare di mappa del Catasto Teresiano dei primi del 1700 e a destra del catasto Lombardo/veneto del 1855

POSSEDIMENTO DELLA “CA’ BIANCA”
A ridosso della “Possedimento della Villa” nel 1600 si consolida la presenza anche di un’altra significativa porzione del nostro territorio sotto il titolo di “Possedimento della Ca’ Bianca”. Alla morte del Conte Gerolamo Casati di Milano (1594), questi lascia i suoi beni ai figli Giovan Battista e Alfredo. Al primo, tra l’altro, spetteranno le quasi 600 pertiche della Ca’ Bianca, dette nel territorio di Arcore anche se in effetti questi terreni erano in parte nel comune di Villa San Fiorano. Probabilmente questo possedimento veniva spesso collocato in Arcore perché il sedime della casa e della cascina erano appunto in quel comune, anche se proprio al confine con Villa San Fiorano. La costruzione della prima cascina deve oltretutto risalire proprio a questi anni a cavallo tra i due secoli. In uno “Stato delle Anime” di Arcore del 1588 ancora non appare tra i luoghi di residenza.
Nel 1611 il Conte Giovan Battista Casati vende tutto l’appezzamento al Monastero di San Paolo di Monza al prezzo di 33.432 lire imperiali. Le monache monzesi ne manterranno  il possesso sino alla soppressione dello stesso monastero alla fine del 1700.

Con l’ausilio anche di documenti successivi possiamo determinare i confini del Possedimento sul territorio di Villa San Fiorano e gli appezzamenti che lo componevano per un totale di circa 300 pertiche, restando l’altra metà del fondo compreso nel territorio di Arcore.
Se accostiamo questa mappa con la precedente del “Possedimento della Villa” possiamo vedere come tutto il territorio del nostro comune tra la Strada Maestra per Lecco e il Lambro  era praticamente sotto il controllo di due soli proprietari, i marchesi Arbona e le suore di San Paolo.
Quest’ultime mettono subito a profitto i loro nuovi beni e nel 1612 affittano buona parte del Possedimento al massaro Francesco Sirtori, con

fratelli e figli che si installano quindi presso la cascina Ca’Bianca. Il canone annuo è dovuto in natura, consistente in 10 moggia di frumento, 10 di segale, 10 di miglio e nella metà delle uve prodotte. In più i conduttori devono assolvere agli “appendizi” : 8 paia di capponi e 8 di pollastri, 12 dozzine di uova di gallina e quattro staia di fagioli.
Un altro piccolo appezzamento è poi affittato al conduttore Antonio Sala.
I Sirtori però, come abbiamo già visto spesso accadere, nel 1665 devono lasciare il posto a nuovi massari. Si tratta dei fratelli Carlo, Battista e Francesco de Magni detti “li Ronchetti”. Le Monache di San Paolo non si lasciano sfuggire l’occasione del passaggio di consegne per spuntare migliori condizioni dal contratto d’affitto (“Instrumento d’investitura semplice”). I Ronchetti dovranno infatti pagare un canone annuo di 20 moggia di frumento, 16 di segale e 2 di miglio più gli “appendizi”: 10 paia di capponi e 10 di pollastri, 12 dozzine di uova di gallina, 3 staia di ceci, 2 di fagioli e 3 di fave. Questi nuovi massari Magni si vedranno rinnovare il contratto d’affitto anche nel 1686 questa volta per 9 anni ma ancora ad un canone maggiorato. Questa volta dovranno portare alle Monache di San Paolo ogni anno:
24 moggia di frumento, 20 moggia di segale e 2 moggia di miglio.
Come Appendici: 10 paia di capponi e 10 di pollastri, 14 dozzine di uova e 3 staia rispettivamente di fagioli, fave e ceci. I frutti, in particolare l’uva, andavano divisi a metà tra conduttori e proprietari. Questi versamenti dovevano quasi sempre essere effettuati in occasione delle feste di San Martino, data cruciale in tutti i contratti del tempo.
Nonostante la crescente esosità del Monastero, accresciuta dalle ulteriori gravose condizioni di contratto, i Magni resistettero a lungo alla Ca’ Bianca e li ritroveremo qui per tutto il secolo successivo.

