VILLA CON SAN FIORANO – Parte III° ( Dal 1800 alla nascita di Villasanta nel 1929)

Il 1800 vede la progressiva trasformazione di VSF da comunità agricola a sede di primi importanti insediamenti industriali. Il nucleo principale del paese si sposta a ridosso della Santa di Monza e il ‘900 porterà alla nascita del nuovo comune di Villasanta.

Abbiamo lasciato le vicende del comune di VSF a fine 1700 con la nuova aggregazione in “VSF ed uniti” e con lo sventato “pericolo”, sotto il governo napoleonico, di un’annessione da parte della municipalità di Monza.

Ci inoltriamo ora nella descrizione degli eventi di questa nuova realtà amministrativa con un avvertimento. Per quanto riguarda gli avvenimenti degli ex piccoli comuni autonomi ora aggregati, Sant’Alessandro, Sesto Giovane e Taverna della Costa, essi sono descritti negli articoli a loro dedicati. Qui noi continuiamo da una parte a seguire gli avvenimenti più generali che hanno coinvolto l’insieme del territorio di VSF e dall’altra quelli più specifici relativi sempre alle due realtà “storiche” della Villa e di San Fiorano.

 

Due carte topografiche di VSF.
La prima a sinistra è del 1835 redatta dall’Esercito austriaco, mentre quella a destra è uno stralcio da una pianta del 1836 del celebre cartografo G.Brenna con Monza e dintorni.
Le due carte sono pressochè contemporanee ma non proprio identiche, a riprova di come non ci fosse ancora una chiara percezione della situazione amministrativa del territorio.
Alcune note: in quella a sinistra il centro di VSF viene ancora chiamato “Taverna della Costa” con un toponimo decisamente obsoleto, mentre a destra il Brenna ci indica ben due La Santa, una superiore e l’altra inferiore. Sempre in quest’ultima la Cascina Recalcati viene indicata come “Cassinetta” confondendola con altra cascina di Concorezzo.

I CONTRASTI AMMINISTRATIVI E TERRITORIALI CON MONZA

Le vicende relative ai rapporti, o meglio ai contrasti amministrativi e territoriali tra VSF e Monza, e più in particolare tra VSF e la frazione monzese della Santa, si protrassero per tutto il secolo XIX per chiudersi solo nel 1928 con la nascita di Villasanta.
Con la raggiunta unificazione del regno d’Italia si modificò l’assetto amministrativo del paese a cominciare dai comuni. Questi erano ora governati dal Consiglio e dalla Giunta comunale. Il primo eletto a suffragio diretto (anche se non universale) mentre la Giunta era eletta dal Consiglio stesso. Diversa la situazione del Sindaco che invece era di nomina regia, anche se scelto tra i consiglieri. La sua era una posizione quasi di mediazione tra interessi comunali e le istanze statali, pur restando sempre un esponente della realtà locale. I veri rappresentanti del governo centrale restavano i Prefetti.
Furono dunque questi nuovi organi amministrativi delle due comunità che si confrontarono in merito ai confini dei loro comuni.

Già nel 1860 l’Amministrazione di Monza aderisce con entusiasmo ad una petizione rivolta al legislatore nazionale promossa dal comune di Pavia perché si procedesse ad un significativo ampliamento del territorio delle grandi città lombarde.
Come estendere il territorio di Monza? Con  la possibile annessione di piccoli comuni limitrofi quali appunto VSF o Brugherio.

Ben presto il contenzioso si fece acceso e si passò ad una vera “guerra amministrativa” tra i due comuni, con tanto di atti e deliberazioni contrapposte. Nel 1867 la Giunta monzese delibera la proposta di aggregazione al suo territorio del comune di VSF (e anche di Brugherio) per i molti servizi che venivano gestiti in forma promiscua tra la frazione della Santa e VSF (scuole, cimitero) a cominciare dalla Parrocchia, che era appunto quella di S.Anastasia.
Ma l’Amministrazione di VSF non resta certo indifferente.
Sempre nel 1867 una petizione firmata da 27 cittadini della Santa (tra cui i conti Camperio e il conte L.Melzi, mentre non è certa la firma del parroco Don  V.Panceri) chiede alla stessa Amministrazione di VSF la possibile aggregazione della frazione di Monza a questo comune. VSF non si fa certo pregare e delibera la sua disponibilità verso tale proposta, con alcune precisazioni che diremmo frutto del “sano pragmatismo brianzolo”:  la quota del debito del bilancio comunale di Monza di pertinenza della Santa, che sarebbe passata in quello di VSF, avrebbe dovuto essere coperta con una sovrattassa imposta ai soli cittadini della Santa.

A questo punto intervenne anche la Sotto-Prefettura di Monza che, visti i suddetti documenti, chiese al comune di Monza di pronunciarsi in merito.
Il Sindaco di Monza Giuseppe Villa replica prontamente a questa iniziativa “villasanfioranese” contestando che la petizione in oggetto era stata sottoscritta solo da 13 possidenti/elettori (unici aventi diritto) su un totale dei 36 residenti alla Santa. La delibera quindi di VSF era nulla in quanto la normativa di legge prevedeva come condizione preliminare la necessaria adesione della maggioranza dei residenti.

Ad ulteriore dimostrazione di quanto fosse accesa e anche confusa la disputa tra le due comunità, abbiamo anche una contro-petizione del 1880 sottoscritta da 17 elettori di VSF (tra cui primo firmatario è un certo avv. Porta Luigi, Presidente Congregazione di Carità di  Monza) che si fanno invece promotori della proposta di aggregazione di VSF al più grande comune di Monza.

Frontespizio Delibera del Consiglio comunale di VSF di assenso all’aggregazione con la frazione della Santa

Significativa comunque appare anche una nota, sempre del 1867, della Ragioneria del comune di Monza. Si ammette che la proposta di aggregazione tra VSF e la Santa assolverebbe alle tre condizioni previste per legge: numero di abitanti (1125 la Santa + 1349 VSF), sostenibilità finanziaria e condizione topografica. L’Ufficio esaminante esprime tuttavia parere del tutto negativo in quanto tale evenienza avrebbe rappresentato per Monza un grave danno finanziario. A fronte infatti di minori spese previste per lire 897 si stimavano minori entrate per lire 3400.

 

Il confronto si riaccese ancora più aspro nel 1878 con una nota in data 10 Agosto al suo Sindaco da parte del vigile urbano Mauri di Monza. Recatosi alla Santa il vigile dice di aver appurato che in data 6/7/8 agosto il Sindaco di VSF, Daelli Lorenzo, con il fratello, l’assessore Consonni Antonio, i consiglieri Maggioni Giovanni e Corti nobile Edoardo si aggiravano per la Santa con l’intento di raccogliere adesioni ad una petizione a favore di VSF, promettendo che con loro sarebbero arrivate in paese “una farmacia di beneficenza, un Istituto pei miserabili e un Medico condottale”. Sempre a parere del vigile “ sembrava comunque che molte famiglie avessero rifiutato, come anche il Parroco Panceri e che i contadini al servizio dei Camperio si fossero recati dal padrone per protestare contro tale ipotesi. La maggioranza dei residenti era contraria a questa aggregazione e si raccoglievano firme in questo senso presso il Sig. Meregalli Giovanni”.

Le prime firme in calce alla Petizione del 1878

Di fronte a così temeraria ingerenza da parte di VSF nella vita dei “Santesi” insorse sdegnato il Sindaco di Monza che denunciò al Sotto-Prefetto questi comportamenti a suo giudizio fortemente scorretti da parte di “questi signori” amministratori che “abusano della influenza data dal loro pubblico ufficio presso le famiglie”, oltretutto con promesse false e spropositate.
Il Sotto-Prefetto intervenne in effetti sul Sindaco Daelli di VSF, richiamandolo a comportamenti più consoni ad un corretto rapporto tra comunità e non forieri di turbamento e malcontento tra la popolazione.

Ma a frenare in modo deciso l’iniziativa dell’Amministrazione di VSF intervenne una nuova Petizione in data 10 agosto 1878 sottoscritta da ben 150 elettori capi famiglia della Santa, con primo firmatario il Parroco Panceri. Questi “santesi” si appellavano alla Giunta municipale di Monza perché sventasse le “arti, non tutte in buona fede”  degli amministratori di VSF per raggiungere il loro sventurato proposito di aggregare la frazione monzese al loro comune. Caso mai si sarebbe dovuto pensare ad un processo contrario, con l’aggregazione di VSF a Monza. Per quanto riguardava loro non avevano nessuna intenzione di  lasciare Monza perché “sanno di trovarci istruzione, pane, lavoro e all’occorrenza largo appoggio di pubblica beneficenza” .

Con questo ultimo atto si chiudevano le ambizioni di VSF per un’ulteriore allargamento dei suoi confini verso Monza. Ma, come vedremo, questo evento sarà solo rimandato al secolo successivo, quando nel 1928/9  si darà vita al comune di Villasanta.

Non solo i rapporti amministrativi, ma anche quelli personali tra le due comunità si potevano definire “contraddittori”. La via Garibaldi segnava il confine non solo tra due comuni ma anche tra “Quei d’in su” di VSF e “Quei d’in giù” della Santa. I due appellativi dialettali esprimevano il campanilismo paesano che si confrontava e contrapponeva sui temi più svariati: le scuole, le feste, la chiesa, il medico o le strade. La competizione era continua. Alla presunta distinzione cittadina dei santesi (Quei d’in giù) si contrapponeva un’altrettanto presunta rusticità contadina dei villasanfioranesi (Quei d’in su). Ci vorrà un po’ per creare lo spirito unitario “villasantese”.

NUOVI CONFINI

Nonostante questa situazione di rapporti tesi, i due comuni riuscirono a definire un accordo per modificare il confine tra i due territori.

 

Nel 1900 si pervenne infatti ad una convenzione con la permuta di due appezzamenti lungo la roggia Ghiringhella. (vedi figura sopra).

Questa operazione nacque su iniziativa del comune di VSF che aveva individuato l’area del comune di Monza a ridosso dell’odierna  Piazza Daelli come la più adatta per collocarvi un edificio per il nuovo Municipio, scuole e asilo nido (si trovava del resto a ridosso del centro di VSF). Monza aderì alla proposta che comportava anche una decisa razionalizzazione del confine tra i due comuni che ora si attestava per buon tratto lungo la linea naturale della Ghiringhella e che oltretutto permetteva a Monza di acquisire un appezzamento più ampio di quello ceduto.

Il nuovo edificio di inizio '900 in Piazza Daelli con il Municipio, le scuole Notari e l'asilo nido. Negli anni '50 fu poi ristrutturato per lasciare il posto all'attuale edificio delle scuole Oggioni.
(Foto da "Villasanta in cartolina 1890/1970" di B.Ferrara)

Sempre riconducibile all’anno 1900 è un’altra operazione sui confini condotta da VSF, questa volta però con il Comune di Concorezzo.  Su pressione dei contadini abitanti la Cascina Recalcati nel 1898 il Comune di VSF propose a quello di Concorezzo, in occasione della revisione delle Mappe Censuarie, di modificare i confini tra i due comuni nella porzione circostante la stessa “Cascina Recalcata” .  Con la mediazione delle famiglie Osculati  ( che nel frattempo era diventata proprietaria della cascina e di terreni circostanti) e Conti, i due comuni trovarono un accordo, con uno scambio di territorio come dalla figura riportata.

I nuovi confini con Concorezzo a fine ‘800

Con questa operazione si veniva a risolvere la situazione un po’ paradossale della Cascina Recalcati che fino a questa data vedeva il confine tra i due comuni tagliare in due, da Nord a Sud, il suo perimetro. A VSF il corpo principale delle residenze dei coloni con metà corte e a Concorezzo i fienili e le stalle con l’altra metà della corte. In questa operazione giocarono probabilmente un ruolo importante l’interesse sia dei  proprietari della cascina  che dei contadini che ne lavoravano i terreni a rapportarsi con un unico ente amministrativo.

IL NUOVO IMPERIAL REGIO PARCO DI MONZA

Negli anni a cavallo tra i due secoli viene portata a termine (1808) la costruzione del nuovo Parco reale a corredo della Reggia monzese già conclusa a fine ‘700.
Per il nostro comune di VSF non ci furono ricadute significative da questo evento essendo la sua parte di territorio compresa nel perimetro del Parco decisamente esigua (contrariamente alla frazione della Santa). Fece eccezione la vicenda della costruzione del nuovo ponte sul Lambro a San Giorgio (tuttora esistente).
In effetti con l’innalzamento del muro del Parco (a cui parteciparono anche i parrocchiani di Santa Anastasia)

Il ponte a San Giorgio sul Lambro

vennero interrotte le comunicazioni tra le zone di Biassono, Vedano e soprattutto San Giorgio verso Monza e anche la Santa, se non a prezzo di un lungo e scomodo giro.
Si pose allora da subito l’esigenza di rimediare a questa situazione con un nuovo e più sicuro collegamento verso VSF mediante un nuovo ponte di pietra sul Lambro a San Giorgio. Già l’Amministrazione francese si pose nei primi anni dell’800 tale obiettivo ma in effetti ci si arrivò, dopo non poche traversie burocratiche e contrasti di competenza, solo nel 1821/2 ad opera del Governo austriaco.

In precedenza il servizio di comunicazione era svolto da un ponte di legno per i pedoni (quasi una passerella) mentre i carri dovevano in pratica guadare il fiume.
Oltretutto proprio in quel frangente l’ultima piena del Lambro aveva divelto la struttura in legno preesistente.
Insieme al ponte si realizzò la strada che da San Giorgio andava a Biassono costeggiando il muro del Parco e si sistemò quella che dal ponte portava alla Postale per Lecco in VSF (Attuale via Baracca).

Per dovere di cronaca e come curiosità riportiamo questa cartina con il disegno  del progetto originario della nuova strada di circonvallazione del Parco, fino alla santa. Come si può vedere  in questo caso si prevedeva lo scavalcamento del Lambro in corrispondenza della Villa Vecchia e il proseguimento della strada sul sedime dell’attuale via Montello. Resta imprecisato il motivo per cui si restò invece sul vecchio tracciato e si costruì il nuovo ponte in pietra sul sedime del precedente in legno.

UN SECOLO DI CRESCITA ED ESPANSIONE

Il 1800 ha rappresentato per VSF un periodo di sviluppo non indifferente.

Il primo riscontro è nei dati relativi alla popolazione che dai circa 650 abitanti di inizio secolo arriverà ai 2000 dei primi del ‘900. Ma nello sviluppo urbanistico del comune, dove si distribuirono questi nuovi residenti ?
Si ampliarono alcuni insediamenti storici nel territorio, quali le cascine San Fiorano, Sant’Alessandro e Sesto Giovane, fino a raggiungere le dimensioni che oggi conosciamo (per lo meno per le parti che ci sono pervenute).

Nelle due carte il centro di VSF a metà ‘800 (a sinistra) e verso la fine del secolo(a destra). E’ evidente l’espansione dell’edificato soprattutto verso Est, ma anche il vicolo Case Nuove ad Ovest della allora via Vittorio Emanuele.
Le nuove cascine di VSF nel corso del 1800.

Apparvero anche nuove cascine (vedi figura a finaco): Villa Nuova, Villa Costantina (via Baracca), la cascina Maggioni (area Gigante), le cascine Pallavicini e Malegori (via Manzoni a ridosso della ferrovia).  L’ insediamento più significativo nella prima metà del secolo fu certamente quello della Villa Nuova.
L’ambito nel quale si concentrò comunque l’incremento più consistente fu quello che si affacciava sulla Strada Nazionale per Lecco con le aree adiacenti (attuali via Mazzini incrocio via Garibaldi). Questo oramai venne a rappresentare il nucleo centrale e più consistente di VSF, proprio a ridosso della frazione monzese della Santa.

Lo sviluppo edilizio fu anche incoraggiato dalle alte quotazioni di mercato di cui godevano gli immobili nel territorio di VSF. Da una scheda catastale del 1856 riportante le rendite immobiliari del distretto di Monza, VSF si colloca subito dopo il capoluogo monzese a pari livello di città quali Vimercate o Sesto. La vicinanza con Monza e la collocazione sulla grande strada di comunicazione verso Lecco, contribuirono non poco a questo risultato, a riprova comunque del “buon stato di salute” delle vicende socio-economiche del nostro paese.