LE ALTRE CASCINE

A questo punto della nostra narrazione è opportuno soffermarci su alcuni nomi che rappresentano siti di antico insediamento sul nostro territorio e parti del Comune di Villa San Fiorano. Si tratta in particolare delle Cascine “Casotto” e “Dossello”, dove si concentrava parte significativa della popolazione residente, oltre chiaramente a quella di “San Fiorano” e della “Villa” (vecchia). L’altro polo di recente sviluppo insediativo del Comune, come già accennato, si stava concentrando a ridosso della Strada Maestra per Lecco (attuale via Mazzini).

CASCINA CASOTTO (o CASSINOTTO)

Questa cascina era situata nell’attuale via Baracca, poco prima del ponte sul Lambro di San Giorgio. Tuttora è possibile individuare un complesso di edifici che, pur non avendo più nulla a che fare con la vecchia cascina, ne ha mantenuto in parte la morfologia e l’originaria collocazione. Era posta in una posizione “strategica”, vicina al Lambro e proprio a ridosso del corso delle rogge Gallarana e Ghiringhella, lungo la strada che da La Santa portava a San Giorgio. Va comunque ricordato che fino a tutto il ‘700 il passaggio del Lambro veniva realizzato per i pedoni su di una passerella di legno e per i carri guadando il fiume stesso, quando possibile (9).

Carta del Barca 1615: anche se non espressamente citata, possiamo identificare il sito indicato dalla freccia come la cascina Cassinotto (Casotto). Era posta giusto a est della Villa (vecchia) e sull’incrocio tra la roggia Gallarana e il “fontanile dei Castelli” indicato col numero 47. Poco sopra è indicato il corso della roggia Ghiringhella, interrotto nel disegno all’altezza de La Santa

La prima citazione della cascina la troviamo in un documento dei primissimi del 1500. I canonici di S.Giovanni di Monza affittano a certo G.Battista Castello, Dottore di collegio di Milano, una “colombera” (costruzione per l’allevamento dei colombi) sita nel territorio detto “il Cassinotto” sopra la Santa”. La cascina dunque doveva essere già presente dal XV secolo e fin da subito la famiglia Castello (De Castello, Castelli) lega il suo nome alle vicende di questo sito. Rappresentanti di questa famiglia li abbiamo già trovati negli elenchi censuari del 1500 di Villa con San Fiorano. E’ sempre il Dottore G.B.Castello a condurre una lite con la famiglia Gallarani che nel 1580 lo accusa di utilizzare abusivamente le acque della roggia Gallarana per alimentare un suo fontanile ad uso di irrigazione di suoi beni nel territorio del Cassinotto. Sempre alla fine del 1500 abbiamo visto come i Conti Casati acquistano 200 pertiche di terreno dette “il Brugnario” nel territorio del Cassinotto, appezzamento posto proprio a nord della cascina che passerà nel ‘600 alle Monache di San Paolo di Monza e rientrerà nel loro più ampio Possedimento della Ca’ Bianca.
Una prima immagine cartografica della cascina la troviamo nella carta del Barca del 1615, (vedi sopra) anche se manca una diretta citazione del sito.

 

La Cascina Casotto raffigurata in particolari dei fogli di mappa di Villa con San Fiorano nei Catasti del 1721 e del 1855

In tutti i già citati “Stati delle Anime” parrocchiali del 1600 ritroviamo “ il Casinotto” sempre con riferimento alla famiglia Castelli, che ne sembrano essere sia i detentori della Proprietà d’uso che i diretti conduttori. Come già visto per la “Villa vecchia” nel 1675 il Casinotto  passa sotto la proprietà dei marchesi Arbona (o Erbona) e rientrerà nel più ampio “Possedimento della Villa”. Loro massari nella cascina risultano Antonio Castello e  Dominico Cesano che vi risiedono con i loro nuclei famigliari per un totale di 27 residenti.