 

Catasto dei Possessori immobiliari a Villa San Fiorano nel 1826

La proprietà di questi beni immobiliari (case e terreni) risultava ancora fortemente accentrata nelle mani di pochi facoltosi possidenti (sia laici che ecclesiastici). Basti pensare che nel 1826 delle complessive 4650 pertiche del comune ben quasi 4000 erano concentrate nelle mani di soli 5 proprietari (Mellerio, Hosp.S.Gerardo, Manzi, Radaelli, Castiglione). Agli altri piccoli possidenti restava ben poco.

Per tutto il secolo VSF, come del resto l’intera Provincia, conobbe un costante processo di trasformazione da borgo contadino, dove la gran parte degli abitanti svolgeva attività agricole, a centro di prima industrializzazione, dove a prevalere via via saranno le nuove figure di operai e operaie.
In ambito agricolo le coltivazioni più importanti restavano quelle dei cereali e della vite, condotte con metodologie e mezzi sempre più aggiornati e efficienti. Per i vigneti ad esempio lungo tutta la prima metà del secolo si provvide a sostituire le antiche vigne a “ghirlanda” (o uva maritata) con le più moderne e produttive viti a pianta o alberello (1). Oltre che a migliorare la produttività di queste colture, questa sostituzione comportò anche un mutamento significativo nel paesaggio del nostro territorio, che perdeva la storica presenza di queste viti a festoni sorrette da filari d’alberi d’alto fusto tra i quali si coltivavano frumento e altri cereali.

Ma i vignaioli “villasanfioranesi” poterono godere per poco di questi miglioramenti. Con l’invasione nell’ultimo decennio del secolo della fillossera (parassita che mise a rischio la permanenza della vite in tutta Europa) a VSF, come un po’ in tutta la Brianza, i vigneti furono del tutto compromessi. Ma soprattutto vennero meno i presupposti economici perché si investisse nuovamente nella viticultura e i capitali del tempo cominciarono a trovare nuovi sbocchi sia in campo agricolo che nella fiorente attività industriale (1).
Il nostro panorama campestre restò invece caratterizzato dalla presenza dei gelsi, fonte di materia prima per la bachicoltura, che sempre più andava rappresentando un’attività primaria di tutti i contadini del paese.

Esempio di coltivazione della vite a ghirlanda o “uva maritata”

Nel 1858 nel territorio di VSF vennero censiti ben 6382 gelsi. Non c’era oramai famiglia contadina che non arrotondasse gli scarsi frutti del lavoro agricolo con la coltivazione dei bachi e la vendita all’ammasso delle “gallette” di seta, che andavano ad alimentare la fiorente attività delle nascenti filande.

TEMPI MODERNI

Ma, come detto, non era tutta agricoltura. Già ad inizio del 1800 il nostro comune vedeva la presenza di non poche attività artigianali.

I circa 700 abitanti potevano avvalersi dei laboratori di: 2 sellai, 1 fabbro, 4 calzolai, 2 sarti, 3 osti, 2 follatori di carta, 2 prestinai, 4 pizzicagnoli, 1 fruttivendolo, 2 mugnai e ben 7 “sensali di mercanzia”.

La presenza così numerosa di questi “sensali” (mediatori nelle compra/vendite di beni di varia natura, spesso presso mercati e fiere) sta ad attestare che a VSF doveva esistere un’attività commerciale complessiva tale da sostenere l’attività di così numerosi agenti.

Un Censimento della popolazione del 1841 ci trasmette comunque una interessante fotografia della composizione socio-economica dei nostri concittadini del tempo.

La popolazione complessiva di 1108 abitanti era suddivisa in 142 nuclei famigliari. Di quest’ultimi ben 91 capifamiglia erano censiti come “contadini”, a significare la prevalenza ancora a questa data dell’attività agricola nel nostro paese. Ma tra gli altri 52 capifamiglia si affaccino i segni dell’imminente trasformazione in atto : 11 “tessitori”, 7 “bugandai”(lavandai), 3 “operai”, 2 “filatori”, oltre alle già viste professioni più tradizionali quali fattori, mugnai, pescatori, osti, sarti, sensali e sellai.
Il documento ci trasmette la composizione dettagliata dei nuclei famigliari, il loro sito di abitazione e la professione del capofamiglia. Per motivi di spazio non è possibile riportare qui l’intero elenco, ma possiamo  trarne altre informazioni interessanti.
Le famiglie sono distribuite in 23 tra Case e Cascine.
Permangono alcune concentrazioni  di attività contadina : Cascina S.Alessandro (17 nuclei), S.Fiorano (23), Casa Mileria (12 + 3, sono la Villa Nuova e Casc. Casotto dei Conti Mellerio), Cascina Perella(2), Casa Melzi (1 – Dossello). Qui troviamo solo famiglie contadine, con la presenza spesso di un fattore che rappresenta in loco i proprietari. I nuclei famigliari sono mediamente più consistenti e ramificati
Lungo il Lambro a Sesto Giovane troviamo invece nelle Casa Perego e Casa Bosisio 5 nuclei di soli “mugnai” ( I Bosisio hanno mulini anche alla Santa) . Così come “alla Resega” e nelle Casa Osculati e Casa Varena (Fola di San Giorgio) troviamo ben 7 nuclei tra “bugandai” e “cartari”(produttori di carta).
Alla Villa Vecchia (sempre dei Mellerio) i 7 nuclei si dividono tra contadini e bugandai.
Resta chiaramente tutta la parte centrale del paese lungo la “Strada Nazionale per Lecco”. Qui ritroviamo una composizione sociale dei nuclei più diversificata. Accanto ai contadini abitano anche tutti gli artigiani, i commercianti e i nuovi operai.
Si conferma il buon numero di sensali (tutti delle famiglie Malegori) e di un “pescatore” (Galli Giacomo) che riusciva evidentemente a sfamare i 17 membri della famiglia con la generosità del Lambro.
Le residenze vengono citate in riferimento al nome dei proprietari : Casa Manzoni, Casa Manzi, Casa Galli, Casa Galbiati, Casa Corti, Casa Erba, Casa Staurenghi (tutte essenzialmente lungo l’attuale via Mazzini).

Il vento della rivoluzione industriale che stava investendo tutta la Lombardia non tardò a farsi sentire anche a VSF. La secolare tradizione manifatturiera di Monza ne fece ben presto un centro di primario insediamento industriale. Questo processo investì progressivamente anche il territorio di VSF che già intorno alla metà del secolo poteva vantare primi significativi insediamenti industriali. Il settore tessile fu il primo a svilupparsi.
Pur in presenza di una significativa attività di bachicoltura, fu la lavorazione del cotone a trovare un significativo sviluppo. Nel 1845 a VSF si contavano 15 “telai da cotone”,  condotti in laboratori ancora artigianali se non “a domicilio” con l’impiego di manodopera femminile e minorile.

 

Nel 1870 si contavano a VSF ben 2 Tessiture (Daelli e Ghezzi) e 2 Filande (Perego e Galbiati). Queste aziende occupavano circa 300 lavoratori (spesso lavoratrici) con l’impiego di 200 telai.

Le lavoratrici e lavoratori della tessitura "Cambiaghi Pasquale". (Foto da "Villasanta : radici ed identità di una comunità tra Monza e la Brianza" di A.Marchetti e G.Longoni)

Altrettanto importante e in pieno sviluppo era poi l’attività dei “bugandaij” , cioè dei lavandai e candeggiatori che a VSF erano una sorta di istituzione locale. L’abbondante presenza di acqua del Lambro e delle rogge aveva del resto attivato già dal 1700 la presenza nel nostro territorio delle “sbianche”, prime lavanderie artigianali che stendevano poi i loro panni ad asciugare e sbiancare nei prati limitrofi alle rogge. Le attività artigianali di questi lavandai si moltiplicarono e ben presto a queste si affiancarono anche i “candeggiatori”. Questi non trattavano più la biancheria bensì le grandi pezze di tela che uscivano dai telai, utilizzando sempre più procedimenti chimici. Dai primi insediamenti ottocenteschi alcuni nuclei famigliari locali fecero di questa attività  una importante presenza imprenditoriale, che in alcuni casi è arrivata fino ai nostri giorni.

L’Oleificio Tornaghi a San Fiorano in via Cellini nel 1930 (Foto da "Villasanta in cartolina 1890/1970" di B.Ferrara)

A quella tessile si affiancarono nuove attività industriali. Con la seconda metà del secolo e per tutti i primi decenni del ‘900 furono veramente tante le aziende che cominciarono a svilupparsi, magari partendo da semplici laboratori artigianali. Furono anche tanti i settori produttivi nei quali si specializzarono queste aziende: lavorazione di lamiere, meccanico, tipografico, legno. Agli inizi del ‘900 VSF andava oramai assumendo le tipiche caratteristiche socio-economiche di tutto il territorio brianzolo: un’economia mista dove ad un tradizionale impiego in campo agricolo si affiancava sempre più il lavoro salariato presso i tanti nuovi insediamenti industriali.
A questa crescita del tessuto economico e produttivo non fece però riscontro un eguale miglioramento nelle condizioni di vita della gran parte dei nostri concittadini, sia che continuassero a dedicarsi al lavoro nei campi sia che si rivolgessero ai nuovi stabilimenti industriali. Buona parte dell’800 rappresentò un periodo di deciso peggioramento delle condizioni economiche dei contadini lombardi. Si trovarono vessati da contratti agrari sempre più gravosi e anche svantaggiati dal positivo trend demografico che riversò sul mercato del lavoro tante braccia in cerca di occupazione. Né d’altro lato le condizioni di lavoro e di vita dei nuovi operai e operaie era di molto migliore. A paghe da miseria si affiancavano condizioni di lavoro disumane, con orari di 12/14 ore in ambienti assolutamente insani.

Il “Censimento degli esercizi commerciali e industriali del regno” del 1928 a VSF (alla vigilia dell’unione con la Santa), identifica un totale di 135 imprese in attività, tra le quali ben 25 sono i lavandai/candeggi, 6 le aziende tessili e, tra le altre, ben 11 calzolai e 11 osterie.

Il segno della “modernità” fu dato anche dall’arrivo della ferrovia o meglio “delle ferrovie”. La prima ad attraversare il nostro territorio fu il prolungamento della linea Milano-Monza verso Lecco fino a Calolziocorte passando per Carnate. La linea fu realizzata nel 1873, per essere elettrificata nel 1914 e poi raddoppiata nel 1916.

Locomotori a vapore antenati del “Besanino”

A questo proposito è interessante ricordare come le allora amministrazioni di Monza e VSF fallirono nel tentativo di realizzare una fermata con stazione alla Santa. La Società Anonima Briantea che gestiva la linea non intravide la convenienza all’opera se non nel caso che i due comuni si accollassero tutte le spese sia di realizzazione che di gestione. Fatti due conti sia Monza che VSF decisero di abbandonare il progetto, sperando in tempi più propizi che purtroppo a tutt’oggi non sono ancora arrivati.

Le due Amministrazioni incontrarono miglior fortuna nel caso della seconda linea ferroviaria che attraversò il nostro territorio. Si trattava della Ferrovia della Valle del Lambro, l’odierna Monza-Molteno-Lecco. Nel 1878 si costituì tra operatori privati e amministrazioni comunali brianzole il Comitato promotore per il primo tratto della linea da Monza a Carate. Non furono poche le difficoltà finanziarie ed organizzative che questo Comitato incontrò nel realizzare l’impresa, nella quale si succedettero diverse Società spesso finite in fallimento. Nel 1907 iniziarono comunque i lavori e nel 1911 la linea entrò in funzione, con tanto di stazione alla Santa di Monza. Con questa operazione si apriva oltretutto l’espansione della città verso Est e San Fiorano, dove ben presto si installarono significativi impianti industriali. E’ del 1922 il collegamento della Stazione con una nuova strada (attuale via Cellini) alla rete viaria di VSF sia verso Sud che  Nord.
La linea non fu mai elettrificata e i primi locomotori a vapore furono poi sostituiti da più moderni “diesel”. Il “Besanino” svolge tuttora un prezioso servizio di comunicazione verso Monza, Lecco e Milano, nonostante la sua mancata valorizzazione e dopo aver rischiato di essere soppresso come “ramo secco”.

Ingresso dell’albergo del “Pollino” con maestranze ed avventori. (Foto da "Villasanta : radici e identità di una comunità tra Monza e la Brianza" di A.Marchetti e G.Longoni)

Le linee ferroviarie erano affiancate dalle linee del Tramway.

Nel 1879 fu attivato il servizio del “tramway a vapore” Monza-Oggiono, che a VSF fermava di fronte all’albergo del Pollino (incrocio vie Mazzini-Garibaldi) e in seguito anche in Piazza Daelli, con l’arrivo del nuovo Municipio. Dai Comuni interessati alla linea si progettò anche la sua possibile elettrificazione (oltretutto finanziata con un aumento “dedicato” delle imposte comunali), che però con l’arrivo della prima guerra mondiale fu chiaramente accantonata. Entrato oramai in concorrenza con la linea ferroviaria, dopo il 1918 il servizio fu sospeso. Un collegamento con Monza venne riattivato nel 1925 con dei mezzi “ad accumulatori”, quasi dei veri e propri tram. In onore dell’esploratore Umberto Nobili uno di questi veicoli fu ribattezzato “il Norge”.

La fermata del "Norge" in Piazza Daelli a VSF. (Foto come sopra)

In questo percorso di crescita e progresso si inserisce la figura significativa di Lorenzo Daelli, non solo titolare di una fiorente tessitura in paese, ma sindaco ininterrottamente dal 1875 al 1908, data della sua morte. Al suo impegno e lungimiranza dobbiamo non pochi importanti successi per VSF sulla strada dello sviluppo sociale: nel 1878 e 1901 le nuove scuole e il municipio, nel 1880 la condotta medico/chirurgica, nel 1898 la luce elettrica, nel 1904 l’Officina del gas. Risale al 1908 l’intitolazione a suo nome della Piazza tuttora in vigore (di fronte scuole Oggioni).

LA “POSSESSIONE DELLA VILLA”

Abbiamo lasciato questa importante porzione del territorio di VSF a fine ‘700, primissimi dell’800 con la famiglia del Conte Barbò/Parravicini ancora proprietaria del bene, lavorato dai massari Pirovano. Ma nel secondo decennio del secolo il Conte Barbò cedette la proprietà al Conte Giacomo Mellerio, altra ricca famiglia milanese. Nel 1847 il Conte Mellerio morì e la “Possessione della Villa” passò al nipote Conte Giacomo Cavazzi della Somaglia, per quanto ancora minorenne. Apparve dunque nelle vicende di VSF la famiglia di antica nobiltà milanese dei Somaglia, che da qui ai prossimi cento anni rappresentò la famiglia più “estimata” ed influente del paese. Non a caso di questa e dei Mellerio resta la traccia significativa sullo stemma e gonfalone della futura Villasanta (ideato nel 1927/8 ma adottato solo nel 1963)(2).

Per la sua realizzazione furono infatti utilizzati il “melone” simbolo dei Mellerio e una ”banda rossa con morso e tre anelli” simbolo dei Somaglia.

Per tutto l’800 alla “Villa” si susseguirono diversi tra massari e pigionanti affittuari dei Mellerio ( poi Somaglia), per continuare la lavorazione dei terreni del possedimento. Ma apparvero anche i primi segni del cambiamento. Accanto a massari e coloni apparvero i “bugandaij” (lavanderie). Nel 1838 Giacomo Mellerio affittò ai lavandai Giovanni Maria e Luigi Rossi alcuni locali d’abitazione nella cascina, porzioni di prato essenzialmente ad uso sbianca e rustici ad uso lavanderie, con tanto di “ragioni d’acqua”, cioè diritti d’uso delle acque della roggia Gallarana e del fontanile dei Somaglia.
Dopo pochi anni, nel 1841 il Conte Mellerio fece costruire altri tre locali ad uso lavanderia, sempre affacciati sulla roggia. Del resto il Conte aveva già dovuto mettere mano pesantemente sulla cascina a seguito di un incendio che nel 1838 ne distrusse buona parte.

 

Lo stemma della città di Villasanta. Per completezza va detto che invece il “Cane argentato su bande nere e argentate” fa riferimento alla famiglia Taverna.
Bando per l’affitto nel 1852 di due lavanderie in Villa Vecchia poi aggiudicate ai F.lli Rossi Giovanni e Gaetano. Il bando comprendeva anche locali d’abitazione nella cascina e prati per 70 pertiche.

I Conti Giacomo e poi Gian Luca Cavazzi della Somaglia lungo tutto l’800 si impegnarono ad ampliare il già vasto “Possedimento della Villa” e ad investire sulla sua produttività.