Con il Catasto Teresiano del 1721 abbiamo la prima mappa della cascina. Qui viene denominata “Cassina Erbona”, proprio in relazione ai nuovi proprietari.
Dalla cartina possiamo vedere come la cascina fosse caratterizzata da una pianta a C, con l’aia aperta sugli orti e sulla strada. E’ interessante notare come in buona parte dei documenti redatti in occasione della stesura del Catasto Teresiano il Comune di “Villa con San Fiorano” viene indicato con l’ulteriore aggiunta di “con Casotto”. La nostra cascina (oramai diventata Casotto) viene quindi certamente inserita nel territorio di Villa con San Fiorano ma quasi come una distinta entità territoriale.

Le mappe del successivo Catasto Lombardo-Veneto del 1855 ci restituiscono una situazione in parte modificata. La Cascina ora di proprietà della ricca famiglia dei Della Somaglia modifica la sua morfologia a seguito di un importante intervento di ristrutturazione del 1843 da parte dei nuovi proprietari. Infatti “trovandosi la Cascina Casotto rovinata e cadente” venne rifabbricata ed ampliata così da comprendere in tutto ben 10 locali terreni, 14 locali superiori, 4 stalle con fienile e portico. Furono costruiti anche il forno con portico e 4 pollai. Come si vede dalla mappa seguente viene comunque mantenuta la pianta a C della cascina, che ritroveremo fino ai nostri giorni insieme ai portici ottocenteschi.

Attuale stato di fatto della Cascina Casotto. Chiaramente il complesso è stato ampiamente rimaneggiato e riqualificato ma mantiene le tracce dell'antina masseria di un tempo.

(N.B. : nella mappa del 1855 viene erroneamente indicata come Roggia Gallarana quella che era la Roggia Ghiringhella, ad est della cascina. La Gallarana appare invece proprio a ridosso del lato ovest dell’edificio).

CASCINA DOSSELLO

Nel caso di questa cascina dobbiamo pensare ad un’origine meno remota di quella vista sia per La Villa che per il Casotto. La prima citazione di questo edificio la troviamo infatti negli atti di una visita del 1621 nei nostri territori da parte dell’Arcivescovo di Milano Federico Borromeo. Nell’elenco delle cascine presenti nella parrocchia de La Santa si cita appunto anche la “Capsina appellata il Dosello”. L’assenza di altre segnalazioni precedenti colloca le origini della cascina ai primi anni del 1600 o comunque non oltre la seconda metà del XVI secolo.
La cascina era collocata all’inizio dell’attuale V.le della Vittoria lungo il corso della Roggia Ghiringhella e fu sempre adibita unicamente a “casa colonica “o “casa da massaro”.
Nei quattro “Stati delle Anime” parrocchiali che ci sono pervenuti (1649- 1657-1674-1682) viene confermata la presenza del Dosello tra i siti d’abitazione compresi nella Parrocchia. Nello Stato del 1674 nel “Dosello dei Signori Recalcati” abita solo un nucleo famigliare di Dominico Pirovano di 12 elementi. Fin dalle sue origini la cascina si presenta quindi di dimensioni ridotte rispetto ai casi precedenti, come ci conferma la prima restituzione che abbiamo della sua pianta nelle mappe del catasto Teresiano del 1721, dove risulta sempre di proprietà dei Marchesi Recalcati.

La Cascina Dossello nelle mappe dei catasti del 1721 e del 1855. Da notare come all’inizi del ‘700 il tratto finale del Torrente Molgorana (qui detto “Torente Brugurana”) subito a sud della cascina fosse canalizzato.