Nel 1861 da un lato acquistarono dai Conti Melzi la cascina del “Dossello” con i prati attigui e dall’altro ampliarono la cascina della “Villa Nuova”, costruita ai primi del secolo (oggi ancora esistente ma decisamente “ristrutturata”, in via della Vittoria lungo quello che era il corso della roggia Ghiringhella,). Nei documenti del tempo la cascina è detta “sulla strada che va dalla Santa di Monza alla Santa di Lecco”. Se la Santa di Monza ci risulta un toponimo ben conosciuto, diverso è il caso della Santa di Lecco, che possiamo pensare sia stato stranamente utilizzato al posto di VSF.
Ma nel 1918 il Conte Gian Giacomo muore senza lasciare eredi maschi, determinando così tanto la fine della casata che del Possedimento della Villa.

Le tre figlie, Guendalina, Claudia e Luisa (alla data del resto ancora minorenni) si avviarono ben presto a smobilizzare l’ingente patrimonio immobiliare dei Somaglia, non più interessate, né loro, né la madre vedova Marchesa dal Pozzo, né i loro futuri consorti, a mantenere le rendite fondiarie legate a questi beni. Del resto la vedova Somaglia si era già trasferita dalla villa del Gernetto di Lesmo, storica dimora dei Mellerio/Somaglia, a Roma con tutte le tre figlie.

Si arriva così al 1924 quando le tre eredi e la madre vendono in un colpo solo tutta la “Possessione della Villa”, frazionandola in numerosi lotti. A questa data la proprietà constava di ben 1371 pertiche (89,92 ettari) stimate per un valore complessivo di lire 650.000. Questi terreni erano per lo più destinati a “aratorio maronato” (campi di cereali con gelsi) e lavorati da ben 31 coloni (5 Dossello,5 Villa Vecchia, 12 Villa Nuova, 9 Casotto). Questi costituivano una “colonia agricola” , nel senso che con la proprietà veniva steso per tutto il possedimento un unico contratto d’affitto dove erano poi  dettagliati i nomi dei vari coloni, con le loro competenze e oneri. Ogni colono aveva a disposizione mediamente 2,5 ettari di terreno da lavorare, insieme ai locali da abitazione, stalla, fienile, spazio di corte, uso in comune del pozzo e del forno. Il contratto di colonia che li legava alla proprietà era un “contratto a danaro”, per il quale non erano previste cessioni di quote di prodotto (grano o altro cereale) ma il pagamento di una quota in danaro comprensiva del fitto dell’abitazione, con 4 locali mediamente a disposizione (di solito due al piano terra e gli altri al primo piano). Chiaramente in alcuni casi di nuclei famigliari numerosi si arrivava fino a più di 4 ettari o ad una casa con 9 locali.
Diversa era la situazione degli “affittuari”, non compresi nel Contratto di colonia. A questi era destinata la restante parte del tenimento destinata “a prati”, per lo più in Villa Vecchia. Si trattava dei tanti “bugandaij” (ben sette nuclei della famiglia Rossi) non coinvolti nella lavorazione dei campi ma che li utilizzavano per la loro attività di lavanderia e candeggio e che abitavano chiaramente nelle stesse cascine. Sui prati venivano stesi i panni ad asciugare al sole, come fase finale di tutta l’attività di candeggio.

Il “Possedimento della Villa” al 1923

Per le vicende di VSF questo fu sicuramente un passaggio storico. Il Possedimento che rappresentava la metà del territorio comunale e che fin dal 1500 era sempre stato parte del patrimonio dei “grandi proprietari” del tempo (prima pubblici, poi nobili ) venne frazionato e trasferito ad una serie di piccoli operatori locali, in un processo di ridistribuzione sul territorio del capitale immobiliare. Questa operazione di dismissione è anche il segno di come in quella parte di Italia che si stava avviando a significativi processi di modernizzazione, i grandi capitali si stavano oramai orientando verso investimenti in campo industriale e finanziario, abbandonando le antiche proprietà terriere. E questo soprattutto in aree come il Milanese e la Brianza.
A questo proposito sono significative le considerazioni sviluppate dal marchese Luigi Cuttica di Cassine, curatore speciale delle eredi Somaglia, in occasione di una delle vendite effettuate nel 1924. In sintesi possiamo riassumerle così :

“Posto che attualmente la rendita fondiaria del Tenimento della Villa è di circa lire 21.000 e che anche aumentando i canoni si potrebbe arrivare a lire 25.000; posto che il valore stimato del bene e quindi il valore che se ne potrà ricavare è di lire 650.000; posto che da questo capitale si potrebbe ricavare un interesse finanziario del 8,70 % con una rendita quindi di lire 39.000, è allora chiaro come l’interesse della Nobile Casa Somaglia sia quella di disfarsi del patrimonio immobiliare, con ciò eliminando anche spese e noie d’amministrazione”.

Se nel breve termine questa valutazione dei Somaglia poteva decisamente avere una sua legittimità, diversa diventa la valutazione se la proiettiamo nel medio/lungo periodo. Nel giro di qualche decennio, all’alba dell’esplosione edilizia nel nostro territorio, questi appezzamenti moltiplicarono il loro valore immobiliare diventando gli spazi di crescita della Villasanta del boom economico.
A cogliere questa opportunità furono invece due famiglie monzesi che si aggiudicarono la gran parte del lotto. Il solo Attilio Pennati, insieme alla Villa Nuova e parte del Dossello, acquisì ben 45 ettari del Possedimento (praticamente la metà) mentre altri 18 ettari andarono a Angela Mantovani, vedova Vergani, sempre di Monza. La restante parte del lotto venne invece frazionato in ben altri 20 atti di compravendita lungo tutto il 1924. In questo seconda casistica ritroviamo quasi esclusivamente nuclei famigliari dei Rossi, sia di VSF (già affittuari dei Somaglia) che di Biassono e Monza, per lo più interessati a spazi non tanto per un’attività agricola quanto appunto per le loro aziende di candeggio e lavaggio.

La Villa Nuova nel suo impianto originale ma già con chiari segni di degrado e usura. (Foto come sopra)

Questo processo portò ad un forte consolidamento delle loro attività che poterono così ben presto svilupparsi in nuovi ed importanti insediamenti industriali della futura Villasanta (Rossi Lorenzo, Rossi Simeone).
Non ebbe invece successo la possibile prelazione data  ai coloni che al tempo già risultavano presenti in cascina, ciascuno per la parte che lavoravano. Confrontando l’elenco dei nomi delle 31 famiglie dei coloni al 1920,  solo un paio ne ritroviamo tra i compratori negli atti del 1924. Per potersi aggiudicare un appezzamento di almeno un paio di ettari avrebbero dovuto sborsare circa 16.000 lire del tempo ed evidentemente non era una somma alla loro portata.

 

Per qualche decennio le quattro cascine (Villa Vecchia, Villa Nuova, Dossello, Casotto) videro la presenza di famiglie di coloni ancora dediti all’attività agricola, sempre più accompagnata da lavoro salariato nelle industrie locali o del circondario.  L’espansione residenziale del secondo dopoguerra cancellò definitivamente ogni spazio, se non residuale, per i campi coltivati e i quattro edifici andarono incontro ad un progressivo degrado. Ad oggi ci sono rimaste la Villa Nuova e il Casotto, per quanto decisamente ristrutturate, mentre del Dossello non c’è più alcuna traccia e della Villa Vecchia non resta che il segno di un antico porticato d’ingresso.

LA CA’BIANCA

Avevamo lasciato il “Possedimento della Ca’Bianca” nel momento del suo passaggio a fine ‘700 dai beni del Convento di San Paolo di Monza al patrimonio del reverendo Motta di Monza. Nel frattempo la vecchia cascina a cavallo dei due secoli venne affiancata da una “villa di delizia”con ampio parco cintato, di cui però non sono chiare le origini ed i suoi primi proprietari. Tutto il corpo edificato restava nel territorio di Arcore, ad esclusione della piccola chiesetta dedicata a San Vincenzo al servizio dei residenti. Riguardo a questo oratorio rimangono molti punti oscuri. Lo ritroviamo nella sua attuale posizione con le mappe della metà ‘800 mentre non ne risulta traccia nel Catasto teresiano di metà ‘700. Viene però citato nella visita pastorale del cardinal Pozzobonelli ad Arcore nel 1756, oltretutto sotto la seguente descrizione : “In frazione Ca’Bianca esisteva, ma ora in disuso, l’antichissimo oratorio si san Vincenzo martire”. Possiamo allora ipotizzare la presenza  di un preesistente oratorio all’interno della cascina che andrà da prima dismesso e poi recuperato e collocato nell’attuale sito magari proprio in occasione della costruzione della villa. Era del resto pratica diffusa da parte delle ricche famiglie padronali dotare le proprie residenze nobiliari di cappelle sacre al servizio delle stesse famiglie e aperte anche al culto popolare.