Nel Catasto successivo si nota un ingrandimento della struttura che assume ora una pianta a corpi contrapposti (che manterrà fino al suo definitivo abbattimento nei primi anni del 2000, oramai ridotto a rudere). Nel 1854 ci fu infatti un intervento di ricostruzione e ampliamento di un nuovo corpo che comprendeva un edificio a tre piani con due locali per piano, più due stalle con fienili superiori. A quella data proprietari risultavano in parte i fratelli Rossi (Gaetano e Giuseppe), che probabilmente vi abitavano, e per l’altra parte il Conte G.Antonio Melzi.

Una vecchia foto del cortile del Dossello prima della sua demolizione. (Tratta da "Villasanta: radici ed identità di una comunità tra Monza e la Brianza" di A.Marchetti e G.Longoni)

 

 

NOTE

(*) Proviamo a riassumere quali erano le imposte principali che componevano il sistema fiscale del Ducato tra il XVI e il XVIII secolo.
Il primo provento era dato dalla tassa del sale. Si computava sulle “tavole del sale” che riportavano il numero delle bocce per ogni comune, che veniva tassato per una certa quantità di staia di sale che doveva ritirare dalla Gabella. Il Comune poi ripartiva la spesa tra le famiglie in funzione di dei libre l’anno per bocca e uno staio per ogni capo di bestiame (quote che variarono nel tempo, come del resto il prezzo del sale). Le città ed i loro cittadini erano esenti da tale imposta.
C’era poi l’imposta fondiaria sul perticato, distinta, come visto, tra “perticato rurale” e “perticato civile”, che mantenne sempre un trattamento di favore verso “i citadini”, nonostante le lotte dei rurali per abolire queste discriminazioni. Nel cinquecento il Governo spagnolo concesse l’istituzione della Congregazione provinciale, composta da deputati eletti nei contadi rurali del milanese, che si contrappose alla Congregazione dello Stato, espressione invece delle città. Questo organismo rappresentativo degli interessi rurali non riuscì a imporre del tutto criteri di imposizione più equi e corretti, ma arginò di sicuro lo strapotere cittadino in campo tributario e giurisdizionale. In particolare venne fatto accettare il principio per cui i beni acquistati da cittadini in ambiti rurali dovessero restare nei loro estimi  e quindi a disposizione delle comunità rurali.
Il più importante dei carichi secondari era il mensuale, introdotto ca Carlo V nel 1536 per il mantenimento del suo esercito. Era costituita da una somma mensile (che andò aumentando con gli anni) definita a priori per tutto lo Stato di Milano e poi ripartita tra le sue città e provincie ( e da queste tra i vari comuni).
Altro aggravio importante era dato dagli Alloggiamenti militari, utilizzati per il mantenimento dei militari accampati su tutto il territorio dello Stato, ad esclusione di Milano. Anche queste spese, calcolate sulla base del perticato, andavano alla fine a gravare soprattutto sulle zone rurali, che oltretutto erano quelle che subivano anche danni diretti dalla presenza sul territorio di “soldatesche vandaliche”.

1) La pertica (composta di 24 tavole) corrispondeva a mq.654,5179

2) Vedi Articolo “San Fiorano e la Villa(vecchia)”

3) Vedi Articolo “San Fiorano e la Villa(vecchia)”

4) In merito a questo documento completo si rimanda al testo di Oleg Zastrow su “La chiesa di Santa Anastasia a Villasanta dalle origini remote ai tempi odierni”.

5) Vedi Articolo “Villasanta terra d’acqua – parte II – I Mulini”

6) Il “moggio da grano” era antica unità di misura di capacità a sua volta composta da 8 staia e pari a litri 146,234295

7) Riportiamo a proposito della condizione contadina in Lombardia quanto dice a metà ‘800 lo studioso S.Jacini nel testo “ La proprietà fondiaria e la popolazione agricola in Lombardia” 1856 : “…..Atri proprietari, e questi sono in numero molto maggiore, non sarebbero capaci di tanta durezza d’animo, ma non danno prova ne di molta carità ne di molto senno. I patti gravosi che stipulano coi loro contadini riducono questi assai spesso alla miseria; essi allora non mancano di provvederli del necessario sostentamento, marcando peraltro scrupolosamente l’importo delle sovvenzioni nella partita dei loro crediti. Se avviene che i contadini impoveriscano per cagioni di cui non hanno colpa, come sarebbero gli infortuni celesti, e che riesca impossibile sperare il pareggiamento delle partite se non ricorrendo all’odioso mezzo di vendere il letto e le domestiche suppellettili dei contadini stessi, i proprietari non giungono a tanta estremità, ma condonano i debiti, discacciando però dal fondo quegli infelici. Un certo vago sentimento superstizioso li induce a riguardare tale povera gente come uccelli di cattivo augurio, la cui sola presenza reca infortunio ……………………………I quali (contadini)hanno bensì il diritto di partire dal fondo, quando non trovino la convenienza di accettare i nuovi patti che si volessero loro imporre; ma, senza parlare dei debiti che talvolta li legano al proprietario, sanno benissimo che, in mezzo alla popolazione più addensata che si conosca, la concorrenza è enorme, e che correrebbero rischio di star peggio di prima; d’altronde, essi amano la loro terra anche quando questa non permette loro di vivere comodamente, e rare volte se ne allontanano se non vi sono assolutamente forzati.

8) Per “Case da nobile” si intendevano non solo quelle che erano le residenze aristocratiche più propriamente dette ma anche le abitazioni che per le loro caratteristiche potevano essere potenzialmente abitate da nobili. Queste caratteristiche erano per lo più date non tanto dalle dimensioni della casa ma piuttosto dalla qualità degli elementi architettonici e costruttivi (ad es. camini e finestre vetrate) insieme alla dotazione o meno di servizi ad uso esclusivo quali cantina, granaio, toilette, scuderie, pozzo, corte e giardino. Un altro aspetto distintivo della “casa da nobile” rispetto alle “case da massaro o da pigionante”  era dato dall’assenza di locali adibiti a botteghe o laboratori artigiani. Per gli aristocratici l’alloggio doveva restare assolutamente separato dal lavoro.

9) A tal proposito va detto che si dovette aspettare la realizzazione a fine ‘700 del grande Parco Reale di Monza per ottenere la costruzione a San Giorgio di un ponte vero e proprio sul Lambro. Questo grazie al fatto che, non potendo ora attraversare il Parco, i residenti dovevano compiere un tragitto lunghissimo per poter attraversare il Lambro.

 

BIBLIOGRAFIA

  • Archivio Storico Milano = Fondi : Catasto, Censo, Fondo di religione, Culto
  • Archivio Storico Civico Mi e Biblioteca Trivulziana = Fondo Località Forensi
  • O. Zastrow = “La chiesa di Santa Anastasia a Villasanta : dalle origini remote ai tempi odierni” – Parrocchia di Santa Anastasia (2002)
  • E.Rovida = “Monza terra separata” – Ecig (1992)
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  • E.Verga = “La Congregazione del Ducato” – Milano 1895
  • G.Chittolini = ” L’affermazione di contadi e territori” in “Città, comunità e feudi negli stati dell’Italia centro-settentrionale (sec.XIV-XVI) -Unicopli  1996
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  • E. Colombo = “Giochi di luoghi. Il territorio lombardo nel seicento” – F.Angeli  2008
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  • F.Del Tredici = “Dopo la caduta. Osservazioni attorno all’andamento demografico del Milanese nel XV secolo”- in LA POPOLAZIONE ITALIANA DEL QUATTROCENTO E CINQUECENTO- Editrice Universitaria Udinese FARE srl – 2016
  • Roberta Madoi = “L’evoluzione storica del paesaggio agrario” in AA.VV., Il paesaggio agrario, Quaderni del Piano Territoriale n. 17 –  F.Angeli 2022