In definitiva possiamo dire che alla Ca’Bianca si costituì un complesso sempre più articolato al centro di un’importante zona agricola a cavallo tra Arcore e VSF.

Nell’800 troviamo nuovi proprietari nella famiglia Antongini, tanto che in una carta del 1843 del Brenna il complesso viene chiamato “Casino Antongina”.Questa famiglia svolse un importante ruolo rappresentativo anche a VSF tanto che Giuseppe Antongini ne fu il primo sindaco “unitario” dal 1861 al 1875. In anni successivi subentrò la famiglia Buttafava, di cui tutto il complesso mantiene ancora l’appellativo. Questa antica e nobile famiglia di stanza a Milano riuscì anche a ottenere sul suo territorio una fermata della linea ferroviaria Monza-Molteno-Lecco, che vede ancora la presenza della stazioncina appunto di “Buttafava”. Ai primi del ‘900 troviamo in cascina ancora tredici famiglie di coloni di VSF.

Il complesso della Ca’Bianca nella seconda metà dell’800.
Sulla destra l'oratorio dedicato a San Vincenzo.

I successivi destini dell’antica “Possessione della Ca’Bianca”, sia sul fronte di Arcore che di Villasanta, non sono stati così “stravolgenti” come per altre parti del nostro territorio. Certamente l’antico edificio della cascina e della villa sono stati ampiamenti ristrutturati in un moderno complesso residenziale di prestigio, ma, forse perché ai margini dei centri urbani dei due comuni, le sue aree verdi coltivate non sono state investite dall’impetuosa espansione edilizia del secondo dopoguerra. Insieme alla zona agricola residua della “Possessione di S.Alessandro”, le aree verdi della Possessione compongono ora un’ampia parte villasantese del Parco Valle Lambro.

A SAN FIORANO

Tutto il complesso della cascina visse nel XIX secolo un significativo processo di ampliamento e ristrutturazione. Anche per l’omonimo oratorio si andò incontro ad un ulteriore modifica. Le mappe del Catasto Lombardo Veneto del 1855 non riportano più traccia della chiesetta di proprietà della famiglia Loria, probabilmente inglobata nelle nuove residenze, mentre compare il nuovo oratorio edificato nel 1779 dalla famiglia Raimondi. Questo piccolo edificio era collocato più a Est rispetto al precedente, in adiacenza all’ala della cascina di loro proprietà, e rappresentò il terzo tempio in ordine di tempo dedicato al Santo di Loch in terra villasantese.

A) Collocazione del primo oratorio di San Fiorano della famiglia Loria
B) Collocazione nuovo oratorio edificato a fine ‘700 dai Raimondi

Ma il culto del nostro Santo dovette scontare ulteriori vicissitudini. Nelle mappe del Catasto Lombardo/Veneto di fine secolo anche quest’ultimo oratorio dei Raimondi scomparve, coinvolto nella ristrutturazione di questa ala della cascina e ridotto ad usi residenziali. Bisognò aspettare fino al 1967 per riattivare nuovamente la devozione verso San Fiorano, quando fu eretta una nuova chiesa, la quarta, intitolata al Santo. L’edificio, decisamente più ampio e significativo dei precedenti, rese giustizia alla costanza quasi millenaria per il suo culto in terra villasantese, tanto che nel 1978 si arrivò anche a costituire la nuova Parrocchia di San Fiorano.

Anche il complesso della cascina, come accennato, conobbe ulteriori sviluppi per tutto l’800 con interventi che riguardarono soprattutto la parte orientale dell’ edificio.
Interessante notare come i nuovi proprietari della cascina (e dei terreni circostanti) si premunirono di realizzare all’interno del complesso le loro “case di villeggiatura”(3).

Parliamo in particolare di due famiglie, i nobili Olginati e i nobili Corte (o Corti, subentrati nei beni della già ricordata famiglia Raimondi). Corte nobile Edoardo, a cui faceva capo tutta l’ala più a Est della cascina, doveva avere in questa “casa di villeggiatura” una residenza non tanto occasionale se pensiamo che partecipò attivamente alla vita del paese sedendo per un trentennio nei banchi del Consiglio comunale nella seconda metà dell’800. Di questa sua residenza non sembra resti alcuna traccia. Diverso è il caso di Olginati nobile Luigi. Collocata più a Ovest la sua “casa di villeggiatura” la possiamo identificare nell’edificio ora chiamato “Ca’ di Bagagina” in via san Fiorano.

Le ville di "villeggiatura" a San Fiorano alla fine dell'800
Mappa dei dintorni di Monza del 1836 con la chiara indicazione della dimora dei Corte come "Casino Corte", con tanto di giardino

L’edificio evidenzia ancora caratteristiche ben diverse dalle circostanti “case coloniche”, a cominciare dalle colonne che adornano l’ingresso  sia al giardino che alla casa.
Il resto della cascina era occupato dalle famiglie dei coloni (circa una quarantina) che continuarono a lavorare i campi circostanti finché le nascenti attività industriali del XX secolo ne cancellarono progressivamente la convenienza. Questi contadini diventarono operai che magari si dedicavano al campo come attività accessoria. La successiva espansione edilizia della nuova Villasanta cancellò definitivamente la stessa sopravvivenza dei campi, diventati un lucroso investimento immobiliare e destinati ad accogliere la zona d’espansione industriale del paese.

LA NASCITA DI VILLASANTA

Il contrasto tra Monza e VSF in merito alla “secessione” della frazione della Santa, rimasto latente nel primo ventennio del XX secolo, si riaccende nel 1924.

E’ del 6 febbraio il verbale di una riunione dei cittadini “elettori” della frazione in cui si riafferma l’opportunità dell’unione con VSF e in funzione di questo obiettivo viene eletta una Commissione di 6 membri il cui compito era quello di attivare tutte le iniziative necessarie per raggiungere questo obiettivo. Ne facevano parte il Parroco Don Galli, Paolo Meregalli (Segretario del locale Partito fascista), il Cav.Angelo Tronconi, Merlo Carlo, Bidoglia Carlo e Marchesi Valentino. Primo atto della Commissione fu quello di inoltrare al Ministero dell’Interno (e a tutte le autorità interessate) un’Istanza sottoscritta da circa 500 “santesi” che ribadiva la richiesta dell’aggregazione della Santa a VSF.
Non poche erano le motivazioni che sostenevano questa proposta :

  1. toglie un onere al comune di Monza, avvantaggiando VSF;
  2. si impone dal punto di vista topografico, essendo VSF attaccato alla Santa mentre il centro di Monza dista tre chilometri, senza adeguati servizi di trasporto;
  3. da impulso alle attività private e a nuovi servizi pubblici;
  4. razionalizza le spese per i servizi comunali (levatrice, medico, segretario che VSF già paga);
  5. risolve problemi di assistenza sanitaria e ospedaliera;
  6. rende più facile svolgere le pratiche comunali;
  7. rinsalda l’unità spirituale delle due comunità, già sotto la stessa parrocchia (in questo spirito di “comunità condivisa” si erano già realizzati il monumento ai caduti, gli oratori maschile e femminile, il nuovo altare e le nuove campane);
  8. elimina le sperequazioni fiscali tra i cittadini dei due centri (i dazi erano più alti a Monza);
  9. permette un’assistenza civile più oculata;
  10. il nuovo comune di 7000 abitanti potrà avere maggiore considerazione presso gli enti e i privati;
  11. migliora il servizio scolastico (diritto anche ad una “superiore classe elementare”).
Tracciato della circonvallazione proposta nel 1924. Si riuscirà a realizzarla solo dopo un trentennio, sullo stesso percorso ma con un’estensione ridotta

L’Amministrazione “villasanfioranese” guidata da Emilio Erba si mosse subito in appoggio di questa iniziativa e in data 12/3/1924 delibera in Consiglio comunale di aderire alla proposta dei cittadini della Santa con un’articolata serie di motivazioni che riprendevano essenzialmente quelle esposte dalla Commissione. E’ interessante notare come qui in aggiunta si citava anche la possibilità di realizzare un nuovo asse viario che collegando la Cantonata di Monza con Sant’Alessandro avrebbe potuto alleviare il grave disagio che doveva sopportare la strada centrale del paese gravata di un traffico sempre più congestionato (praticamente una circonvallazione che troverà pratica realizzazione solo negli anni ’60).

Ci si potrebbe chiedere a questo punto come mai i cittadini della Santa, che nel 1878 si erano schierati decisamente contro l’aggregazione della frazione a VSF, dopo un quarantennio cambiarono decisamente parere.
C’è da dire come prima cosa che in questi decenni la Santa visse un forte incremento demografico andando a raddoppiare la propria popolazione, che nel 1921 raggiunse i 2400 abitanti.

Il processo di saldatura con il centro urbano di VSF si era quindi sviluppato di molto, aumentando le interconnessioni e la messa in comune di interessi ed esigenze. Si può pensare che questo crescente processo aggregativo determinò nuove prospettive e consapevolezze, modificando l’orientamento dell’opinione pubblica.
Dovettero valere anche spinte di carattere più politico. La ricorrente proposta di unificazione fu infatti sponsorizzata non poco dalla locale sezione di La Santa-VSF del Partito fascista, che immaginiamo potesse allora contare su di una certa influenza tra la popolazione. Non a caso tra i membri della citata Commissione della Santa c’era anche il segretario della locale sezione del Fascio (Paolo Meregalli).

Come da un copione già sperimentato, a queste iniziative “santesi” Monza oppose subito un fermo dissenso. Nella Delibera del 14/7/1924 il Commissario straordinario Vittorio Ferrero (allora reggente l’amministrazione comunale) respinge l’istanza presentata dai cittadini della Santa in quanto in assoluto contrasto con la pratica in atto dal Comune di Monza volta ad aggregare a se il comune di VSF.
A tal proposito il Sottoprefetto di Monza con nota del 27/11/1924 invitò Monza a dare veste legale a questo suo proposito aggregativo, così da consentirgli di trasmettere a Roma entrambe le proposte in discussione. Anche se non proprio tempestivamente, Monza si mosse in questo senso. Con Delibera del 1/8/1925 il Commissario straordinario non solo ribadì l’opposizione alla secessione della Santa ma confermò anche la sua richiesta al Regio Governo di annettere a sé i comuni di Vedano, Biassono e VSF, tutti limitrofi al Parco. Le motivazioni addotte da Monza attenevano infatti soprattutto ai tanti inconvenienti e svantaggi che arrivavano dal fatto che il territorio del Parco e la sua Amministrazione fossero suddivise tra Monza e i suddetti comuni. Ultimamente nel Parco si erano installate importanti realtà quali l’Autodromo e l’Ippodromo, che si erano portati dietro  un’ inevitabile complicazione amministrativa e soprattutto notevoli interessi economici. Tutto sarebbe stato ben più pratico, razionale e “redditizio” se gestito sotto un unico centro decisionale. Monza non mancò poi di assicurare, ai tre comuni da annettere, vantaggi in termini di opere pubbliche e servizi, oltre che garantire la creazione di tre delegazioni comunali decentrate.

Intanto la Commissione della Santa mise a segno un punto a suo favore. Il 27/6/1925 la Deputazione Provinciale di Milano votò una Delibera in cui si approvava la proposta di aggregazione della Santa a VSF, mutuando tutte le motivazioni in tal senso esposte dalla Commissione. Si concludevano le argomentazioni in una sintesi profetica : “La Santa dovrà il suo avvenire all’unione con VSF;  VSF dovrà il suo avvenire all’unione con la Santa”.

Monza insisteva sulla necessità di riportare tutto il Parco sotto un’unica Amministrazione e  modificò la sua proposta iniziale, anche per darle maggior coerenza e fattibilità. Il Commissario straordinario il 18/2/1926 emanò quindi nuova Delibera nella quale si confermavano sia l’opposizione alla secessione della Santa che la proposta annessione di VSF, ma per quanto riguardava Biassono e Vedano ora si chiedeva l’annessione “solo” delle loro parti di territorio comprese nel perimetro del Parco. In questo scorcio di 1926 intanto i monzesi sono chiamati a eleggere il nuovo Consiglio comunale al quale il Prefetto chiese di esprimersi su questa “importante” vicenda territoriale, che non poteva non vedere il pronunciamento di un organismo di diretta rappresentanza dei cittadini.
Il Consiglio non mancò di provvedere con sua Delibera del 14/6/1926, poi confermata con delibera di Giunta del 6/7/1926.  

 

In questa occasione Monza si fece ancora più realista, smussando in parte le sue pretese in vista di una possibile conciliazione tra tutte le parti interessate. Per prima cosa venne ribadita l’opposizione all’unificazione della Santa a VSF. A tal proposito è interessante notare come si mise in dubbio il permanere di questa volontà scissionista tra i santesi, portando a riprova la loro alta partecipazione (76%) alle appena svolte elezioni comunali. Si confermò la richiesta di aggregazione a Monza di tutto il territorio del Parco, sottraendolo ai comuni limitrofi, ma si rinunciò per la prima volta a richiedere l’annessione anche di tutta VSF. Probabilmente l’Amministrazione monzese stava valutando come oramai difficilmente ricevibile sia dalle opinioni pubbliche locali che dalle alte sfere governative la sua richiesta iniziale di annessione di ben tre comuni con tutta l’area del Parco.

Ma l’appena eletto Consiglio comunale di Monza e relativa Giunta non ebbero modo di sviluppare ulteriormente queste loro riflessioni. Proprio nel 1926 il Regime fascista decise di abolire tutte le rappresentanze locali democraticamente elette e sostituirle con dei Podestà di nomina governativa.

La suddivisione del Parco tra i comuni di Monza (marrone), Biassono (blu), Vedano (giallo) prima dell’aggregazione a Monza. VSF non appare neanche, stante la estremamente esigua porzione di sua competenza.

Il pervenuto nuovo Podestà di Monza, C.Vigoni (che oltretutto era il Sindaco uscente), con Delibera del 2/4/1927 confermò le decisioni dell’ultima Giunta e colse l’occasione del Decreto Regio del 17/3/27 a titolo “Revisione delle Circoscrizioni comunali” per ribadire al Ministero romano la richiesta della modifica dei confini comunali.
Anche a VSF si era insediato il nuovo Podestà, Arturo Fossati, subentrato all’ex sindaco Erba Emilio, che dal 1924 aveva assunto la carica di Commissario prefettizio a seguito dello scioglimento del Consiglio comunale per le dimissioni di ben 9 consiglieri su 15.

Nel frattempo la Commissione dei “secessionisti” santesi non smise certo di operare per aggregare consensi alla sua posizione. E’ del 4/5/1927 un suo ultimo Memoriale al Regio Ministero dove ribadiva chiaramente la richiesta di unificazione a VSF elencando i già citati vantaggi che tale operazione avrebbe comportato per le due comunità. Va detto che in questa occasione si fece anche riferimento allo smantellamento del cimitero della Santa (via Matteotti lato sud, a ridosso della ferrovia) utilizzando il solo cimitero di VSF (a San Fiorano). Questa scelta avrebbe aperto l’opportunità di liberare un’area “sbocco naturale” all’espansione edilizia del paese. A questo punto i tempi sembrarono proprio maturi per chiudere in modo onorevole tutta la questione “confini comunali”. Si erano create tutte le condizioni perché si potesse arrivare ad una soluzione che tenesse conto delle diverse aspirazioni e al contempo delineasse una nuova situazione amministrativa più “razionale”. In particolare l’opposizione alla perdita della frazione della Santa , sempre espressa  da Monza, poté essere superata compensandola con l’acquisizione di tutto il territorio del Parco.

E così si arrivò al fatidico “Regio Decreto” n.2933 del 29/11/1928 composto di soli 4 articoli ma per la nostra storia decisivi. Il primo articolo portò infatti nei confini di Monza tutto il perimetro del Regio Parco, sottraendolo ai comuni limitrofi, e il secondo sancì “ il distacco della Santa da Monza e la sua aggregazione a VSF”.
Il Decreto fu pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.5 del 7/1/1929 con esecutività al 22/1/1929.

Con questa decisione VSF assumeva quelli che sono gli attuali confini comunali di Villasanta, raddoppiando quasi l’ampiezza del suo territorio, e altrettanto si poté dire per gli abitanti. Nel censimento del 1921 VSF contava 2426 abitanti e la Santa 2445. Visto che la Villasanta del 1931 ne conterà 6005, possiamo pensare che le due comunità arrivarono alla fusione con circa 2700/2800 abitanti ciascuna.

Sia il “Cittadino” che il “Corriere di Monza” riportarono ampiamente la notizia, mantenendo un certo scetticismo sugli entusiasmi con i quali i nuovi villasantesi accolsero l’evento.

La posizione dei due giornali monzesi non era chiaramente del tutto scevra da spinte campanilistiche, ma anche fondata, a loro dire, su valutazioni concrete. “VSF potrà contare su nuove entrate per Lire 500.000 tra imposte e dazi, ma di contro dovrà mantenere non pochi servizi: scuole elementari con 9 insegnanti e Direttore, assistenza pubblica, cronici indigenti, mantenimento malati, manutenzione e innaffio strade, etc. Se va bene le casse comunali potranno sperare in un pareggio, contando che in più VSF si è fatta carico della quota di debito del comune di Monza corrispondente a Lit.900.000”. Entrambe le testate dovettero però ammettere che almeno per quanto riguarda la comodità di accesso ai servizi comunali  e la possibilità di far sentire la loro voce nel “palazzo”, i santesi andarono decisamente a migliorare.

Copia del "Cittadino" del 1925 che affronta la questione dei confini comunali di Monza.

La vera perdita per Monza e di conseguenza il vero valore aggiunto per VSF fu il trasferimento delle oltre 100 attività industriali e commerciali censite nei libri delle “Imposte delle industrie” del 1929, tra le quali le più importanti erano: i nastrifici Brioschi e Daelli, le tessiture Tronconi e F.lli Carozzi, la meccanica Colombo & Cremona, la sbianca Rodolfo Piazza, la lavorazione paglia Pessina, il commercio bestiame di Nava Giorgio e il ristorante di Valentini Riccardo (Marchesi). Egualmente Monza perse un’ottantina di contribuenti “pesanti” soggetti ad “Imposta complementare comunale” per ben lire 3976,80.
Nel 1929 si passò a questo punto alla regolazione dei rapporti patrimoniali e finanziari tra Monza e VSF. Insieme a tutto il territorio, Monza chiaramente cedette anche i suoi beni esistenti collocati alla Santa: le strade, le aree pubbliche, i due cimiteri (P.zza Oggioni e via Matteotti), l’ambulatorio medico (via Confalonieri) e le scuole di via Bestetti. Nel ’32 si determinò il valore totale del patrimonio del comune di Monza in lire 10.712.383 di cui lire 367.701 furono imputate a VSF, o meglio….. a Villasanta.

Già, perché finora abbiamo comunque sempre parlato di VSF o della Santa. Ma Villasanta allora quando compare in scena ?

In effetti quella che il Decreto del 29/11/28 aveva determinato si configurava come l’annessione da parte del comune di VSF della frazione monzese della Santa. Non era proprio in questo spirito che i santesi si erano espressi a favore della più volte richiesta aggregazione, tanto che al suo annuncio reagirono con forte disappunto. La vicenda fu riportata su binari di consenso ed unanime soddisfazione con una Delibera del 3/4/1929 del  Podestà di VSF. Prendendo saggiamente atto del fatto che la congiunta frazione si configurava come un “progredita cittadina lombarda”, oltretutto con più abitanti dello stesso “Capoluogo”, si proponeva di inoltrare richiesta al Governo di modificare il nome di VSF in quello di VILLASANTA, “interpretando il sentimento di cordialità e di amicizia che anima tutta la popolazione”.

L’8/4/29 veniva inoltrata l’istanza al Regio Governo che con Decreto n. 1383 del 2/7/1929 accordava il cambio di denominazione del comune. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 10/8/1929 si sanciva la nascita definitiva di VILLASANTA.

Questa data del 2/7/1929 può allora, a mio parere, coincidere con il vero atto di nascita di Villasanta. E’ vero che con il decreto del Novembre 1928 si costituiva per aggregazione il nucleo urbano amministrativo che corrisponderà chiaramente alla nuova Villasanta; tuttavia, come espresso nella stessa Delibera comunale del 3/4/1929, è solo con questo atto che si riconosce la nuova entità territoriale non come un ampliamento del comune di VSF ma proprio come la costituzione di una nuova realtà amministrativa sul territorio che giustamente richiese la scelta di un nuovo nome.

La nascita del nuovo Comune trovò subito una sua importante manifestazione con l’erezione nel 1933 del nuovo Municipio, su progetto dell’architetto Borradori. L’edificio fu collocato lungo la via Garibaldi sull’area prima occupata dalla Cascina Pizzocchero a cui si aggiunse un lotto confinante di mq.3500 donato dalla famiglia Camperio. L’edificio rappresenta tuttora la più significativa realizzazione architettonica civile del paese.

 

 

NOTE

(1) Vedi Articolo : “Villasanta terra di vino”

(2) Già nel 1923/4 il comune di Villa San Fiorano aveva attivato la procedura per ottenere il riconoscimento di un stemma comunale. Ne aveva in questo senso commissionato la realizzazione all’ Archivio Araldico Villardi di Milano, che nel 1928 restituisce al comune il risultato del suo lavoro di indagine storica. Così l’Archivio si espresse: “poichè nulla saliente si è trovato, questo Archivio ha dovuto far riferimento alle nobili ed illustri famiglie che ebbero estese proprietà nel territorio del Comune”. Si trattava, come detto, dei Mellerio, dei Somaglia e dei Taverna (per i quali però noi non abbiamo mai trovato documenti attestanti loro possedimenti sul nostro territorio) . Una successiva documentazione  del 1932 sembra però attestare che tutto il procedimento di riconoscimento dello stemma presso il Ministero e la Prefettura non si concluse, forse perché la pratica andò persa.
L’Amministrazione comunale in carica nel 1963 riprese la pratica e la portò a conclusione, adottando per Villasanta lo stemma in origine pensato per la sola Villa San Fiorano.

(3) Nella seconda metà dell ‘800 fino ai primi del ‘900 troviamo spesso nelle carte catastali del nostro territorio (sia VSF che la Santa) questa denominazione di “casa di villeggiatura”. Erano in effetti abitazioni civili di pregio, anche se non proprio di lusso, di proprietà di nobili e ricche famiglie per lo più milanesi (spesso ma non sempre proprietarie anche di terreni sul posto) che svolgevano il ruolo di case di campagna dove godere di aria e clima più salubri rispetto alla città. Dalla seconda metà dell’800 crebbe però anche la fascia di proprietà “borghese” di queste case. Anche avvocati, farmacisti, imprenditori cominciarono a godere di queste amenità. Dobbiamo chiaramente pensare al contesto del tutto agricolo e campestre che caratterizzava questi nostri luoghi “brianzoli”. Tra la nobiltà cittadina erano poi diventate anche una sorta di “status simbol”. Il fenomeno non doveva essere trascurabile se pensiamo che ancora intorno ai primi del ‘900 l’Amministrazione di VSF si impegnava per l’elettrificazione della linea del tramway da Monza a Oggiono proprio per accrescere le potenzialità di trasporto verso il nostro territorio in quanto “il Comune trae uno dei suoi maggiori cespiti dalla villeggiatura”.

 

BIBLIOGRAFIA

  • Archivio di Stato di Milano = Fondi : Catasto ,  Cavazzi/Somaglia/Mellerio, Religione
  • Archivi di Monza = Archivio Storico Civico + Fondo Cisalpino
  • “Arcore: le ville di delizia” = Ronzoni – Bellavite 2010
  • “Villasanta. Radici e identità di una comunità fra Monza e la Brianza” = a cura di A.Gigli Marchetti e G.M.Longoni – F.Angeli 2004
  • S.Zaninelli = “Vita economica e sociale” in Storia di Monza e della Brianza a cura di A.Bosisio e G.Vismara – vol. III Il Polifilo – 1969
  • D.Bonomi -I.Superti Fruga = ” Le vicende politiche” in Storia di Monza e della Brianza a cura di A.Bosisio e G.Vismara – vol. II – Il Polifilo – 1969